La lezione di Parise contro il pensiero unico

Dialogo sul grande scrittore e giornalista

di Alberto Biancardi e Romolo Paradiso*

Goffredo Parise

Questa intervista è stata pubblicata anche sulla rivista dell’Arel

Giosetta Fioroni è stata la compagna di Goffredo Parise negli ultimi vent’anni di vita dello scrittore. Ci riceve nel suo grande studio romano insieme all’amica Mirella Petteni Haggiag. Anche Mirella ha conosciuto bene Goffredo Parise. Attorno a noi, sulle pareti vi sono molte immagini dello scrittore e tanti dipinti di Giosetta. La Fioroni è una nota pittrice. Le sue opere sono esposte nei principali musei italiani, ed è stata tra i fondatori, con Mario Schifano e Tano Festa, della scuola romana di Piazza del Popolo. Durante il nostro incontro, parliamo di Parise e della verità. Ricordi personali e aneddoti si intrecciano con domande e risposte, in un excursus nel quale il carattere, la scrittura, la sensibilità e il percorso di vita dello scrittore, ricordati da Giosetta Fioroni e arricchiti da Mirella Petteni Haggiag contribuiscono a tracciare un quadro nitido sul senso e il valore che “la Verità” aveva per Parise.

Alberto Biancardi e Romolo Paradiso. Quale prima sensazione o immagine evoca l’accostamento del nome Goffredo Parise alla parola verità?

Giosetta Fioroni. Il fatto che lui dicesse la verità o, per lo meno, quello che pensava, in faccia a tutti. Goffredo era un uomo diretto, non mimava, non mediava. In molte circostanze, aveva proprio un caratteraccio, al limite del sopportabile. Non voleva perdere tempo. Presago di non averne molto da vivere!

Mirella Petteni Haggiag. Probabilmente, era il sentimento forte che provava fin da giovane sulla brevità della sua vita – morì infatti a soli 56 anni – a indurlo a tenere questo atteggiamento.

G.F. Non a caso, iniziò giovanissimo a scrivere. Il suo primo romanzo, Il ragazzo morto e le comete, venne presentato all’editore Neri Pozza quando Goffredo aveva soli vent’anni, ma lui lo aveva composto all’età di diciassette. Seguirono, a breve distanza, La grande vacanza e la cosiddetta trilogia veneta: Il prete bello, Il fidanzamento e Amore e fervore. Poi, dal 1959 al 1964, ci fu una pausa, che durò fino alla pubblicazione de Il padrone. A soli trent’anni – era del 1929 – Goffredo aveva già composto una parte rilevante della sua produzione letteraria.

A.B.-R.P. Parise, dunque, esprimeva il suo bisogno di verità nella vita pubblica e in quella privata…

G.F. Sì. A questo proposito vi racconto un breve aneddoto che mi sembra molto esemplificativo. Noi (Giosetta e Goffredo, ndr) ci conoscemmo nel 1963. Non era passato molto tempo dal primo incontro. Eravamo da amici, in una casa di montagna. Tutti riuniti a chiacchierare. Per meglio dire, tutti meno Goffredo, che dopo un po’ sparì completamente. Preoccupata dalla sua persistente assenza, iniziai a cercarlo e lo trovai nel bagno della casa, disteso e bianco in volto. Appena mi vide, mi chiese di bagnargli il viso. Si sentiva male e temeva di svenire. Nonostante fosse vestito con giacca e camicia dovetti accontentarlo e lo bagnai abbondantemente di acqua. Gli chiesi, ovviamente, il motivo del suo malessere. Mi rispose che la causa di tutto era la noia suscitata in lui dagli amici e dalle loro conversazioni… Ma c’è di più. Infatti, ripresosi dal malessere pretese di uscire di soppiatto dalla casa senza farsi vedere. E non riuscii nemmeno a convincerlo a lasciarmi andare dagli amici per salutarli e per fornire una qualche giustificazione della nostra assenza e successiva fuga.

