L’aranzullizzazione sociale

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Salvatore Aranzulla

C’è un motivo se Austin Powers ci fa così ridere e così commuovere, assieme: in fondo, è come noi; solo che essendo stati ibernati per cinquant’anni ha un punto di vista molto più lucido e obbiettivo sulle trasformazioni che ci sono state nel frattempo. Mentre noi giorno dopo giorno abbiamo visto il Sogno Americano, la Golden Age, il Miracolo Italiano affievolirsi al punto di diventare un quotidiano esercizio di sopravvivenza col filo di gas, lui dai favolosi Sixties si trova catapultato qui e approccia tutto come potrebbe fare uno che in fondo pensa si tratti di un sogno psichedelico.

E chissà che non sia l’unico modo, in fondo. Lasciate perdere l’evoluzione tecnologica, la mercerizzazione della morale, la disillusione della fine delle grandi idee; scordatevi la crisi economica e la morte della rivoluzione intellettuale e sessuale. Sono tutte fascette che avvolgono lo stesso libro, con edizioni diverse, ciascuna scritta da una casa editrice che promette, solo lei, bene arrivata, di fare sfracelli al botteghino. Il termine che meglio potrebbe descrivere la realtà odierna, specie (ma non solo!) nel campo dell’espressione artistica è – grazie alle possibilità offerte dalla meravigliosa lingua italiana – il neologismo che qui adesso andiamo coniando: “Aranzullizzazione”. E ci scuserà il prode Salvatore Aranzulla se prendiamo a prestito il suo nome per andare a illustrare il nostro punto di oggi.

Aranzulla, come molti sapranno, è un blogger professionista che ha una quota di letture del suo sito più o meno pari a quella degli angeli che ballano sulla capocchia di un fungo prataiolo, e si occupa di tecnologia e affini. Interrogato sul perché e percome di tale strepitosa fortuna, in una bella e onesta intervista replicava (parafrasi liberissima nostra, ma fedele al concetto): non c’è un segreto. Bisogna stare in campana e osservare quello che la gente chiede. A questo punto, attrezzarsi per darglielo, in maniera semplice, diretta e comprensibile. Tutto qui. Fugato, crediamo, ogni dubbio circa il fatto che il professionista di cui sopra sia un ingenuo, e fatta salva la professionale serietà del suo operato, una volta compreso per bene quello che ha detto ci si può accorgere che è esattamente quello che sta succedendo in ogni campo della società.

La gente si lamenta del petto di pollo stopposo? Alé, d’ora in poi i polli non avranno più petto. Le patate ci mettono troppo tempo a cuocere? Precuociamole. La gente salta il 90% del film porno e va dritta al finale? Mettiamo online solo il 10% del climax. Non frega niente a nessuno della situazione di Mogadiscio, vogliamo però sapere se possiamo andare in vacanza nel weekend? La notizia del bombardamento è cassata, via libera al meteo e alle chiappe delle tipe che giocano a beach volley, scene di repertorio, estate ’92 (ma in fondo chi se ne frega?). Tutti comprano le obbligazioni Banca delle Marche, perché sforzarsi anche di spiegare che esistono titoli meno a rischio? Vuoi la Stratocaster perché ti senti Jimi Hendrix? Eccotela, non sarò certo io a dirti che vale la metà della copia coreana che costa un quarto, anche perché andresti in un altro negozio e l’affare lo farebbe la concorrenza.

Il risultato: aglio poco piccante, crackers senza sale, vino senza alcool, insalata già lavata, pomodori senza sapore, mentine senza menta, dolci senza grassi e senza zuccheri (cosa ci sia dentro non è dato sapere). Quello che non ti dicono mai è che si tratta di un falso piano, e che tutto sta scivolando costantemente – ma non meno velocemente – sempre più verso il basso; perché nel tentativo di intercettare i gusti delle masse, dove stanno i pochi ma molti soldini dei tanti piccoli acquirenti, via via si impongono standard sempre più mediocri, predigeriti, facili a consumarsi, roba che scivola dentro e fuori senza colpo ferire. E sono pochi i settori in cui è evidente questa tendenza quanto quelli delle arti quotidiane e minori, musica e scrittura popolare. Per lunghi, lunghissimi anni, chi prendeva una chitarra e saliva sul palco non pensava a quante copie avrebbe potuto vendere il suo disco prima di mettersi a suonare: desiderava abbattere i mostri sacri che l’avevano preceduto e incendiare la gente là sotto e mettersi magari anche qualcosa nello stomaco, nel mentre.

Chi metteva mano – letteralmente – alla penna sognava di fare in modo che di lui si parlasse per sempre come di uno scrittore, un giornalista, un poeta che aveva finalmente dato voce e sangue ai pensieri, alla vita vera, alle emozioni che non riescono a uscire diversamente, con uno stile che tutti avrebbero invidiato quanto a verità, pulizia, precisione; e mettersi magari anche qualcosa nello stomaco, nel mentre. Incidentalmente, questo continuo sfidarsi e sfidare produceva capolavori che restano oggi inarrivabili come le piramidi e gli acquedotti romani, e una produzione media talmente superiore a quella attuale da far pensare che sia arrivata direttamente da Titano. Il problema non è Aranzulla; non sono i Fabio Volo, i Gramellini, i Maria De Filippi e i Cinepanettoni.

E’ l’abbassamento della richiesta costante, continuo, come se quello che si spende per ottenere le cose (e i soldi sono il meno, di fronte al tempo e al sopire di ogni passione) fosse tutto sommato di scarso valore; ci sta che un pollo se ne esca con sessantotto romanzetti tutti uguali che neanche gli Harmony, o che quattro ragazzetti si colleghino a Youtube e vivano il successo discografico dell’estate per poi svanire nel nulla. Tutto in discesa. Ma c’è un lato del declivio ancora più ripido, anche se non sembra: l’adagiarsi sulla ricerca delle vecchie glorie del passato (perché tanto oggi tutto fa schifo, nevvero) per poi vedersi propinare i concerti dei pensionati di sempre che ripropongono produzioni di quarant’anni fa, e opere omnie di Kerouac che erano già vecchie e decotte a cinque anni dalla loro stesura, e John Fante, e robaglie di Kubrick, e schifezze di Buk e di Pasolini e di cover di cover di cover dei Nomadi. Dove il Passatismo sfrenato incontra l’Aranzullizzazione finalmente troviamo il vero nome di questo mostro che ingoia tutto: e state attenti perché è Numero di Uomo, e il suo nome è Pigrizia Mentale.

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