Il “partito-comunità”, era quell’insieme solidale di uomini e di donne che si riconoscevano come appartenenti ad un riferimento comune di principi e di valori, che si proponevano di ispirare ad essi i loro programmi, non solo, ma i loro stessi stili di vita. I “partiti-comunità” sono venuti meno, per l’effetto di mutamenti strutturali, economici e sociali, nella tecnologia e nei sistemi di comunicazione che hanno profondamente modificato l’associazionismo politico. Il problema è che a questi mutamenti strutturali oggettivi si è aggiunto troppo spesso una sorta di soggettivo compiacimento nel sentirsi liberi dai vincoli di appartenenza ideale e dalle forme associative del far politica, senza preoccuparsi dei vuoti valoriali che si aprivano e dei meccanismi controbilancianti che occorreva creare nei confronti delle forme di utilizzazione della politica a fini personali. Ne è seguito un processo di destrutturazione della politica che ha avuto conseguenze anche dal punto di vista etico- morale. Nei partiti-comunità si esercitava una sorta di autocontrollo sociale sul comportamento dei dirigenti e dei militanti, la mancanza del quale ha costituito la base su cui si sono innestati quegli inaccettabili fenomeni di deviazione etica che stiamo registrando a Bruxelles e a Strasburgo.
Il “partito-comunità”, era quell’insieme solidale di uomini e di donne che si riconoscevano come appartenenti ad un riferimento comune di principi e di valori, che si proponevano di ispirare ad essi i loro programmi, non solo, ma i loro stessi stili di vita. I “partiti-comunità” sono venuti meno, per l’effetto di mutamenti strutturali, economici e sociali, nella tecnologia e nei sistemi di comunicazione che hanno profondamente modificato l’associazionismo politico. Il problema è che a questi mutamenti strutturali oggettivi si è aggiunto troppo spesso una sorta di soggettivo compiacimento nel sentirsi liberi dai vincoli di appartenenza ideale e dalle forme associative del far politica, senza preoccuparsi dei vuoti valoriali che si aprivano e dei meccanismi controbilancianti che occorreva creare nei confronti delle forme di utilizzazione della politica a fini personali. Ne è seguito un processo di destrutturazione della politica che ha avuto conseguenze anche dal punto di vista etico- morale. Nei partiti-comunità si esercitava una sorta di autocontrollo sociale sul comportamento dei dirigenti e dei militanti, la mancanza del quale ha costituito la base su cui si sono innestati quegli inaccettabili fenomeni di deviazione etica che stiamo registrando a Bruxelles e a Strasburgo.
Parlamento, socialismo, Europa, ecco le tre parole che sono messe in causa nell’opinione pubblica per colpa dei comportamenti aberranti di determinate personalità. Per difendere questi tre grandi punti di riferimento non bastano le condanne verbali: occorrono, certo, regole più stringenti ed efficaci, ma anche queste non bastano se non affermiamo una nuova coscienza politica nel rapporto con le cittadine e i cittadini. La crisi dei partiti della prima repubblica è stata particolarmente radicale per i socialisti italiani, sia per la vicenda drammatica di tangentopoli, che non era inevitabile se si fosse accolta una proposta di riforma del finanziamento della politica avanzata già nel 1984, sia per la venuta meno della rendita di posizione che detenevano al centro del sistema politico, per effetto dell’introduzione del maggioritario e per i mutamenti politici susseguenti alla caduta del muro di Berlino. Al resto ha provveduto quella che gli stessi artefici hanno definito come la “fusione a freddo” tra postcomunisti e post-democristiani di sinistra. È nostra convinzione che una presenza politica socialista e laburista, nelle varie forme in cui avrebbe potuto svolgersi, avrebbe “riscaldato” questa fusione a freddo con lo spirito dialettico e pluralista, con la spiccata attenzione per il concreto del riformismo, che ha sempre qualificato l’area politica e culturale socialista italiana.
Il socialismo – è una delle definizioni di Pietro Nenni – è “portare avanti quelli che sono nati indietro”, nella Giustizia e nella Libertà – aggiungiamo noi – richiamando Carlo Rosselli, suo compagno nella redazione del settimanale Il quarto Stato.
L’area politica e culturale socialista ha dei tratti peculiari, che non sono propri solo degli appartenenti a quest’area e che sono in realtà presenti anche nelle aree politico-culturali affini, ma che fanno parte della nostra tradizione e costituiscono il nostro Dna. Il primato dei programmi rispetto alle appartenenze, il riformismo delle istituzioni, il riformismo nell’economia, nel welfare e nella sanità, nell’ambiente e nella stessa politica, attuando l’art. 49 della Costituzione dei partiti, la difesa delle libertà. La presenza di un socialismo e di un laburismo cristiano sia politico che sindacale arricchisce questa tradizione e la rende pluralista.
Nel Pd ci si sente stanchi delle correnti ma al posto delle correnti non può starci il nulla o un leaderismo effimero. Occorre far vivere e arricchire di nuovi frutti le radici. E quella socialista italiane è una di queste radici ideali e politiche, nel quadro più generale del socialismo europeo e internazionale. Vi è un pericolo del dibattito interno del Pd ed ha un duplice aspetto: che sulle ceneri della “fusione a freddo” si vada ad uno sconto tra le due tradizioni politiche post-comuniste e post-democristiane di sinistra, o che si vada invece ad una fuga in avanti, alla ricerca di un nuovo considerato fine a sé stesso, senza punti di riferimento solidi. Il compito storico nella situazione politica attuale è riconciliare il nostro popolo col riformismo socialista che non poteva essere delegato ai “tecnici” per quanto prestigiosi.
È necessario soprattutto risvegliare quell’area di più di un terzo delle nostre cittadine e dei nostri cittadini che non è andata a votare. Un riformismo eticamente orientato significa proposte programmatiche concrete e mobilitanti, ma significa anche misurarsi con il compito di riaggregare associazionismo politico e sociale. Non inseguire identità altrui ma radicarne solidamente una propria.
di Valdo Spini da “la Repubblica”