A.B.-R.P. La necessità di esprimere il proprio pensiero e le proprie sensazioni in modo diretto e non mediato ci pare la caratteristica principale anche dello scrittore Parise. Il primo percorso verso la verità sembra essere, dunque, di natura individuale. Leggendo Parise si intuisce che anche nella contraddittorietà della vita delle persone può nascondersi verità. L’osservazione attenta e minuziosa degli atteggiamenti, dei silenzi, del tono di voce, degli sguardi, nelle emozioni evidenti e no, è atto essenziale nella ricerca della verità. Silvio Perrella nella postfazione alla raccolta “Lontano” ha definito Parise «nichilista felice. Un nichilista che fissa gli occhi sull’origine e che sa che deve distogliere subito lo sguardo (dal vero, aggiungiamo noi). La Medusa è in agguato». Come dire che la verità la si può vedere, la si può ammirare, ma solo per un attimo. Poi, soddisfatti – e tutto sommato felici – si ritorna alla vita normale, imperfetta ma anche per questo piacevole. Un altro riferimento essenziale a riguardo ci pare la voce “Felicità” dei Sillabari, che per Parise è qualcosa di inconsapevole, molto intensa e di durata istantanea. Poi, la si ricorda piacevolmente. Sembra non si possa chiedere di più.

Giosetta Fioroni

G.F. Goffredo si riteneva, diciamo, un anarchico individualista. In questo senso, la verità, come la libertà o la felicità non può che essere raggiunta se non a livello individuale.

A.B.-R.P. Quando parla di anarchismo non si riferisce ovviamente a un orientamento politico.

G.F. Certamente no. Non era né fascista, né comunista. Non era interessato alla politica in quanto tale. Aveva una natura legata al suo estro. Il suo era un atteggiamento d’interesse “umano” verso gli altri uomini. Era una persona fuori dagli schemi. Non credeva nelle ideologie. Non è che non volesse appartenere, non poteva farlo. L’indipendenza era nel suo dna. La ragione era la sua vera ispiratrice. Insieme però alla sensibilità. Una forte sensibilità!

A.B.-R.P. Una terza dimensione del percorso di Goffredo Parise che vorremmo esplorare con voi – dopo esserci riferiti all’atteggiamento personale e alla ricerca individuale – è quella di natura collettiva, politica o, comunque, non individuale. Verità in questa accezione è l’opinione condivisa, vera perché tutti la ritengono tale e la accettano. Il vero, in questo caso, non è il bello o il giusto. Il riferimento obbligato è al romanzo “Il padrone”, recentemente oggetto di ristampa. Il protagonista adotta comportamenti sempre più grotteschi. La discesa è inesorabile e chiara fin dall’avvio del romanzo. Tuttavia, il contesto sembra poter giustificare il comportamento medesimo e dar valore (verità) allo stesso, anche se di per sé il comportamento sarebbe inaccettabile e non soddisfacente.

G.F. La dimensione a cui avete fatto cenno è comunque di importanza minore rispetto alle due precedenti. Non bisogna scordare che Il padrone va letto unicamente come una favola grottesca, anche se il riferimento abbastanza esplicito è a Milano e a Livio Garzanti. Tutti i nomi utilizzati per i personaggi – dottor Max, Diabete, Lotar – sono nomi di fumetti, proprio per rendere il quadro del tutto fantasioso e preoccupante!

A.B.-R.P. La natura di favola grottesca de “Il padrone” non implica, necessariamente, il disinteresse di Parise per la dimensione sovraindividuale. Anche se Parise scrisse, ad esempio, che il binomio democrazia-tangente è sostanzialmente inscindibile, la ricerca di una via d’uscita dalle due teologie alternative che il suo tempo gli offriva – marxismo e consumismo – sembra sempre ben presente nella sua opera. Ad esempio, nella rubrica che Parise teneva per «Il Corriere della sera», “Parise risponde” – come ci ricorda Silvio Perrella nella sua biografia “Fino a Salgarèda” – lo scrittore affermò di credere nella democrazia in Italia, ma di considerare il successo del suo consolidamento nel nostro paese legato alla pedagogia, cioè al grado di maturazione di tutti i cittadini per un discorso pubblico. Un altro esempio è costituito dai viaggi e dall’importanza che questi hanno avuto per lui, al fine della ricerca di mondi e uomini diversi. Ma anche di se stesso.

