La ricerca infinita di Massimo Pacifico, “antropo-fotografo”

Firenze – “Oh Sì, è stata proprio quella fotografia scattata in un Souk popolare in Algeria una delle più importante nella mia carriera professionale, e a fare da apri pista di una lunga carriera da giornalista fotografo”.

Sono passati quasi 40 anni ma Massimo Pacifico non dimentica l’importanza di quella foto nella sua vita: “Era il 1982, avevo fatto una mostra che si chiamava “Piazza Garibaldi” in cui si mostravano le statue e i monumenti dedicati a Giuseppe Garibaldi in Toscana, e quindi il direttore dell’Istituto Italiano della cultura mi chiese se si poteva portare la mostra ad Algeri. Accettai l’invito con grande piacere”.

Una volta nella capitale dell’Algeria gli è stato proposto di visitare l’oasi di Ghardaïa e di altre quattro città “che erano le città del sud dell’Algeria che venivano considerate come le porte del deserto africano,” dice Massimo Pacifico, “e Ghardaïa è, tra l’altro, la città dove l’architetto Svizzero-Francese Le Corbusier andava a ispirarsi nella moschea del locale cimitero. Andai a Ghardaïa, e oltre a queste straordinarie piccole architetture, fui attratto dal Souk, il mercato dove arrivavano personaggi da tutta l’area”.

Combinazione volle che una delle riviste con cui collaborava all’epoca, Week End di Viaggi,  una delle riviste più importanti del settore, dovesse fare un servizio sui bazar e souk arabi: “Mi chiesero se avevo delle foto legate all’argomento, e io le avevo appena fatte a Ghardaïa. Le foto piacquero tanto e diventarono l’apertura e praticamente le foto portanti del numero della rivista, il che mi consentì di diventare in breve tempo l’inviato speciale di quella rivista, per otto-dieci anni, e quindi io devo a quel mercato algerino una buona parte della mia fortuna professionale”.

“Per motivi estetici, e sentimentali il mondo arabo, l’India e la Germania hanno sempre avuto una presenza preminente nel mio percorso professionale,” dice ancora Massimo Pacifico, “ma l’India rimane il luogo che non mi stancherò mai di visitare e fotografare, e qualsiasi angolo di quella terra riserva sempre una sorprese favolosa come se fossero due mani che ti prendono il volto per fissare il tuo sguardo sull’immagine di un personaggio o una cosa e tu come osservatore non hai che premere sul pulsante dello scatto per fissare quel momento nell’eternità”.

“Sono sempre stato attratto dall’Oriente più che dall’Occidente, anche se ho lavorato parecchio in Occidente e sopratutto in Nord America,” continua Massimo Pacifico, “già il Medio Oriente mi era interessato all’epoca dell’università, e la mia tesi di laurea era sulle alleanze militari nell’area, a partire dal “Patto di Baghdad”, ma il passo già lungo è avvenuto nel momento in cui l’interesse per il medio Oriente è diventato in me l’interesse per l’Oriente, e quindi per questo straordinario paese, che è l’India, un vero subcontinente che ho visitato molte volte, una dozzina, tentandone di capire la filosofia, partendo dall’estremo nord dall’India buddista, per arrivare all’estremo sud dell’India del Tamil Nadu”.

Luoghi e cose, ma sopratutto l’essere umano attira l’attenzione di Massimo Pacifico. “Sì, l’essere umano è il soggetto che prediligo,” dice l’artista, “e il rapporto dell’uomo con il suo contenitore, che vuol dire i luoghi abitati, le città. Ho fatto servizi nei deserti, servizi naturalistici in Africa e in Asia in qualche occasione, ma erano soltanto servizi fatti su commissione, mentre quello che faccio con spontaneità è di tentare, come si può dire, di congelare per il futuro delle situazioni, spaziando intorno all’essere umano che è di fondamentale importanza per me”.

Ed è proprio l’essere umano, legato a momenti belli della storia dell’Umanità, il protagonista principale dell’ultima mostra fotografica di Pacifico, “Effetto Museo”, che si chiude domani al Museo Marino Marini di Firenze. Quaranta immagini selezionate tra le migliaia scattate nell’ultimo ventennio in giro nei musei per il mondo, “ ci sono alcuni dei musei più importanti del pianeta,” dice Pacifico, “da quelli londinesi, come la National Gallery e il Victoria and Albert Museum, al Pergamon Museum di Berlin,o ai Musei Romani, il Rijksmuseum Museum di Amsterdam e molti altri”. “La mostra vuole essere uno spunto di riflessione su quello che avviene in questi luoghi che io considero sacrali, i luoghi dove danzano le Muse e dove le ancelle delle arti, in qualche modo liberano energie. “

L’essere umano non dà solo il movimento alle cose statiche, ma gli dà anche dimensione, ed è fondamentale questo. L’avevano capito anche i proto fotografi della prima metà dell’ottocento, quando la tecnica consentì di mettere l’essere umano nelle fotografie, perché quell’essere umano dava subito contezza della dimensione di ciò che si vedeva. E comunque io mi definisco un antropo-fotografo, la mia è una ricerca antropologica che non avrà mai fine”.

Foto in alto: Ghardaia, Algeria

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