Roberto Fieschi
E’ noto che i finanziamenti alla ricerca hanno subito tagli rilevanti, tali da mettere in crisi anche alcuni impegni internazionali. Anche altri settori hanno subito la stessa sorte, dalle forze di polizia, alla scuola, ecc. La causa principale è la difficile situazione economica, associata a una scarsa lungimiranza dei nostri governanti.
I ricercatori, e molti politici ed economisti giustamente protestano, adducendo a sostegno della loro tesi che senza la ricerca – anche quella di base, curiosity driven – non c’è innovazione, quindi sviluppo economico e anche sociale.
Questo è indubbio, e gli esempi sono innumerevoli: senza i lavori di Michael Faraday (1791-1867) non avremmo l’industria elettrica; le ricerche sui semiconduttori, sulla base della meccanica quantistica, aprirono la strada agli sviluppi dell’elettronica e dei computer; dalla scoperta dei raggi X, del positrone, della risonanza magnetica nucleare sono uscite tecniche diagnostiche importanti (TAC, PET, imaging a risonanza magnetica); gli studi sull’elettromagnetismo sono alla base delle telecomunicazioni; la genetica ha portato allo sviluppo delle biotecnologie, solo per fare gli esempi più noti.
Tuttavia a me pare che in queste motivazioni manchi qualcosa, e cioè la rivendicazione dell’importanza della ricerca di base per il suo valore conoscitivo, indipendentemente dalla possibilità che i suoi risultati abbiano ricadute di valore pratico. Sarebbe come se si tagliassero i finanziamenti agli studi di letteratura italiana, o di storia medioevale, o di filosofia, che difficilmente porteranno a risultati che incidano sull’economia e sulla produzione di beni.
Richard Feynman, uno dei più importanti fisici del secolo scorso, ha espresso in parte quanto penso in questo brillante modo: “Physics is like sex: sure, it may give some practical results, but that’s not why we do it.” Un altro grande fisico, Robert R. Wilson, direttore del Fermilab (Chicago), alla domanda di un ministro se le ricerche ivi condotte potevano servire alla difesa del Paese, rispose: “It has nothing to do with defending our country, except to make it worth defending”.
Il progetto VIRGO per la rivelazione delle onde gravitazionali, il grande contributo italiano alle ricerche con l’acceleratore LHC del CERN, il lavoro dei nostri astrofisici sulla materia oscura e su altri misteri dell’universo, l’eccellenza dei matematici italiani (e gli esempi potrebbero continuare) possono riempirci d’orgoglio, mitigando la depressione per l’ignobile e degradante comportamento della nostra classe politica dirigente: basti ricordare che circa 315 parlamentari hanno sostenuto e votato senza arrossire che il Premier era convinto che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
In altre parole, la ricerca della conoscenza ha un valore in sé e non necessita di altre giustificazioni.
Molti fisici e matematici hanno ammesso la bellezza come criterio ispiratore del loro lavoro. Il premio Nobel P.A.M. Dirac ha scritto:
“Una legge fisica deve possedere la bellezza matematica” e “La bellezza matematica è una qualità che non può essere definita, non più di quanto possa essere definita la bellezza nell’arte”.
Qualunque sia la definizione che diamo della bellezza, è evidente che i linguaggi da acquisire per apprezzarla hanno differenti gradi di difficoltà. E’ sufficiente un minimo di sensibilità per apprezzare la bellezza di un tramonto, delle cime dolomitiche, di un fiore, del volto di Paul Newman o di una distesa di vele sul mare. Un certo livello di educazione sarà invece necessario per godere della bellezza del Guidoriccio da Fogliano (e non m’importa se non è più attribuito a Simone Martini), delle Variazioni Golberg o dei Canti di Leopardi.
Un grado di difficoltà superiore è presentato dall’acquisizione del linguaggio minimo per apprezzare la bellezza delle conquiste scientifiche; per questo è grande l’ignoranza di persone mediamente colte rispetto alla scienza, vista spesso come una disciplina ostica o addirittura arida.
Eppure, a parte la bellezza della conoscenza, anche dal punto di vista pratico non sarebbe male che le persone sapessero qualcosa di più per orientarsi su problemi attuali come le trasformazioni dell’energia, la radioattività, l’effetto serra, etc.
La difficoltà è appunto l’acquisizione del linguaggio appropriato: non è possibile sottoporre le persone a corsi accelerati di recupero con metodi tradizionali. Allora il problema va affrontato con altri metodi, per esempio stimolando la curiosità e collegando scenari noti. E si deve partire dalle scuole, stimolare i ragazzi con laboratori, con visite ai musei, con l’uso di multimediali interattivi.
Purtroppo la nostra società è tuttora in parte condizionata dall’eredità dell’idealismo anti scientifico. Voglio ricordare una frase infelice di Benedetto Croce: “Gli uomini di scienza (…) sono l’incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all’organismo filosofico-storico”.
Preferisco i due grandi filosofi greci.
Prima frase della Metafisica di Aristotele: “Tutti gli uomini per natura desiderano conoscere”.
Scritto all’entrata dell’Accademia di Platone: “Non entri qui chi non conosce la geometria”.