G.F. È così, anche se ciò che lo spinse al viaggio fu principalmente la sua acuta curiosità e, ancora una volta, la sua voglia di incontrare uomini, per confrontarsi e capire. Non certo le ideologie o i sistemi politici che li governavano. Goffredo ha viaggiato molto, soprattutto nei paesi dove allora vi erano regimi comunisti. Di nuovo, in queste circostanze, la sua visione era dissacratoria. Non accettava che gli americani, per così dire, fossero tutti cattivi e gli altri tutti buoni. Cercava di capire. Non pensava di incontrare il Verbo. Quando si rese conto che Ho Chi Min era un noto omosessuale, fin dai tempi del suo soggiorno a Parigi, gli sembrò naturale poterne parlare. Così come rimase dolorosamente stupito di vedere i cadaveri di alcuni giovanissimi vietcong che avevano disegnato sul polso un orologio, non avendone mai conosciuto uno vero.

M.P.H. È chiaro che scrivendo questo Parise portava in Italia, e non solo, una “verità” che in quel momento non poteva “ideologicamente” essere accettata e quindi veniva facilmente confutata come menzogna. Ma tale, lo sapremo bene più in là, non era. Con questo suo modo di fare Goffredo sfidava il credo comune e soprattutto le coscienze, cercando di disporle alla ricerca della verità.

G.F. E poi il viaggio come stimolo ad affrontare quel viaggio interiore che ognuno di noi non dovrebbe mai dimenticare di intraprendere.

A.B.-R.P. Il comandante supremo delle forze Usa in Vietnam, generale Westmoreland, non viene trattato meglio…

G.F. È vero. Il suo ritratto è durissimo, ma anche molto divertente. Venne descritto come un misto fra un console romano, la statua del discobolo, Abramo Lincoln, James Bond, Superman. Il tutto unito dalla dolce, familiare, universale marca Palmolive. Siamo ancora una volta di fronte a un atteggiamento di verità, che scava nel carattere degli americani, nella loro estrema semplicità e, a volte, nella ingenua goffaggine

Goffredo Parise ritratto da Mario Schifano

A.B.-R.P. Sotto questo profilo, appare comprensibile la sua decisione di non documentarsi più di quanto strettamente indispensabile prima di ogni suo viaggio. Il fine era di incontrare e di capire; per farlo ogni informazione in più avrebbe potuto essere un velo fra Parise e la verità delle cose.

M.P.H. Sì, è corretto, anche se in tale circostanza forse più che di verità si deve parlare di innocenza.

A.B.-R.P. Ma l’innocenza è lo strumento forse più efficace per arrivare alla verità. I bambini ne sono portatori. Nel loro nitore c’è la verità.

G.F. Credo che Parise condividerebbe questo pensiero.

A.B.-R.P. Abbiamo esaminato, discutendo del viaggio, un’ulteriore dimensione nel percorso verso la verità di Goffredo Parise. Ce ne resta un’altra, almeno a nostro avviso. Quella rappresentata dalla sua stessa scrittura. Il suo linguaggio, preciso, secco, dove nulla è retorico, è di per sé una ricerca di verità. Forse si potrebbe citare il Nanni Moretti di Palombella rossa: «Per pensare bene bisogna parlare bene». Il fascino esercitato su di lui dal Giappone ha in questo aspetto un elemento molto rilevante, come testimoniato dal suo testo “L’eleganza è frigida”1.

M.P.H. Goffredo Parise è stato uno stilista della scrittura. Possiamo dire che la sua vera ideologia era la semplicità. La sua allergia alle inutili complicazioni è notoria.

G.F. Un altro aneddoto, oltre a quello raccontato in apertura, ci può ben spiegare il suo atteggiamento verso la scrittura e la semplicità. Un giorno scese nel giardino di fronte a casa e vide un bimbo con un gran libro sulle gambe. Il libro era aperto su due pagine interamente verdi e su cui vi era un’unica scritta: l’erba è verde. Il bimbo era completamente assorto nella contemplazione del libro stesso. Goffredo rimase colpito da questa immagine e mi disse di aver avuto da questo incontro una piccola ma importante fonte di ispirazione per la scrittura dei Sillabari.

