La tecnologia ha sconvolto il sapere e come si trasmette

Non parliamo poi del saper fare che è ancora considerato tale nella scuola italiana, una cosa da auspicare, suggerire, …100 altri verbi che sognano uno sviluppo del sapere scientifico ed ancor meno tecnologico di serie C rispetto al sapere scientifico.
1° Liceo classico
2° Liceo scientifico
3° Istituto Tecnico
4° istituto Professionale
E' una scala ancora valida nel credere comune e nella scelta delle famiglie.

Nel XX secolo il sapere scientifico (da Einstein a Fermi a Nash) ha surclassato quello umanistico sia come risultati che come investimenti mentre il sapere tecnologico, la cenerentola, sul finire del secolo l'ha fatta da padrona assorbendo la maggior parte delle ricerche e degli investimenti.
E' cambiato il significato del termine “sapere”. Da qualcosa posseduto dai “sapienti” segreto e tramandato per via orale tra padre e figlio o comunque in ambiti molto ristretti, ad un fiume in piena in cui la “connected intelligence” rappresenta un valore aggiunto. E comunque è già abbastanza “strano” che si parli di intelligence e non più di sapienza: lo strumento surclassa il risultato. Ma già McLuhan aveva intuito che “il medium è il messaggio”: in ambito comunicativo il fulcro si sposta dal contenuto allo strumento di trasmissione.

Lo spostamento del centro del sapere dal contenuto ai media (per creare, per trasmettere, per condividere) sconvolge il concetto stesso di sapere che risale dagli abissi della profondità alla superficie per manifestarsi in tutto il suo splendore. L'UE parla di società della conoscenza e non più di una società governata dai sapienti.
In Italia, sommo del ridicolo, un “governo tecnico” è chiamato a risanare i guasti di un “governo politico” e tutti sognano un rapido ritorno ad un “governo politico”! Ma non dovrebbe essere sempre e solo tecnico un governo, trattandosi di “esecutivo”? Non c'è già l'organo “legislativo” di controllo e indirizzo (il Parlamento) che è politico?

La sapienza che non sopravvive a se stessa ed ha bisogno della tecnologia per poter continuare a vivere, seppur boccheggiando.
Fino a quando continueremo a considerare la tecnologia una Cenerentola che è figlia illegittima del sapere ma che manda avanti la baracca? Dobbiamo sperare in un principe folle o colpito da un colpo di fulmine? Ma la favola di Cenerentola prima che Walt Disney ne facesse una star di cartone apparteneva alla tradizione Cinese o addirittura Egizia. Se 5000 anni vi sembrano pochi….
La scuola ellenistica alessandrina era arrivata alla macchina a vapore ma ci sono voluti 2000 anni prima che la tecnologia fosse in grado di sfruttarla. Galileo formulò l'isocronismo del pendolo misurando il tempo con i suoi battiti cardiaci. Non aveva ancora il cronometro!!!!!! Aveva il cannocchiale e rischiò la morte per averlo scoperto e corretto i “sapienti” Aristotelici.
Qual è la nuova allocazione del sapere?

Ad un bibliofilo folle dispiace dal profondo dell'anima dirlo, ma il sapere non è più nella mente dei sapienti e non è (sarà, sono pentito!) più nei libri.
Il sapere non è allocato da nessuna parte: è prodotto dalle intelligenze interconnesse e vive nella rete. I libri scientifici o fanno parte della rete o sono un non senso anche se le università continuano a valutare come titolo la pubblicazione. E' solo uno strumento di divulgazione molto rudimentale e “lento”. Ovviamente non mi riferisco alla letteratura d'affezione o di svago e piacere.

Non posso permettermi di cercare il sapere nelle migliaia di pagine che vengono pubblicate ogni giorno in tutto il mondo avrei bisogno di un numero infinito di anni ed ho solo pochi minuti a disposizione. E' chiaro che se potessi leggere ed “approfondire” cercando il “senso profondo” di tutti i libri del mondo arriverei al “sapere perfetto” e sarei “un sapiente”, ma sarei morto molto prima e avrei sprecato quel poco di tempo e di intelligenza che ho per un compito impossibile e quindi inutile. E' il retaggio di un comportamento da artigiano che partendo da un pezzo di legno facendo tutto da solo e mettendo a frutto tutto il suo sapere costruisce un perfetto burattino ma pur sempre senza vita, mentre i coreani (si fa per dire) hanno costruito un miliardo di burattini di plastica, anch'essi senza vita ma che cantano, suonano, ballano, fanno gli indovinelli, si illuminano, si collegano ad internet ed alla rete telefonica, trasmettono a mamma e papà i respiri e il video del pargolo prediletto, interagiscono con il bambino che li ama. Chi è più saggio?

