La strage nazifascista e i conti in sospeso con la storia, anche quella di oggi

Il libro di Agnese Pini “Un autunno d’agosto”

“Ognuno aveva fatto la sua parte, per quello che poteva. E alla fine, alla fine l’avevo fatta anch’io”. Qual era la parte che Agnese Pini, giornalista e scrittrice, poteva fare per rendere giustizia alle vittime di una  delle stragi nazifasciste che insanguinarono la Versilia in quella maledetta estate del 1944? Il 19 agosto a  San Terenzo Monti, paese minuscolo a cavallo della Liguria, della Toscana e dell’Emilia vennero assassinate 159 persone in prevalenza donne e bambini, fra le quali la bisnonna di Agnese, Palmira Ambrosini, come crudele forma di rappresaglia per un attacco partigiano che aveva lasciato sul campo 16 soldati tedeschi.

Dieci italiani per ogni tedesco morto: erano gli ordini che Walter Reder, Reichsfuehrer- SS della 16ma divisione SS, firmò per dare il via alla strage, come tutte le altre “compiuta con  determinazione, con assoluta premeditazione e con attento e scrupoloso lavoro preparatorio”, come spiega il procuratore  militare Marco De Paolis che ha indagato sull’eccidio dal 2002, dopo la scoperta dell’”Armadio della vergogna”, dove erano rimaste insabbiate le carte relative ai crimini di guerra commessi in Italia dal 1943 al 1945.

Alla vendetta nazista, condotta con l’aiuto di fascisti italiani, sopravvisse solo una bambina di sette anni, Clara Cecchini, sfuggita al colpo di grazia dei carnefici solo fingendosi morta sotto i corpi dei genitori, a testimoniare l’assoluta malvagità e gratuità di quelle esecuzioni.

Con il racconto di quella piccola così saggia da trovare la forza di nascondersi due volte alla furia delle divise con la testa di morto, comincia il libro di Agnese PiniUn autunno d’agosto” (sottotitolo: L’eccidio nazifascista che ha colpito la mia famiglia. Una storia d’amore mentre la guerra torna a fare paura, edizioni chiarelettere), nel quale si intrecciano tre fili conduttori in modo equilibrato e senza nulla togliere a una lettura guidata non solo dalla sua capacità di scrittrice, ma anche dalla partecipazione emotiva trasmessa al lettore.

Il primo, personale e autobiografico, è il racconto della presa di coscienza di una storia familiare percossa tragicamente dalla guerra, che nasce dall’incontro con un collega anche lui segnato da quell’evento. Il secondo filo è l’esposizione dei risultati della ricerca dell’autrice attraverso i ricordi dei nipoti e dei pronipoti di quei morti, le carte processuali, le ricostruzioni storiche e ciò che fisicamente resta, come il cimitero nel quale vennero sepolti i corpi martoriati dalle mitragliatrici, in particolare una tomba che reca l’iscrizione “un autunno d’agosto” che ha ispirato il titolo del libro. L’autrice riporta con accuratezza  nomi e cognomi di quegli innocenti : anche citarli uno a uno rende loro giustizia. Sono coloro che Agnese Pini chiama gli ultimi: “La resistenza civile di una nazione, di un popolo, di un paese – perfino di un paese minuscolo come San Terenzo – si può tenere viva soltanto restituendo piena verità e piena dignità anche al destino degli ultimi”, scrive.

C’è infine il terzo filone di lettura che è la ricostruzione in forma narrativa di ciò che avvenne  a San Terenzo Monti fra il 17 e il 19 agosto 1949. Qui la forza della scrittura deve ringraziare il talento giornalistico che impone di restare fedele ai fatti , “cercando di tradire il meno possibile lo spirito e la voce originaria delle fonti”. La potenza drammatica, emotiva e spirituale di quella tragedia è già contenuta nei fatti raccontati, non c’è alcun bisogno di retorica letteraria.

La “parte” che Agnese Pini ha sentito la necessità di affidarsi non si esaurisce nel fare i conti con la storia personale e nemmeno con quella del rendere onore alla piccola eroica comunità della quale faceva parte Palmira. A ispirare il libro c’è una forte passione civile che invita a non rassegnarsi all’oblio di eventi così traumatici, che vanno a toccare il senso profondo dei valori dell’umanità, della democrazia e della tolleranza. La rimozione della strage,  che come tanti altri efferati crimini di guerra di quegli anni non ha trovato piena giustizia, una pacificazione morale negata, è all’origine dell’incapacità dei sopravvissuti di capire esattamente chi è il responsabile di quanto accaduto.  Così la voce popolare finisce per accusare i partigiani di avere provocato quella  vendetta, quando non esiste alcuna giustificazione per chi si scaglia su una popolazione innocente con “l’indicibile della disumanità, l’indicibile dell’orrore”. Confondere la vittima è una specialità dei carnefici.

L’attività di direttrice delle testate Nazione, Giorno, Resto del Carlino, e Quotidiano nazionale porta Agnese Pini ogni giorno a confrontarsi con la follia della guerra. L’orrore torna in Ucraina, in Israele e Gaza, con le stragi di Hamas nei kibbutz e le efferatezze delle truppe russe: “Le immagini tardive di Bucha – scrive – cominciarono a occupare i miei pensieri , sovrapponendosi alle immagini fluttuanti di ricordi e racconti infantili. Il passato e il presente si mescolavano e si specchiavano in una domanda a cui sembrava impossibile replicare: come si impedisce l’orrore? Come si sfugge all’orrore”.

“Un autunno d’agosto”  è dunque un grido appassionato contro la guerra e la disumanità alla quale finiamo per abituarci: l’importante – ammonisce l’autrice – è essere consapevoli di cosa siamo capaci perché possiamo sempre scegliere di non farla e da che parte stare. E’ la grande sfida che il male pone di fronte a chiunque in qualunque momento. “Ancora oggi – commenta – qualcuno cerca di assimilare i fatti del 1944 a una guerra civile, in cui dare pari dignità all’opera di resistenti e repubblichini. Ma quanto fecero  – con consapevolezza, lucidità, premeditazione, odio ferocia – le Brigate nere nelle stragi del 1944 non fu guerra civile. Fu criminalità organizzata, fu barbarie, fu imperdonabile orrore. Ed è qui, è esattamente in questo punto cruciale e delicatissimo, l’equivoco irrisolto, la ferita mai rimarginata, la fatica nel tramandare una memoria in cui gli argini siano chiari e ricomposti, in cui non vi sia spazio per rivisitazioni e revisionismi, per interpretazioni relativistiche che finiscono col trasformarsi nel peggiore dei qualunquismi: quello che negando o banalizzando la verità distrugge la storia”.

In foto Agnese Pini

Total
0
Condivisioni
Prec.
Turismo, trend positivo, in crescita le città d’arte

Turismo, trend positivo, in crescita le città d’arte

Il consuntivo 2023 si chiude con un +5,9% in confronto al 2022

Succ.
Il compromesso storico: il tentativo fallito di una democrazia compiuta

Il compromesso storico: il tentativo fallito di una democrazia compiuta

50 anni fa Enrico Berlinguer propose un accordo politico tra il PCI e la DC

You May Also Like
Total
0
Condividi