Firenze – Rendita, causa di tutti i mali? Secondo la vulgata comune, è proprio così. Ancora di più, se di rendita si parla a Firenze, città della bellezza … in vendita. Così, aver casa a Firenze e in particolare in quel centro storico patrimonio dell’umanità, assediato da 50mila turisti al giorno per qualche milione l’anno, è una vera e propria fortuna. Tant’è vero che si affitta, si affitta con affitti brevi o turistici che dir si voglia, si “droga” il mercato dei canoni, si induce i residenti alla fuga. Ma è tutto davvero così?
Stamp gira la domanda, o meglio, chiede una riflessione a Stefano Casini Benvenuti, direttore dell’Irpet, l’Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana, per comprendere quali conseguenze, fauste e/o nefaste, possano conseguire dalla rendita; o meglio, dalla rendita a Firenze.
“Di solito, al concetto “rendita” associamo un valore negativo – spiega il direttore dell’Irpet – mentre bisogna ricordare che la parola rendita cela l’altro lato, quello del pregio: la rendita esiste perché c’è un pregio. A Firenze, per fare un esempio, c’è rendita perché c’è il Duomo e tutto il resto.Dunque, primo punto: la rendita è sempre l’altra faccia di un pregio. Se esiste un pregio, è bene anche sfruttarlo, utilizzarlo. A questo punto, il passo successivo è capire a chi va la rendita, se è meritevole di prenderla e cosa lascia sul territorio. Se la rendita deriva da un “pregio” che proviene dalla storia culturale e artistica della città, è implicito il dovere, perlomeno morale, di ritrasmetterla alle generazioni future. D’altro canto, la rendita non è solo un concetto negativo, in quanto si accompagna con reddito e lavoro. Dunque, pur non avendo natura negativa in se’, rimane l’aspetto etico: è giusto e moralmente corretto che il proprietario di un terreno particolarmente ambito si prenda un sacco di soldi senza far niente?”. Ma questo è un passaggio successivo: la rendita in se’ non ha accezioni particolari. Semmai, il problema etico riverbera ad esempio a livello di tassazione: come tassarla? Del resto, se l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, perché c’è una forte tassazione sul lavoro e in proporzione una tassazione minore sulla rendita?
Quello etico, sebbene principale, non è il solo nodo che la rendita, la rendita a Firenze in particolare, pone. Ad esempio, per quanto riguarda le politiche di pianificazione del territorio, “pensiamo al proprietario di un immobile nel centro storico di Firenze – dice Casini Benvenuti – ha davanti a se’ varie possibilità di utilizzo del proprio bene: ci potrebbe fare un albergo, o un centro di ricerca e sviluppo. Naturalmente, se la scelta viene fatta nel rispetto del proprietario di quel terreno, non c’è dubbio che l’albergo sia l’utilizzo più redditizio, e dunque, il proprietario decide per l’albergo. Invece, a livello di politica del territorio, bisognerebbe tenere conto di tutte le ricadute esterne, che, oltre alla rendita del proprietario, oltre al profitto dell’imprenditore, oltre ai salari degli stipendiati, riguardano il territorio nella sua interezza: e magari, un centro per lo sviluppo da questo punto di vista potrebbe rendere di meno (meno rendita) ma potrebbe essere fondamentale per lo sviluppo del sistema. Dunque, è importante valutare come si utilizza una porzione del territorio tenendo conto non tanto del guadagno strettamente legato a quella porzione specifica, ma anche di tutto il resto. E tutto questo diventa sempre più importante per le città”.
Ma cosa ci si aspetta da Firenze? E’ questa una domanda di svolta: “Ci si aspetta che sia a tutti gli effetti la capitale della Toscana, che sviluppi una capacità innovativa, di creatività, che possa favorire anche il resto della regione – dice Casini Benvenuti – e quindi a questo punto l’albergo, tornando all’esempio, mentre si rivela la scelta migliore per il proprietario, potrebbe non esserla per la Toscana, per Firenze. In questo senso sarebbe giusto fare una corretta valutazione delle esternalità, ovvero delle ricadute esterne della scelta. Di quelle positive e di quelle negative”. Negative, ovvero anche di ciò che comporta (con l’occupazione turistica, per dirne una) ad esempio l’espulsione dei residenti dal centro per andare a vivere in periferia, “tutti i giorni la gente si sposta”. Dunque, parlando di rendita, è necessario “avere una visione non accentrata solo su quello spicchio di territorio, ma avere una visone più ampia delle esternalità, positive e negative”.
Ad oggi, secondo l’idea generale, le città sono viste come il motore fondamentale dello sviluppo. “Sembra una banalità – spiega il direttore dell’Irpet – ma se si rileggono tutti gli scritti risalenti agli anni ’80, erano i distretti a essere investiti del ruolo di cuore pulsante del sistema. Quello che prevaleva, nei distretti, era la monocultura, vale a dire far bene una cosa sola. Invece nelle città il concetto è rovesciato. La città “fa bene” perché ci sono tante diversità che messe insieme creano innovazione, dal momento che è mettendo insieme le diversità che nascono le idee, la novità. Quindi è nella città che si sviluppa la fase a monte e a valle del processo produttivo, innovazione e ricerca. Per cui ci si aspetta che la città assolva a questo ruolo”. E la domanda sorge spontanea: ma la rendita può frenare questo passaggio?
