Firenze – In Toscana sono (per quanto possibile desumerne il numero) 185.200, e producono un 4,8 % di valore aggiunto al Pil regionale, con un’evasione stimata pari a 2.623 milioni di euro. Si sta parlando dei cosiddetti “lavoratori invisibili” ossia di lavoro nero. In Italia si stima un esercito di 3,3 milioni di lavoratori che ogni giorno si recano nei campi, nei cantieri, nei capannoni o nelle case degli italiani. Inps, Inail, fisco: questo esercito di “sconosciuti” produce, nel buio, effetti economici deflagranti per il lavoro “alla luce”.
Ad occuparsi di ciò è la Cgia di Mestre, che analizza questo “cuore nero” del lavoro. La prima influenza negativa è sul costo del lavoro, che la presenza di questo scoglio oscuro abbassa incredibilmente, riuscendo a proporre un prezzo finale sia del prodotto, ma anche del servizio estremamente contenuto. Tanto da mettere fuori gioco chi, invece, le disposizioni di legge le rispetta. Secondo le ultime stime elaborate dall’Ufficio studi della CGIA, se è il Sud la terra d’elezione del lavoro al nero, nessuna parte del territorio nazionale ne è esente.
Il problema, tuttavia, nel Meridione d’Italia appare ancora più complesso: “Nel Sud, dove la presenza è diffusissima – spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – possiamo affermare che il sommerso è anche un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sia chiaro, nessuno vuole giustificare il lavoro nero legato a doppio filo con forme inaccettabili di caporalato, sfruttamento e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività controllate dalle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena richiamate, costituiscono, in momenti difficili, un paracadute per molti disoccupati o pensionati che altrimenti non saprebbero come conciliare il pranzo con la cena”.
Ed ecco chi sono, questi tre milioni di persone che lavorano lontane dai riflettori: per lo più, lavoratori dipendenti che fanno il secondo o anche il terzo lavoro, cassintegrati o pensionati che arrotondano le entrate per arrivare a fine mese, disoccupati in attesa di rientrare nel mercato del lavoro.
Una risposta utile a contrastare il fenomeno, secondo la Cgia Mestre, è la reintroduzione dei voucher. “I voucher – spiega e conclude il segretario della Cgia Renato Mason – erano stati concepiti dal legislatore per far emergere i piccoli lavori in nero. Se in alcuni settori c’è stato un utilizzo del tutto ingiustificato di questo strumento, paradossalmente il problema dei voucher non è ascrivibile al loro eccessivo ricorso, ma, al contrario, per essere stati impiegati pochissimo in particolar modo al Sud, dove la disoccupazione è molto elevata e l’abusivismo e il sommerso hanno dimensioni molto preoccupanti. Eliminarli, quindi, è stato un errore”.