Le madri ebraiche sono coraggiose per tradizione e definizione: la cultura Yddish ci racconta che tali madri accompagnano il bambino nella deambulazione ma poi, quando è il caso, lasciano che il figlio cammini da solo, ben sapendo che la vita non fa sconti e che la protezione materna non prevede l’eliminazione del rischio. Se si stabilisce un rapporto iperprotettivo si realizza un complesso di Edipo incontrollato che rende il maschio molto fragile alle intemperie della realtà. Esiste una corrispondenza biunivoca tra una protezione eccessiva e una successiva fragilità del bambino.
Nelle famiglie “tradizionali” o meno gli scompensi sono notevoli e la cura dei figli viene affidata alle madri che spesso non lavorano. Ogni madre è una donna con la sua storia personale e la madre se è saggia sa benissimo che l’ iperprotezione è negativa e lesiva dell’autonomia dei figli. Nell’area mediterranea c’è una corrispondenza diretta tra l’autoritarismo sociale e politico e la condizione di sfruttamento della donna. Da vari decenni è stato creato il Ministero delle Pari Opportunità, ma tale provvedimento non ha eliminato la condizione della donna sfruttata nell’ambito familiare affrancandola da un ruolo troppo stretto e da una visione autoritaria della famiglia.
All’interno del la nostra società non viene considerata sufficientemente la “cognizione del dolore” (C. E. Gadda) diffusa all’interno dei nostri gruppi familiari. Tale stato di disagio andrebbe elaborato con la psicologia del profondo ma, oggigiorno, anche le psicoterapie sono improntate a modelli rigidi e comportamentali. Non esiste struttura educativa e/o assistenziale che riesca a provocare una riflessione collettiva su tali temi. I ruoli del padre e della madre mal gestiti all’interno della famiglia provocano disastri all’interno della società. Potremmo cominciare tutti quanti (uomini e donne) a condividere la gestione effettiva dei problemi che via via si presentano nella vita. Infatti se i figli capiscono che i genitori accoppiano la determinazione e il coraggio di non impressionarsi troppo di fronte alle avversità della vita crescono più sereni e tranquilli.
Bisogna insegnare ai figli, precocemente, a cavarsela da soli ma dobbiamo essere sempre presenti in caso di necessità quando lo chiedono. Anche la scuola dovrebbe consentire agli insegnanti di attivare un circolo virtuoso di “educazione all’esperienza” … senza un’eccessiva burocrazia. Non deve prevalere, all’interno del rapporto educativo, l’aspetto formale. Mario Lodi, nel “Paese sbagliato” gestiva la classe per preparare i bambini alla vita e non alla sterile norma formale. Per attuare tale pratica educativa gli adulti non si devono considerare depositari della Verità rivelata e della Saggezza … non si devono considerare Dei!!! “Gli Dei sono diventati malattie” scrisse una volta C.G. Jung. (Nell’antica Grecia esisteva il concetto di Hybris che descrive l’eccessivo orgoglio o pericolosa ed eccessiva sicurezza. Tale atteggiamento mentale veniva aspramente condannato e chi ne era portatore veniva immediatamente destituito da ogni incarico sociale e politico). Noi dobbiamo avere molto chiaro il concetto di limite e attuarlo all’interno delle nostre scelte coraggiose. In altre parole il coraggio non è la capacità di fare la guerra, ma quello di affrontare, con atteggiamento non aggressivo, i problemi dell’esperienza ben sapendo che solo la consapevolezza dei nostri limiti ci può assistere. Tale atteggiamento significa educare alla “gentilezza”. È probabile che tale sentimento (essere gentili) provochi circoli virtuosi nelle relazioni tra esseri umani.
Essere eccessivamente protetti nella società significa spingere verso strade sbagliate gli esseri umani che diventano, quando sono adulti, prevaricatori, dittatoriali ed amanti del possesso. Per instaurare meccanismi sociali più corretti occorre attuare dei percorsi dove venga riconosciuta, accettata e affrontata la nostra normale fragilità individuale e collettiva. Se i processi sopra descritti non entrano nell’esperienza a livello collettivo possono essere attivate situazioni estremamente pericolose. Questa può essere una chiave di lettura per comprendere il terribile evento dei femminicidi. Quale percorso virtuoso può essere messo in opera nel contesto sociale?
Intanto le istituzioni educative del Paese devono essere improntate a una mentalità affettiva basata su atti concreti di vera solidarietà e condivisione dei problemi che la vita propone. Soltanto gli individui, uomo o donna che siano, che hanno affrontato un percorso di introspezione e di analisi della propria storia personale congiuntamente ad un’uscita dalla famiglia di origine possono esprimere valori nuovi e non aggressivi. Coloro che hanno affrontato le parti meno gradevoli del proprio carattere e del proprio modo di agire possono avere una ragionevole speranza di comportarsi in modo più propositivo e corretto. Occorre rinunciare alla maldicenza, agli odi politici, al buonismo, alla “pubblicità” di se stessi, ai balconi e ai cannoni sia reali che metaforici. La gelosia, il Potere e la smania di possesso nascondono paure e fragilità della sfera personale insostenibili di fronte alla giusta esigenza del partner che rompe il vincolo del cosiddetto amore e se ne va per la sua strada. Alla compulsività degli atti quotidiani (“dove vai? …Con chi sei? … Cosa fai?… Mi ami?/ Non mi ami? /Vediamo se davvero mi ami/ Fammi controllare il tuo cellulare/) si sostituisce improvvisamente il femminicidio.
Non serve per un cambiamento reale della situazione l’empatia formale, la falsa gentilezza che nascondono, accuratamente, il disagio e la fragilità dei rapporti interpersonali.
In Italia salvo pochi e lodevoli casi non c’è un’assunzione costante delle proprie responsabilità e dei propri doveri. Abbiamo perfino cambiato il nome al ministero della Pubblica Istruzione con ministero dell’istruzione e del Merito … ma, in realtà, occorrerebbe che tutti quanti cominciassimo a Meritarci i nostri figli e i nostri allievi. Dobbiamo attuare una politica dell’agire concreto, dello spendere se stessi in favore degli altri rendendo la scuola un luogo di apprendimento non formale e stereotipato.
La libertà inizia nel permettere all’allievo, come avviene in tutti gli altri Paesi europei, di ritornare a casa da solo in compagnia degli amici: in questo percorso si realizza un principio di autonomia e di vere sicurezze che saranno la base preziosa per successive esperienze. La scuola deve servire alla vita e non viceversa. Soltanto se educheremo individui liberi e responsabili contrasteremo efficacemente le nostre fragilità che, talvolta, esplodono in maniera drammatica all’interno della coppia.