E tanto che ci siamo spariamola grossa, provochiamo: il sapere se non è condiviso non è sapere perché non è controllabile, non è falsificabile, non crea sviluppo, non crea valore aggiunto, non soddisfa nè la mente né il corpo.
E il copyright? E la tutela della proprietà intellettuale (dell'autore) e, soprattutto; della proprietà letteraria (dell'editore)?
C'è qualcosa di anacronistico in questo concetto. Lucio Dalla è morto senza eredi diretti. Fra 75 anni un bis bis nipote godrà ancora dei suoi diritti mentre la casa discografica se vorrà, per sempre. Puccini è morto da oltre 75 anni ma Casa Ricordi ancora ha i diritti.
Mentre oggi ogni prodotto si consuma in un batter d'occhio il prodotto dell'ingegno continua a produrre utili per sempre. E' come se pagassimo i diritti non agli eredi di Aristotele, ma a colui che l'ha trascritto. Peccato che non sappiamo chi siano. Ma Busatti non aveva dimostrato di essere pronipote di Giulio Cesare?

Oggi ogni opera è un'opera collettiva in cui la collettività è tanto estesa da non potersi determinare. L'autore consulta wikipedia, legge ed utilizza materiali grigi d'ogni genere, dai blog ai forum, si consulta con “amici di facebook” e si confronta con loro, svolge ricerche bibliografiche su archivi di università, centri ricerche e provider d'ogni genere, si ispira a…., controlla la propria “originalità” rispetto ad altri autori, se è famoso ha uno staff che lo supporta nell'elaborazione, correzione, etc.
A chi attribuiamo i diritti? Perché escludere il correttore di bozze quando a volte l'unico merito di Casa Ricordi è stato quello di trascrivere gli spartiti musicali e conservarli?

Ma se non c'è diritto c'è sapere? Quando il sapere era appannaggio del sapiente il titolare del diritto era individuabile, oggi che il sapere è in rete, il titolare del diritto diventa sempre più difficile da identificare. E soprattutto l'evoluzione è così rapida che “l'oggetto sapienziale” diventa obsoleto ed a volte superato in mesi per cui che diritto devo pagare: quello dell'oggetto o quello dell'idea di chi non poteva nemmeno prevedere lo sviluppo che avrebbe avuto e comunque non grazie a lui stesso?
Nel 1986 lavorai sul mio primo pc Olivetti, oggi lavoro su un tablet Samsung. Sono lontanamente paragonabili? E chi ha progettato l'M24 aveva una minima idea di che cosa sarebbe diventato? Eppure questi “Oggetti sapienziali” contengono il meglio del sapere del tempo. In 25 anni c'è stato un progresso come dalla biga romana alla Ferrari di Alonso. Comunque più di 75 anni!!!!!!!
In che senso è cambiata la modalità di trasmissione del sapere?

In realtà oggi non dovremmo nemmeno parlare di trasmissione del sapere, ma di condivisione del sapere. Il confine netto tra scrittore e lettore, fra erogatore e fruitore del sapere si va progressivamente assottigliando perché lo scrittore scrive sapendo (o presumendo) che il lettore condivida con lui un substrato culturale mentre il lettore “legge a modo suo” cioè interpreta sulla base di pre-concetti non sempre noti allo scrittore.
Per comprendere a pieno il lettore dovrebbe usare una tecnica di “open a closed text” cioè scavare in profondità, esaminare il background dell'autore nel suo tempo e nel suo spazio e dei personaggi nel loro ambiente storico, geografico, filosofico, esaminare lo stile linguistico ed epistemologico, ecc. o se si tratta di un saggio identificarsi con l'autore, il suo modo di esprimersi, il suo credo, il suo sapere.

I giovani d'oggi ritengono, a ragione, che non ne valga la pena se non altro perché un lavoro così approfondito implica tanto tempo da sottrarre ad altre attività più produttive. Anche perché alla fine di questo lavoro certosino si potrebbe ben concludere che non serve a nulla e si è solo perso tempo.
Questa è la ragione per cui non ha più senso la trasmissione del sapere ma solo la condivisione con chi collabora, a volte perfino a sua insaputa, a creare sapere, sviluppare nuove acquisizioni, produrre oggetti di consumo ecc.
Il sapere condiviso e le intelligenze interconnesse sono il recente passato, (anche se molti non li hanno ancora metabolizzati ed a volte neanche intuiti).