Dubbio senz’altro legittimo, tanto più se la città di cui si parla è Firenze, dice il direttore dell’Irpet. Sì, ma quale Firenze? “Non quella del pezzettino del centro storico – dice Casini Benvenuti – molti studi ormai dimostrano che per Firenze si intende un’entità che non è più neppure il territorio comunale, è una Firenze allargata, che considera i cosiddetti “ambiti della quotidianità”, cioè i luoghi dove le persone passano la loro vita. Ed è questa l’area ideale di governo: tra dove si lavora e dove si abita, il cittadino vorrebbe vedere un po’ tutto, l’aria pulita, il posteggio, i servizi. Ecco, se si considera questo ambito, Firenze raddoppia. E riflettere sulla rendita vuol dire anche capire se tutto questo sistema (la Firenze allargata) ne sia danneggiato o al contrario favorito. Dall’osservazione scientifica non emergono distorsioni così gravi per la città. Se si guarda al Pil pro capite, dice Casini Benvenuti, Firenze si ritrova fra le prime cinque città italiane.
Sì, ma qualche conseguenza c’è, anche se magari sarà più avvertibile in futuro. Ciò che salta all’occhio è che nell’area fiorentina i servizi più qualificati alle imprese sono i più carenti, “in quanto a Firenze abbiamo più presenze e servizi legati al turismo”. Insomma, servizi alla persona, ovviamente di stampo turistico: commercio, souvenir, ristorazione…. La differenza è evidente con Bologna, città per molti versi molto simile, dove lo sviluppo è andato invece, mancando l’innesco forte del turismo che fa divampare la rendita, in direzione dei servizi alle imprese, una terziarizzazione che comporta l’incremento del lavoro qualificato.
Del resto, una spia esiste e riguarda proprio il Pil. “Infatti, se è vero che il Pil di Firenze è fra i più alti in Italia – commenta Casini Benvenuti – la produttività del lavoro per addetto è effettivamente un po’ più bassa rispetto ad altre città. Il che vuol dire che il lavoro negli alberghi, nel commercio, ha un rendimento più basso rispetto ad altri settori. Da questo punto di vista credo che la rendita abbia effettivamente spiazzato e favorito la localizzazione delle attività, con molti servizi alle persone (dagli alberghi, al commercio, ai Musei ..). Spieghiamoci: non si tratta di una minore quantità di lavoro, ma una remunerazione, un rendimento più basso del lavoro. Perché ci sono attività che per loro natura hanno effettivamente un rendimento più basso”.
Dunque, questo può essere senz’altro un difetto, un vizio del sistema. “Su questo punto mi viene da pensare che mentre nel nord Italia, dal punto di vista dei servizi alle imprese, tutti possono avere un punto di riferimento in Milano – dice il direttore dell’Irpet – Firenze poteva avere un ruolo più importante per un’area un po’ più vasta, anche rispetto a Bologna. Si tratta di una mia considerazione a fronte di una carenza di servizi alle imprese che è reale. D’altro canto, il territorio circostante è cresciuto meno di quanto sia cresciuto quello di Bologna, al di là del dato demografico dovuto anche allo svuotamento del centro. Insomma la crescita di Bologna è diversa. E da questo punto di vista, la presenza di un forte rendita potrebbe avere frenato lo sviluppo di un’attività ad alto valore aggiunto”.
Ma c’è anche una interpretazione opposta. “Il territorio fiorentino è fatto di piccole imprese tradizionali che non domandano troppi servizi qualificati e quindi lasciano lo spazio alla rendita. Dunque, il problema è: è la rendita che ha buttato fuori attività ad alto valore aggiunto come i servizi alle imprese, o è la scarsa domanda che ha fatto sì che la rendita si radicasse? Naturalmente, una cosa è certa: Firenze è bella, e quindi la presenza turistica è sempre stato un connotato di Firenze, in particolare dagli anni ’50 in poi, fino all’impennata odierna”. Insomma, la Firenze patrimonio dell’Umanità s’appresta a diventare sempre più “Patrimonio dell’Umanità”, appunto. E sempre meno dei fiorentini. E forse è ormai un’illusione pensare che i fiorentini possano tornare “proprietari” della loro città storica. Anche se questo vuol dire, alla fine, trasformare la città storica in un vuoto guscio monumentale, una città museo. Insomma, la Disneyland del Rinascimento.
