L’Arcivescovo contro i talk show: ci vuole un po’ di silenzio

Il neo Cardinale Giuseppe Betori continua la sua tradizione di scrivere, in occasione delle benedizione delle case, una lettera a tutte le famiglie della diocesi, usando i suoi sacerdoti come inusuali postini-messaggeri della Parola. “Carissimi – scrive Betori – come ogni anno, l’arcivescovo torna nelle case delle famiglie della diocesi con una lettera, che accompagna i sacerdoti e i loro collaboratori nella tradizionale visita in occasione del cammino verso la Pasqua. Sono parole che, con semplicità, intendono aiutare a riflettere su qualcosa che sia utile alla vita familiare; ma – ne sono consapevole – sono anche parole che rischiano di essere travolte nel chiasso che ci circonda, confuse tra le molte che invadono sistematicamente le nostre giornate”. Poi la tremenda verità di cui la nostra società poco si accorge: “viviamo di solito avvolti da mille voci, che spesso assumono l’aspetto di un fastidioso rumore, in cui faticano a imporsi parole sensate e stenta a trovare spazio un dialogo sereno. Il silenzio sembra essere scomparso dal nostro mondo. A prima vista potrebbe anche sembrare una buona cosa: si potrebbe ritenere che a più voci possano corrispondere più informazioni. Ma non sempre è così; e, soprattutto, siamo proprio sicuri che un po’ di silenzio in più non gioverebbe? Sembra che la gente cominci a convincersene; si avverte in giro, infatti, una qualche nostalgia del silenzio”. Betori vede nei talk show televisivi, in cui di norma i partecipanti non si ascoltano e non dialogano tra loro, ma si limitano a ripetere la propria opinione senza curarsi degli altri, parlando gli uni su gli altri senza ascoltarsi”, tutti i mali. “Abbiamo smarrito il desiderio della verità e con esso è scomparsa la disponibilità all’ascolto e al dialogo. Come dice la stessa espressione talk show, non si tratta di metterci in ascolto della parola dell’altro ma di fare uno spettacolo di parole: queste non hanno lo scopo di indurre a pensare, ma devono soltanto colpire, sedurre”. Quindi l’indicazione della soluzione: “per ascoltare occorre saper tacere, altrimenti parole e voci si sovrappongono e ne risulta solo un grande confusione. Di qui l’importanza di una educazione al silenzio, nella vita personale e in quella sociale, ma anche in quella religiosa”, Ma non tutto il silenzio fa bene per Betori: “C’è anche da fare attenzione però al modo con cui si sta zitti, perché c’è un silenzio carico di odio, il mutismo con cui si vuole creare un muro tra noi e gli altri, la chiusura in se stessi che può significare tanto la fragilità della insicurezza quanto il rifiuto del disprezzo. Da questo silenzio occorre fuggire, perché non ha nulla a che fare con il silenzio vero, quello da cui scaturisce il dialogo e che custodisce il mistero”. Nel silenzio più disperante, quello della morte, risuona la voce di Dio, l’unica speranza con cui l’uomo può dare futuro alla vita, la voce dell’amore. Questa parola di speranza, una speranza certa perché fondata sulla vittoria di Cristo – conclude il porporato – accompagni ogni giorno il vostro cammino”.

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