Petizione di cervelloni come ai “vecchi” tempi, ma stavolta la solidarietà corre sui social e nella chat di WhatsApp. In una nobile e mobile – vista la diffusione – lettera di tenore, sapore, spessore e valore umanitario (tipo l’appello di Bertrand Russell e Albert Einstein contro le armi nucleari nel 1955 a Londra), il sindaco di Reggio Emilia apre una riflessione inclusiva, di cuore più che di pancia (e comunque più di testa che da libro “Cuore”), sui tipi disagiati ed emarginati come fonte di paura. In sei giorni raccolte 700 firme dal mondo centrosinistro (ma non solo area cattocomunista, non solo gangli radical chic, non solo stakeholder vari). Il primo cittadino si presenta completo: da capo politico-amministrativo a maître à penser civile…
“Quale spazio avranno nei prossimi anni, a Reggio Emilia e altrove, le persone fragili, tutte le persone fragili? La battaglia per estendere i diritti vale ancora la pena di essere combattuta? Come ci poniamo verso chi soffre, verso chi paga il prezzo delle diseguaglianze?”.
L’incipit non è per niente male: scuote e interroga le coscienze tutte (alcune in ferie… ma la rete arriva ovunque, è il potere della banda larga), dai cerchi magici concentrici all’uomo della strada, dai padri comboniani ai padri di famiglia, dagli operai in cantiere ai professionisti in carriera, dagli intellettuali ancora in servizio (per definizione impegnati) alle anime cherubine dei tinelli bene (per definizione sensibili). Dal centro alle periferie, da Capalbio a Riccione, da Cortina a Febbio, insomma dalle spiagge e dai monti (dalle baie alle baite), tutti in chat a controfirmare il manifesto (riflessioni, intenti, pratiche) che diventa petizione: ed è subito un coro di passaparola e di click sul touchscreen. Un documento socio-culturale di largo respiro e rapida condivisione: non un riflesso condizionato, ma un’adesione cosciente sotto il sole cocente di Ferragosto.
Circa 700 firme in sei giorni. Almeno una cinquantina sono sindaci, amministratori, esponenti del Pd. Quindi i simpatizzanti, gli addentellati e collaboratori di varia provenienza, certo, ma anche tanti altri della cosiddetta “comunità (reggiana) estesa”. La maggioranza dei nomi appartiene al mondo della sanità, del terzo settore, della scuola, dell’accoglienza, della cultura e delle cooperative sociali reggiane. Un moto virile e virale di adesioni, che forse nemmeno il sindaco Vecchi si aspettava quando, giovedì scorso, ha scritto una lettera che è un appello all’umanità.
Restiamo ancorati ai nostri valori, non facciamoci travolgere dalla paura per il diverso, non abbandoniamo i più deboli ma aiutiamoli perché, un giorno, i più deboli potremmo essere noi. È un appello politico nobile, che ha avuto un buon riscontro nella comunità reggiana, notoriamente sensibile alla solidarietà.
Il documento, che circola sull’account di Google Drive “cittainclusiva@gmail.com”, inizialmente era un testo preparatorio verso un incontro nazionale dell’Anci a Reggio Emilia, di cui Vecchi è rappresentante per quanto riguarda il welfare… ma poi si è trasformato in un manifesto contro il razzismo, la paura, il populismo.
E così, su internet e su WhatsApp, è iniziata una catena di firme. Medici, docenti, artisti, scrittori, volontari, rappresentanti del mondo cooperativo e sociale, sportivi. Una lista arrivata a settecento persone ma che continua a crescere di ora in ora. Un’alzata di scudi, si legge nelle parole del sindaco, non solo verso i richiedenti asilo. Anzi. Loro sono il punto di partenza da cui si sta diffondendo un’intolleranza nei confronti di tutti i più deboli. Quelle persone che “vorremmo vedere un po’ più in là rispetto a casa nostra”. Ex tossicodipendenti, ex alcolisti, senzatetto, dipendenti dal gioco d’azzardo, persone afflitte da patologie psichiatriche. In una parola, i diversi.