Il presente/futuro lo stanno costruendo gli "spider" di Google o Yahoo etc. che, senza essere visti viaggiano nella rete da un sito all'altro indicizzandoli e quindi mettendoli in condivisione.
Il ridicolo è ascoltare i soloni che dovrebbero tutelare la nostra privacy ed i cosiddetti nostri diritti mentre tutti noi da tutelare, perché evidentemente incapaci di tutelarci da soli, siamo impegnati a richiamare lo spider nel nostro sito o blog o ….., nella speranza che il proprio piccolo contributo possa servire a sé ed a tutti.

Google ci spia? E noi siamo contenti di essere spiati forse perché non abbiamo niente da nascondere e perché la cosiddetta spia fa i nostri interessi: ci aiuta a condividere il sapere senza barriere, filtri, interpreti o altri che ci vorrebbero trasmettere il loro sapere come la verità. O semplicemente perché ci reputano incapaci e quindi da rinchiudere.
Vietato usare il cellulare a scuola, vietato usare il proprio pc a scuola, vietato “perdere tempo” o come si usa dire con disprezzo “cazzeggiare” su facebook o twitter. Anche i genitori ci si mettono convinti di proteggere così i propri figli.

Nessuno ha detto loro che così li educano da perfetti imbecilli o da furbi che trasgrediscono senza farlo vedere.
Ma gli spider stanno al lavoro da anni anche se solo adesso grazie agli algoritmi che tengono conto dell'importanza e dell'affidabilità dei siti la massa enorme di informazioni è diventato sapere come condivisione delle opinioni, degli errori, delle speranze.
E' assurdo che sia lo spider a costruire il sapere ma ad oggi non siamo riusciti a fare di meglio. Il sogno? L'interazione con gli oggetti e degli oggetti fra di loro: uno sviluppo della condivisione attraverso la “realtà aumentata”. Oggi gli oggetti eseguiranno solo routine (se pur evolutive) che il costruttore ha dato loro ma quando saranno miliardi gli oggetti che interagiscono gli spider, o chi per loro, creeranno un nuovo sapere che tenga conto anche di queste intelligenze interconnesse.

L'altra cosa ridicola è che lo spider fa lo stesso lavoro che facevamo noi per la nostra tesi 50 anni fa: cerca le informazioni “a tappeto” ma le indicizza secondo una logica “universitaria” cioè dando maggior peso o PR (page rank) ai siti delle istituzioni più importanti ed a quelli che hanno non il più alto numero di accessi, come se fossero tutti uguali, ma dando maggior peso alle connessioni provenienti dai siti delle istituzioni più importanti. Si veda l'elenco dei siti con Page Rank 10. Ovviamente questo non è il solo criterio, ma è certamente quello che fa la differenza essendo un indice qualitativo. In realtà ci sono altri indicatori che pur essendo quantitativi ad es. la distanza geografica tra chi chiede ed il sito contenente la risposta, diventano qualitativi se uniti ad altri che tutti insieme costituiscono "indizi contestuali". Cioè il contesto culturale diventa chiave di ricerca senza che io me ne accorga. Il browser, interpretando il contesto culturale di chi formula la query, ordina le risposte considerando più pertinenti le risposte provenienti dallo stesso contesto culturale che, ovviamente, non significa solo quelli geograficamente vicini.

Noi nella nostra bibliografia citavamo prima gli autori più importanti, la cui citazione dava lustro al nostro lavoro perché significava che avevamo studiato, citato, e cercato di imitare, gli autori maggiori.
Google ed ora anche Yahoo risponde alla nostra query elencando tutti i siti che contengono le nostre parole chiave ma ordinandoli in base al PR. L'evoluzione finalizzata a migliorare la risposta potrebbe passare per una preventiva indicizzazione del ricercatore o del suo "ambiente di studio, lavoro, svago, etc." in modo da proporre le risposte alle domande prevedibili. E la privacy? Schedare siti, persone, istituzioni? Dobbiamo intenderci. Tutti noi abbiamo un cellulare, un sito, un indirizzo di casa, una carta di credito, un'auto con navigatore e/o una protezione satellitare e cento altre identità tutte rigorosamente schedate e controllate da qualcuno che è pagato per questo. Per fini istituzionali, commerciali, assistenziali, di protezione, etc. e non a tutti dispiace. O meglio, coloro che ne sono coscienti, si fidano degli strumenti di protezione della privacy o dei propri dati sensibili che le leggi hanno stabilito e della tutela che le istituzioni nazionali e sovranazionali dovrebbero garantirgli. Inoltre molti pensano che i benefici della cosiddetta schedatura siano ben più importanti del rischio che si corre.

