E’ stato un lavoro molto difficile, con tanti mesi di discussioni. Alla fine, qualche giorno fa, la Commissione Europea ha presentato le sue proposte sulla riforma del patto di stabilità. Il patto, che contiene i famosi criteri di Maastricht, era stato sospeso per via della pandemia nel 2020 per due anni. Ora anche per il 2023 Bruxelles lo vuole sospendere, mettendo in causa la guerra dell’Ucraina.
Tutti sono d’accordo su una riforma del patto, perché quasi nessuno stato membro ha rispettato tutti i criteri, a cominciare dal deficit che non deve essere superiore al 3 per cento del Pil fino al debito del paese che in teoria non deve superare il 60 per cento. Anche prima della pandemia,le regole sono state solo sulla carta, dice un economista.
I due criteri devono rimanere in vigore secondo i piani della Commissione. Ma nuove modifiche sono più elasticità e più piani specifici per ogni paese, più accordi bilaterali tra un singolo paese e la Commissione. “Al termine del piano sulla spesa concordato da ciascuno Stato per il medio termine di 4 anni il rapporto tra debito pubblico e Pil dovrà essere più basso” si legge nella proposta. In più è previsto un aggiustamento di bilancio minimo dello 0,5 per cento del Pil all’anno finché il disavanzo resta superiore al 3 per cento. La “salvaguardia” di aggiustamento dello 0,5 per cento sarà indipendente dall’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo.
Paolo Gentiloni, commissario europeo agli Affari economici, nel presentare le proposte per una riforma definite da lui “equilibrate”, ha insistito sull’obiettivo politico di elevare a sistema l’esperienza sviluppata durante la crisi pandemica. Lui si augura che la decisione finale sarà presa già alla fine dell’anno.
Ma dalla Germania arriva un “no” alle proposte di Bruxelles. Christian Lindner, ministro delle finanze nel governo Scholz, ha mandato una lettera alla Commissione scrivendo che le proposte di riforma del patto di stabilità non garantiscono il rispetto di traiettorie affidabili di riduzione del debito pubblico dei paesi più indebitati. La Germania continua a preferire un sistema di regole pubbliche e uguali per tutti, piuttosto che un sistema basato su negoziato bilaterale tra i singoli paesi e la Commissione.
Il messaggio da Berlino è chiaro: I falchi sono tornati e con loro la discussione sull’austerità. Nessuno fa il nome dell’Italia, ma non è un segreto che Roma da anni si porta dietro un debito pubblico molto alto rispetto agli altri paesi dell’UE. E in Germania gli economisti mettono in guardia da regole non abbastanza severe.
“Berlino vuole l’austerità perenne”, questo titolo del Fatto Quotidiano del 7 aprile è la sintesi perfetta della situazione. Si tratta di un dèjà vu: Lindner ha preso il posto di Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze tedesco dal 2009 al 2017, che durante il regno della cancelliera Angela Merkel nel mezzo della crisi finanziaria difendeva le politiche di austerità di bilancio in Europa. Era lui che nel 2015 voleva la Grecia dopo la crisi del debito sovrano fuori dell’euro. Ma non riuscì.
Lindner, anche segretario della FDP, dei Liberali, il partner più piccolo della coalizione, da un lato cerca di tutto per rilanciare il suo partito che sta perdendo consensi nei Länder. Sa che la maggior parte dei tedeschi la pensa come lui che la gestione fiscale deve essere basata su regole e sull’assunto che livelli di debito elevati creano sempre problemi economici.
Dall’altra parte è il portavoce di altri paesi in Europa, non solo i tedeschi sono falchi. La Commissione non avrà “carta bianca”, ha detto dopo l’incontro dell’Ecofin sulle proposte della Commissione. E’ un altro déjà vu, sta tornando il divario tra il Nord “frugale” e il Sud “spendaccione” all’interno dell’Eurozona.
La discussione va avanti. Per il momento la Commissione ha già detto di no alle proposte di Lindner e della Germania. Ma lui alla fine è stato molto chiaro: se non si trova un accordo sulla riforma, il patto di stabilità torna in vigore nella sua forma originale – e perfino la Germania lo considera eccessivamente severo.
In foto Christian Lindner