IL TESTO DELL’APPELLO IN DIFESA DEI PIU’ DEBOLI
“Quale spazio avranno nei prossimi anni, a Reggio Emilia e altrove, le persone fragili, tutte le persone fragili? La battaglia per estendere i diritti vale ancora la pena di essere combattuta? Come ci poniamo verso chi soffre, verso chi paga il prezzo delle diseguaglianze?
La questione è molto meno accademica di quanto non appaia e molto concreta proprio oggi, nel momento in cui il confronto su alcune centinaia di profughi sta rapidamente evolvendo, nell’analisi che emerge anche nella nostra terra: prende le mosse dall’argomento delle migrazioni e approda a valutazioni su dove collocare “i malati di mente” (citazione testuale).
Qua e là sulla rete non si risparmiano minori deceduti – come a Luzzara recentemente – singoli e famiglie in difficoltà economiche, mentre c’è chi vorrebbe che i servizi sanitari si rifiutassero di curare persone la cui documentazione non sia “perfettamente in regola”. I deboli e gli ultimi, dunque, come fonte di paura.
Ciò interroga ognuno di noi e la comunità, la nostra identità, e richiede lo sforzo di un dialogo laico e sincero, su che tipo di società immaginiamo e per quale futuro lavoriamo. Sta bene a tutti, come da alcuni viene propagandato orgogliosamente in questi contesti, il concetto secondo il quale “d’ora in poi chi ce la fa da solo bene, chiunque resti indietro deve essere escluso?”.
Non stupisce il fatto che un dibattito prima di tutto europeo e nazionale sia atterrato in chiave locale. È un’epoca di inquietudini profonde e di incertezze, da ascoltare con attenzione per provare a trovare le giuste soluzioni. Davanti alla constatazione che qui le cose funzionano meglio che altrove, che non vengono segnalati casi di malaffare o malagestione, si può e si deve peraltro avere il coraggio di testimoniare una situazione spesso taciuta o ignorata.
Esiste a Reggio un sistema che ha curato e dato risposta – servizi pubblici e terzo settore, volontariato e associazionismo, secondo le autonome competenze – ai bisogni dei più fragili e delle loro famiglie, di migliaia di persone.
Esperienze e realtà che hanno operato non solo verso gli stranieri (anzi, a scanso di strumentalizzazioni, in percentuale sono una netta minoranza), ma verso tantissimi altri: hanno intrapreso percorsi con ex tossicodipendenti ed ex alcolisti, adulti con problemi psicologici, donne fatte oggetto di persecuzioni o di tratta, vittime delle ludopatie, anziani in difficoltà, scoperto le potenzialità di persone con abilità diverse; aiutato poveri, ex carcerati, lavorato nell’ambito della cura educativa dei minori e delle fragilità familiari e genitoriali.
Ogni donna o uomo nella propria vita può attraversare momenti difficili, ha un parente o un amico che cade, che necessita di una mano. Basterebbe prestare un po’ di attenzione per scoprire quante storie di riscatto e di realizzazione si sono concretizzate, partendo da una condizione di debolezza.
Una rete ampissima s’è rimboccata le maniche, lontano dai riflettori, in modo solidale e serio, rispettoso delle norme e della dignità umana. E, anche davanti alla crisi economica, la nostra città e la nostra provincia hanno continuato a investire sul welfare, sulle persone: su tutte le persone “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, per citare l’art.3 della Costituzione.
Guardiamoci dentro e diciamoci la verità: è stato un errore? Noi pensiamo che non lo sia stato, e vogliamo continuare a restare umani. Se si può raggiungere un grado sempre più elevato di giustizia per la comunità è lavorando uniti in questa direzione, non uno per uno. Una società con più diseguaglianze è sempre una società con anche meno sicurezza.
Le comunità democratiche non devono smarrire il primato della razionalità che unitamente al senso di umanità è ciò che può accompagnarci a comprendere e affrontare fenomeni complessi, respingendo la deriva dell’odio e della paura e riscoprendo la strada della fiducia nella convivenza civile.
La retorica, nell’era contemporanea, sta tutta nel campo di quelli che raccontano di avere la soluzione di ogni problema “con un colpo di bacchetta magica”, e poi non si impegnano mai su nessun fronte. Tutti gli altri si sforzano di realizzare nel quotidiano una piccola cosa, e la sommatoria di queste azioni finirà per cambiare la storia della nostra generazione e il corso del nostro futuro.
Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia