“L’Albero, Il Pendolo, Il Principe” di Ivan Malevolti

Firenze – Per le edizioni thedotcompany è appena stato pubblicato “L’Albero, Il Pendolo, Il Principe“, 15 racconti di Ivan Malevolti. Pubblichiamo la prefazione di Piero Meucci.

Andate per boschi e colline, campi e fattorie e provate a estenuare fantasia e sensazioni sovrapponendole a quello che vedete dintorno. Solo in modo approssimativo vi troverete all’interno del mondo narrato da Ivan Malevolti.

Per seguire il filo dei suoi 15 racconti si può usare forse la facile definizione di “Kafka con gli scarponi”, ma anche questa non basta per offrire una cornice concettuale alla vasta esplosione di immagini e metafore surreali di cui il libro abbonda. Anche perché l’autore ha qualcosa in più rispetto agli scrittori che si mettono a fantasticare ed elucubrare seduti al tavolino con la finestra aperta, possibilmente al crepuscolo.

Malevolti è uno scienziato che è stato stimato docente presso la Facoltà di Agraria di Firenze, è esperto di marketing agro-alimentare e, dopo la pensione, è rimasto fortemente legato al territorio e al paesaggio rurale mettendo a frutto l’amore incondizionato per la montagna in tutte le stagioni e diventando un ricercato organizzatore di percorsi di trekking in tutte le dimensioni di altura: dalle colline fiorentine, al Falterona, alle Alpi.

L’altra passione è la scrittura e i racconti che le edizioni Thedotcompany presentano sono  ben più di un esercizio di stile e uno sfogo da tempo libero. Sono lo specchio di un incessante dialogo con i propri fantasmi, le aspirazioni, i desideri insoddisfatti, come nella ricerca di assoluto che si esprime anche attraverso la deformazione, l’assurdo e il paradosso, l’urlo e la furia. Il punto di ebollizione dei conflitti che sublima in sogni (e incubi) che avvolgono il lettore.

L’autore si vede come una specie di Narciso ripiegato a frugare dentro se stesso per poi rivestire del suo immaginario quanto intravede e portarlo alla luce perché potrebbe essere utile per altre coscienze, altri conflitti. Rimanendo sempre in un rapporto esclusivo con la natura che di queste immagini è generosa dispensatrice.

Con queste premesse il lettore ha già compreso che deve aspettarsi quindici quadri diversi nei quali tuttavia è possibile individuare elementi comuni. Primo fra tutti la ribellione della natura contro la violenza dell’uomo. Nella sua visione naturalistica c’è infatti una sostanziale continuità fra gli esseri viventi, animali, alberi, umanità.

Dunque perché stupirsi se “l’albero fu uomo, l’uomo fu albero” (l’Albero o se una colonia di formiche si impadronisce del cervello di ” un distinto uomo di studio il cui unico interesse era di scoprire o di conoscere i segreti delle scienze e delle arti” (L’uomo e le formiche).  C’è poi il senso del tempo scandito nella prigione di un lavoro arido e ripetitivo come quello del contabile dalla quale non si può fuggire (Il prigioniero). Non  ci sono vie d’uscita: è vano progettare una vita con un  lavoro modesto e senza grosso impegno intellettuale “per preservare energie da dedicare all’Arte”.

Anche  lo spazio è l’anticamera dell’assurdo (e dell’alienazione), nella mente del protagonista de “la casa tubolare” il cui contorcimento “era molto vicino ai contorcimenti e alle volute della mia mente”. La relatività dello spazio – tempo e il trovarsi in un mondo distopico comunque brutale e disumano è il tema di altri racconti come “Il pendolo non oscilla sempre uguale”, e soprattutto quello che rappresenta il punto d’arrivo del viaggio fantastico (fantasia super popolata di esseri più o meno reali alla Hieronymos Bosch) dal titolo “Il sogno delle scatole cubiche”.

Il racconto è un genere letterario difficile e poco frequentato in un’epoca che passa dalla brevità istantanea del messaggio al romanzo lungo che aiuta il povero proprietario di smartphone a uscire per qualche tempo dalla girandola frenetica in cui vive la sua quotidianità. Tuttavia i quindici racconti di Malevolti costituiscono momenti separati di una stessa storia .  Un filo unico e coerente che parte dal primo racconto dell’assurdo “Indicazioni per una “Tragedia su un maiale” nel quale l’autore stigmatizza  in forma cinica e parodistica l’industria dell’alimentazione animale attraverso la rappresentazione teatrale della breve esistenza di un maialino da ingrasso. Attraverso gli altri racconti il filo arriva alla conclusione  con “Veleno di vipera”. “Da ragazzo, per i campi e per i boschi, nei viottoli o nell’erba alta, non avevo paura delle vipere…”: così comincia la storia dell’uomo morso per tre volte dalle vipere: “Oggi, ve lo dico io, il mio sangue è incrociato con quello delle vipere e anch’io ho certi costumi particolari di quella specie animale”.

 

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