Da un po’ di tempo a questa parte è invalso l’uso, anche alle nostre latitudini, di grandi proclami accusatori via media cui generalmente non segue fatto alcuno. Dai casi irrisolti delle uccisioni partigiane del dopo guerra, ai misteriosi delitti degli anni ’80 (fra tutti quello di don Amos Barigazzi), alle recenti vicende amministrative, è tutto un annuncio di imminenti “clamorosi sviluppi” che si esauriscono poi con la lettura del giornale al bar. Intanto se ne parla, si sputtana, si denuncia, si moraleggia; serve almeno ad esercitare criticamente la propria coscienza e magari ad individuare qualcuno che la fa peggio di noi. 7per24 spesso mette in guardia dalla grancassa giustizialista, non per parare il culo ai rei ma perché sovente l’annunciata azione contiene i germi della tarpata reazione.
Sia chiaro, non che i giornalisti non debbano fare il loro mestiere (fanno benissimo a sollevare questioni che toccano la gestione allegra delle risorse della comunità) né che le opposizioni non debbano spulciare tra gli atti (molto vaghi per la verità) che testimoniano di viaggetti istituzionali dai contorni spesso indefinibili, ma ci piacerebbe invece un atteggiamento della Magistratura meno ciarliero coi cronisti e più fattivo sulle inchieste. Ciò detto, risulta al limite del paradosso la lamentela del reggente Ugo Ferrari che adombra una semi-persecuzione giudiziaria nei confronti dei suoi: gli andrebbe ricordato che il suo partito è riuscito a livello nazionale ad eliminare Berlusconi grazie a quella vera o presunta corsia preferenziale verso le aule di giustizia. Il doppiopesismo è dimensione esecrabile, quanto ampiamente praticata, dai politici di ogni risma.
Sulla rimborsopoli nostrana ci siamo anche troppo sbilanciati: la ricostruzione degli spostamenti amministrativi, nelle consumazioni, nei trasferimenti e nei pernottamenti, è già utile a delineare figuracce in alcuni casi. E probabilmente l’additamento al pubblico ludibrio riporterà i nostri a più morigerati atteggiamenti. C’è materia per ipotesi di reato? Lo sapremo presto, forse. A noi pare che il problema centrale dell’affaire scontrini siano le regole a dir poco spannometriche con cui si notificano i trasferimenti istituzionali extra moenia. La ricostruzione di alcuni spostamenti necessita di pazienza certosina e intuito alla Sherlock Holmes; la facilità con cui si può rendicontare il viaggio (anche con carte che non rappresentano scontrini fiscali e quindi compilabili a discrezione del soggetto) rasenta l’arbitrio. In un clima di (sacrosanto) sospetto, adottare misure cristalline e stringenti terrebbe lontani i legittimi dubbi più dei comunicati stampa a posteriori.