Fotografia Europea 2021. Nelle suggestive sale dei Chiostri di San Domenico, ieri è stato anche il primo giorno di apertura al pubblico di Giovane Fotografia Italiana. Come sottolinea Raffaella Curioni – assessora all’educazione e alla conoscenza di Reggio Emilia – la scelta del luogo non è casuale, ma vuole essere scelta simbolica: sono infatti i chiostri dell’arte e della musica, un luogo dedicato ai giovani, certamente significativo per i contenuti che i giovani artisti propongono.
Giovane fotografia italiana è un progetto del Comune di Reggio Emilia dedicato alla valorizzazione di giovani talenti emergenti under 35. Quest’anno ha luogo l’ottava edizione, con una sua storia del tutto particolare: parliamo infatti di un progetto già pronto per inizio 2020, pensato per essere esposto lo scorso anno.
L’open call si è infatti tenuta nel dicembre 2019 e ha richiamato più di 250 giovani talenti, i quali si sono cimentati nel tema scelto per l’edizione: “Reconstruction”. Una giuria internazionale ha successivamente selezionato 7 artisti, dei quali vediamo oggi esposte le opere. A partire dal 2018 ogni edizione vede infine l’assegnazione del Premio Giovane Fotografia Italiana, un riconoscimento in denaro per l’artista ritenuto migliore.
I progetti finalisti di quest’anno sono di Domenico Camarda, Irene Fernara, Alisa Martynova, Francesca Pili, Martina Zanin, Elena Zottola, Vaste Programme (collettivo composto da Giulia Vigna, Leonardo Magrelli e Alessandro Tini).
Curatori dell’edizione di quest’anno sono Daniele De Luigi e Ilaria Campioli, entrambi parlano con sentita emozione di un progetto che va avanti e cresce nonostante la battuta di arresto. Una crescita anche in termini di professionalità e competenze degli artisti, da cui una mostra preziosa che presenta uno sguardo diverso da quello dei grandi maestri. Probabilmente più sfidante.
Ilaria Campioli sottolinea come i giovani artisti quest’anno ci ricordino che prima di tutto la fotografia è oggetto da vedere, toccare e spostare. Solo poi è digitale. Non ci stupirà vedere quindi delle opere artistiche che assumono la forma del tappeto, quella di cartoline da inviare all’artista, di lettere scritte a mano ed esperienze audiovisive. Nulla togliendo al fatto che ogni mostra avrà uno sviluppo specifico del tema della ricostruzione: ci parlano di migrazioni, ambiente, identità, relazioni familiari, tecnologia, multiculturalità.
L’INTERVISTA
Di multiculturalità ci racconta Elena Zottola, con la sua mostra “The Creation of the World Is an Ordinary Day”. Ispirato da un antico racconto baltico sull’origine del mondo, il suo progetto è il tramite per la formulazione di un racconto multiculturale e collettivo, concretizzatosi nella cartolina d’artista.
- Qual è il significato fondamentale che vuoi trasmettere con la tua opera?
“The creation of the World Is an Ordinary Day” è un riferimento alla non purezza della cultura, che è sempre frutto di incontro, scontro, dialogo con l’altro. L’elemento forte dell’opera è infatti il dialogo, sia tra le parti dell’opera che tra l’opera e lo spettatore. I vari elementi si compongono e scompongono, sia all’interno delle immagini sia nella relazione tra queste. Allo spettatore è fin da subito richiesta una modalità di osservazione attiva. Alcune immagini sono apparentemente semplici ma, se lo spettatore instaura con esse una relazione, scopre livelli d’interpretazione diversi. Gli sarà allora possibile selezionare alcuni elementi all’interno dell’immagine, per rielaborarli e comporne di proprie.
- Le cartoline hanno un ruolo centrale nella tua opera. Ci spieghi com’è nata l’idea?
Mi piaceva l’idea dell’oggetto fisico, della materialità che trasmette. Ho vissuto per 5 mesi in Estonia, all’Accademia d’Arte Contemporanea, era un contesto estremamente internazionalizzato, pur essendo luogo con le sue forti caratteristiche tradizionali. Quindi un contesto di cose e persone in movimento: la cartolina è un modo per ricalcare tutto questo. Alla fine del corso si è tenuta una mostra a cui ho partecipato, lì ho esposto per la prima volta il progetto che vedete oggi a Giovane Fotografia Italiana. In origine era pensato diversamente, ho dovuto adattare il mio lavoro alle normative imposte dal Covid. Era prevista infatti una forte componente di scambio ed interazione con le persone che ho dovuto limare. Le immagini che vedi sono cartoline reali scannerizzate, alcune ingrandite. Il progetto che ho presentato in accademia prevedeva una scatola appoggiata su un tavolo, con diverse cartoline bianche e le istruzioni per compilarle. Chiedevo alle persone di scrivere sulle cartoline un indirizzo, oppure qualche frase significativa che li caratterizzasse. Così piano piano la scatola si è riempita. Oggi questo non è realizzabile, ma al termine del percorso vi è una scatola virtuale, in cui il fruitore volendo può partecipare scannerizzando un qr code.
Non ho mai inserito l’indicazione di scrivere per forza in inglese perché molti potessero capire. Noterai infatti che diverse cartoline hanno l’indirizzo in una lingua e la descrizione in un’altra. Da alcune di queste cartoline scaturisce l’idea che non è necessario comprendere sempre tutto.
- Com’è nata la tua passione per la fotografia?
Ho sempre avuto una predisposizione per osservare le cose. Sono della Basilicata, cresciuta a Parma, questo mi ha sempre dato una certa distanza da tutto. Mi sembrava di non appartenere né al contesto lucano né a quello emiliano. Questa distanza si associava bene al mio modo di guardare le cose. L’interesse per la fotografia è parallelo a quello per l’antropologia, mio percorso di studi. Entrambe si pongono allo stesso modo nei confronti delle situazioni: le osservano, ne selezionano elementi, sottolineando e rendendone simbolici alcuni, per poi però delinearne il contesto.
Adesso sto continuando diversi progetti su questo filone, ora ho un altro progetto che sarà in esposizione a Bari, lavoro che ho fatto tornata in Basilicata di ritorno dall’Estonia. è sempre legato alla cultura del materiale e all’antropologia. Parlo di reinterpretazione delle tradizioni, l’ho realizzato all’interno del Centro Indipendente di Fotografia di Napoli. Tutt’ora, nonostante il corso che ho seguito presso il centro sia ormai terminato, mantengo ottimi rapporti umani con chi mi ha seguita. Anche ad esempio per la realizzazione del progetto esposto in Giovane Fotografia Italiana sono stata sostenuta dai consigli di Roberta Forbia. Ci tengo molto a ringraziare Roberta e Carlo Gioia, che invece mi ha aiutata nel ripensare alla parte virtuale dell’opera e a costruire il mio sito.