M.P.H. Chi è veramente grande scrive sempre in modo semplice.

A.B.-R.P. Resta da chiarire cosa sia la verità per Giosetta Fioroni e per Mirella Petteni Haggiag, cioè per chi come voi è stato così vicino a Goffredo Parise. Non si può parlare di una verità ma delle verità, rispondono d’accordo Giosetta e Mirella. La vita e il mondo sono costituiti da elementi differenti, che si incontrano, si separano e si mescolano fra loro. Mirella Petteni Haggiag aggiunge che questo può avvenire anche in tempi molto lunghi e non solo fra persone vive. «Si può percepire benissimo la presenza di chi non è più fra noi. Anche questo è verità». Giosetta Fioroni, invece, ritiene che non c’è niente di meglio che il riferimento a Rashomon, il capolavoro di Akira Kurosawa, per capire la pluralità della verità. La stessa storia – nel film l’uccisione di un samurai da parte di un malfattore – se raccontata da più persone, può avere caratteristiche anche sensibilmente differenti fra loro. Ma tutte, almeno in parte, possono essere vere. «La verità – ci dice Giosetta Fioroni – è come la bellezza: difficile, molto difficile!».

Nota

1 Goffredo Parise dedicò L’eleganza è frigida a Boris Biancheri, allora ambasciatore in Giappone, e a sua moglie Flavia. In un’intervista rilasciata per il numero 1/2011 della rivista dell’Arel, il compianto Biancheri così ricordava l’amico Parise col quale aveva condiviso anche la militanza in Gruppo ‘63: «Inizialmente Goffredo era molto prevenuto; poi, invece, se ne innamorò, così come era accaduto a me. Il Giappone è un paese dove le cose sono nascoste, nulla è quello che appare in superficie. Del resto, si può cogliere questo aspetto anche se si pensa agli oggetti più tradizionali, come il ventaglio, che nasconde il viso, o il paravento, che nasconde qualcos’altro. Lo stesso linguaggio più che a dire tende a non dire… ed è multiforme, quasi impossibile da capire, perfino per i giapponesi, perché c’è il giapponese dei ricchi, quello dei poveri, c’è il giapponese delle donne, e c’è quello degli uomini… Neanche i numeri vengono detti nello stesso modo. Al di là del paradosso (ma la sostanza è quella che ho descritto), direi che uno dei grandi segreti è che i giapponesi si capiscono meglio col segno scritto, che viene dal cinese ed è più facilmente intellegibile. Perché il linguaggio verbale è soggetto a continui fraintendimenti, che a loro volta fanno sorgere nell’interlocutore interrogativi complessi e a volte addirittura angosciosi. Quando raccontai queste cose a Parise, egli si incuriosì e decise di venire a vedere. Venne, e restò un mese e mezzo, forse anche più. E il Giappone gli piacque straordinariamente, era pazzo di felicità, usciva al mattino, quando tornava non stava neanche in piedi da quanto aveva camminato… E scrisse quel bel libro sul Giappone, molto vero e poetico» (ndr).

*Giornalista, ha collaborato con numerose testate nazionali. E’ ideatore e direttore della rivista del Gestore dei Servizi Energetici (Gse) Elementi . Ha collaborato e collabora con diversi istituti di formazione, tra cui la Luiss Business School e con la facoltà di Scienze delle Comunicazioni dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ha svolto attività di comunicazione all’Enel, dove ha ricoperto, tra l’altro, il ruolo di capo redattore dell’house horgan “Illustrazione Enel” e della newsletter per management “Focus”. E’ stato responsabile della comunicazione del Gestore della Rete di trasmissione nazionale (GRTN). Svolge attività di consulenza sulla comunicazione per enti e aziende. Ha di recente pubblicato il libro sulla comunicazione, l’uomo e la cultura: “Il filo delle parole”, edito da: Centro di documentazione giornalistica.

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