Ma si comincia già ad andare oltre ponendosi il problema di superare la complicazione legata alla richiesta di più parole per passare dall'associazione tra termini all'associazione fra concetti: è il cosiddetto "grafo della conoscenza". Siamo al limite della macchina che incomincia a pensare come una persona. E la scuola che cosa fa in tutto questo?
La scuola è una cosa seria e non può permettersi di seguire le mode o inseguire ogni inizio di ricerca, ma non può nemmeno prescindere aprioristicamente dalla ricerca specie di quella che attiene ai fenomeni culturali. Oggi la scuola nega la ricerca ritenendo il proprio modello educativo assoluto basandosi fondamentalmente sulla propria tradizione.
Il problema è che oggi il ritardo della scuola rispetto alla ricerca è abissale perché la tecnologia evolve tanto rapidamente da richiedere ogni giorno l'adozione di nuovi strumenti educativi.

La maggior parte dei docenti pensa ancora che, nella migliore delle ipotesi, il pc sia solo un sussidio e la rete uno strumento per comunicare. Delle problematiche sopra esposte non ha gli strumenti del pensiero per comprenderle né la conoscenza tecnologica per servirsene pur senza capirne i processi. E il solco si approfondisce. Purtroppo anche i giovani, per modo di dire perché ormai si accede all'insegnamento dopo i 30 anni, essendo stati educati in quel modello e su quelle metodologie e contenuti non sono in grado di riciclarsi da possessori del sapere (per molti purtroppo perfino della verità), in sollecitatori e guide per dare agli studenti gli strumenti della condivisione attraverso i quali contribuire alla co-costruzione del sapere. Non è necessario che tutti diventino scienziati o tecnici ICT, ma è indispensabile che tutti siano coscienti del loro ruolo. Le intelligenze da connettere non devono necessariamente essere dello stesso tipo o qualità, anzi la diversità è un valore ma è indispensabile che abbiano gli strumenti per connettersi e condividere.

15 anni fa abbiamo affrontato la tematica della "cattedrale vs bazar" per intendere 2 modelli, quello dell'ordine, del silenzio in classe, del sapere e delle certezze che scendono dall'alto delle guglie, contro il modello del bazar in cui si trova di tutto in maniera disordinato, c'è molto chiasso, si contratta ed alla fine tutti o quasi hanno venduto e comprato soddisfacendo i propri bisogni.
La scuola sognata dai Professori con la P maiuscola (nel liceo classico, ovviamente) e la scuola reale subita dai professori con la p minuscola, precari nel professionale dei quartieri popolari.
A me sembra che la tecnologia abbia definitivamente scelto per noi che rischiamo di essere spazzati via dal progresso. La rete globale sembra sempre più vicina ad un bazar che non ad una cattedrale. Nel bazar tutti condividono tutto ma pur sempre c'é chi offre e chi domanda e ci sono delle regole, perfettibili ma ci sono. Attenzione, il deficit di regolamentazione non deve spaventarci: è stato sempre così, prima nasce il nuovo poi l'esigenza di regolamentarlo. Ma noi negando il nuovo o rifiutando di studiarlo e condividerlo rischiamo non solo di non godere del progresso ma di non partecipare alla fase, politica, in cui si costruiscono le regole.

Se la scuola, chiusa nella sua cattedrale, non vuole rischiare di rimanere tagliata fuori dall'elaborazione del sapere è indispensabile che accetti il nuovo senza criticarlo a priori adeguandosi alle tecnologie sia per risparmiare sia perché questa è la nuova scienza ed il nuovo sapere.
Ho pagato rate per 40 anni per avere l’Enciclopedia UTET completa ed aggiornata. Ora non so più dove metterla per cui diversi volumi sono rimasti in ufficio. Ma la cosa più tragica è che sono oltre 10 anni che non la apro più mentre Google l’apro molte volte al giorno. Quella è la mia romantica vita di ieri, questa è la mia vita di oggi. Peccato che il romanticismo appartenga al 1800.
Ho provato a venderla su ebay e dopo aver provato e riprovato ho rinunciato. Se avessi pagato rate di un mutuo oggi avrei una casa!!!!!!!!!!
Forse questo è cinismo (o ignoranza) ma come non farsi venire il dubbio che abbiano ragione

Mario Bosco

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