“A me piacerebbe che questo fenomeno fosse governato – dice Casini Benvenuti – perché lasciato senza governo si arriva a una Firenze Disneyland brutta. Per fare un esempio, se Firenze si vuole la Firenze creativa con le diversità che si incrociano creando innovazione, perché fra le tante accoglienze che Firenze può avere, non puntare sugli studenti?”. Il riferimento è senz’altro agli Studentati che stanno sorgendo in città. Magari eliminando però il criterio della selezione per reddito. “Noi abbiamo una società in cui mancano giovani, che va verso l’invecchiamento – dice il direttore dell’Irpet – perciò ritengo che l’attratività di Firenze possa e debba essere giocata anche su questo piano. Se è vero che il centro storico rimane l’aspirazione massima, se si deve fare una bella Firenze bisogna pensare anche alle preriferie”. Idea tuttavia che ha già le gambe, come dimostra Novoli, che con lo spostamento del Polo Universitario dal centro ha comunque visto un aumento giovanile che ne cambia anche la “faccia”. Del resto, dal momento che Firenze ha naturaliter questa attrattività “bisognerebbe anche che scegliesse anche qualche segmento (specifico) da attrarre”. Non necessariamente nel centro storico.
Un altro dato: “A chiunque si domandi qual è l’attività principale di Firenze – dice Casini Benvenuti – o addirittura della Toscana, la risposta è: il turismo”. Ebbene, non è vero. “Gli addetti agli alberghi, bar e ristoranti pesano in Toscana circa il 7% – dice il presidente dell’Irpet – così come nella Firenze allargata di cui si è parlato (e nei ristoranti e nei bar non ci vanno solo i turisti). Un sistema sviluppato ha turismo, pubblica amministrazione, imprese … il turismo è un pezzetto del sistema”. Sì, ma ciò vale per la Firenze “allargata”. Per quella circoscritta del centro storico, invece … Intanto, una buona obiezione sorge immediata: ma il problema dell’overtourism, allora, è reale o no?
“E’ reale nel senso che è tutto concentrato. La media, è di 50mila presenze turistiche al giorno, fra momenti di punta e no. E’ tanto. La Firenze che ha perso residenti, ha però una pesante popolazione presente. I 200mila pendolari che ogni giorno si recano a Firenze, i 50mila turisti quotidiani… e si tratta di presenze che sfruttano intensamente il territorio. Si tratta delle esternalità cui accennavo prima, con il loro costo”.
Insomma, conseguenze. Conseguenze anche negative, che vanno governate, perché si rischia che la città, quella storica, venga soffocata. Firenze è bella, si diceva, e il suo destino la conduce ad essere appetibile. Magari da parte di capitali stranieri, in mancanza di investitori e investimenti “nostrani”. ” Si tratta di un fenomeno che è difficile da tracciare – dice il direttore dell’Irpet – che riguarda anche le imprese toscane, che vedono spesso presenze importanti di capitale straniero. Ciò significa in prima battuta che effettivamente i nostri capitalisti, imprenditori, risparmiatori, non sono in grado di acquistare le cose”. Fiorentina docet.
Di fatto, “c’è un problema di incapacità del nostro risparmio di acquisire beni e attività”. Ovvero, di investire. “In alcuni casi questo significa ovviamente perdere un po’ di controllo. Però, se non ci sono alternative…”. Tutto ciò ci mette davanti a una domanda inquietante: “In che misura tutto questo deriva dalla debolezza di ciò che non c’è, pensando alle nostre piccole imprese poduttive che hanno fatto tanto successo nel passato, e che magari non sono riuscite a fare il salto adeguato al mutamento dei tempi?”. Ecco allora che torna la rendita: “Se si fosse dei risparmiatori e volessimo essere sicuri di guadagnare, su cosa si investirebbe a Firenze? Si comprerebbe un’impresa o degli appartamenti?”. Ma se la risposta è sicuramente “appartamenti”, ecco che riappare la rendita. Non quella di chi si trova la casa grande e affitta una stanza con bagno, o quello che eredita la casuccia e decide di andare in periferia perché, senza lavoro o con i figli che studiano, quella piccola rendita gli permette di sbarcare il lunario; no, sono le grandi proprietà immobiliari, gli strumenti di gestione delle pensioni, fondi spesso stranieri, in cui non solo la rendita diventa affare di pochi, ma non rimane neppure in città. Per questo, dice ancora il direttore dell’Irpet, è più che mai importante riappropriarsi delle periferie, resuscitare anche lì il senso di comunità e appartenenza alla città.
Perché, se la rendita che si impossessa del territorio per consegnare il profitto ai pochi e escludere i molti è affare anche etico, la piccola rendita di cui si parlava ha anche, alla fine, una funzione sociale. “Bisogna anche prendere in considerazione – conclude il direttore dell’Irpet – la funzione di “ombrello sociale” della piccola rendita. Alla fine, se nonostante la crisi che perdura e non è mai finita, i “numeri” sono buoni, bisogna anche considerare che la città “bella” permette di sopravvivere a quei titolari di piccole e piccolissime rendite salvandoli in qualche modo dal tuffo finale”. Insomma, a quelli che sono sempre meno vicino ai “bourgeois” e sempre più ai “working poors”.