Si chiama (o si chiamava) Ahoo Daryaei, in persiano “Cerbiatto marino”, la studentessa iraniana che ha sfidato il regime assassino, omo/femminofobo degli Ayatollah dell’Iran, circolando a Teheran indossando tranquillamente solo l’intimo prima di essere prelevata dalla famigerata Polizia morale di quel disgraziato Paese, indicato da Amnesty International (e da tutte le altre organizzazioni umanitarie) come violatore seriale dei principali diritti umani e civili. Lo stesso Paese che rifornisce di armi di distruzione di massa lo zar di Mosca, Vladimir Putin, aiutandolo così nella brutale invasione dell’Ucraina.
Le immagini e le foto di quella coraggiosa ragazza sono destinate, e in parte già lo sono, a diventare iconiche ed emblematiche della ribellione pacifica e simbolica, alle tirannie antistoriche del terzo millennio. Come quella ad esempio del coraggioso studente cinese che tentò invano di fermare i carri armati dell’esercito in piazza Tienanmen (siamo però nel 1989) prima che i soldati di quell’altro regime facessero fuoco su migliaia di giovanissimi concittadini facendone strage.
Anche per questo non trascurabile aspetto mediatico, ma pure per il valore intrinseco della decisione della ragazza iraniana, stupisce la sottovalutazione dello stesso episodio da parte di molti ambienti culturali italiani. E stupisce (per modo di dire) il silenzio addirittura assordante di pressoché tutti i cenacoli diciamo così intellettuali di una città come Reggio Emilia sedicente comunità regina dell’inclusione e patria dei diritti e delle persone. A maggior ragione se si pensa all’iper attivismo di più d’una associazione femminista, sempre in prima fila a rivendicare i diritti delle donne a (quasi) tutte le latitudini. Ricorderete ad esempio come le associazioni “Non una di meno” e “Non da sola” abbiamo stazionato per un campionato intero o quasi, nei pressi dello stadio Giglio nel tentativo di far desistere dal gioco il calciatore Manolo Portanova, condannato a sei anni di reclusione in primo grado per violenza sessuale. E le ragazze iraniane bastonate a morte dagli Ayatollah se non indossano il velo? Non hanno anche loro il diritto di essere donne libere e di non subire violenza da un regime brutalmente maschilista e oscurantista come quello iraniano?
Quel “silenzio assordante” come l’abbiamo chiamato, dell’intellighenzia di casa nostra però non è semplice disattenzione una tantum. Bensì una pratica social piuttosto consolidata e declinata con una certa sistematicità quando le violazioni anche dei più elementari diritti umani promanano da Paesi non democratici, o direttamente anti-democratici, il cui numero assolutamente predominante, come ci insegna la storia, risiede nei continenti asiatici o africani. In sostanza se le più terrificanti brutture non arrivano dai Paesi democratici del Vecchio Continente (e l’Italia è fortunatamente tra questi a buon diritto) o dall’America, meglio far finta di niente. Per non svegliare il can che dorme, dice nemmeno troppo sotto traccia una diffusa vulgata, della possibile Terza guerra mondiale. Intanto però la guerra c’è già e si divora interi popoli, colpevoli solo di vivere troppo vicini a Stati canaglia come la Russia di Putin e l’Iran degli Ayatollah.
Questo irenismo un tanto al braccio e pacifismo da salotto buono, che tracima anche da molti post di gente che a Reggio conta e conta parecchio, e che ha come ineluttabile conseguenza la volontà di lasciare i popoli al loro tragico destino di sottomissione (a meno che non ci siano di mezzo Europa, Onu, Nato e gli odiatissimi Amerikani, perché allora la mobilitazione generale è d’obbligo), è frutto di una sotto-educazione post sessantottina e da anni ’70 (quelli di piombo per intenderci), ovvero le decadi di provenienza formativa del grosso della classe dirigente reggiana. La stessa che vedeva, e dalle nostre parti ancora vede, nel capitalismo e nel liberalismo i principali nemici delle società collettive e proletarie per definizione felici. Vedi le Repubbliche socialiste sovietiche naturalmente prima dell’89 quando il Muro è caduto e milioni di esteuropei invece del comunismo hanno scelto la libertà. Sicché non solo guai ad “esportare con le bombe la democrazia”, sulla qual cosa potremmo anche essere d’accordo, ma guai anche ad aiutare gli oppositori di Iran, Cina e altri martoriati Paesi: non fosse mai che si finisca a lottare per i diritti umani fianco a fianco con le odiate liberaldemocrazie europee e nordamericane. Quando però regimi anche dichiaratamente anti-democratici con le bombe, esportano la tirannia, in quel caso si deve chiudere un occhio. Se non entrambi.
Nel frattempo, al silenzio di cui sopra sulla coraggiosa studentessa iraniana (il cui regime, esattamente come faceva l’Unione sovietica, ha dichiarato trattarsi di una disturbata mentale già ricoverata in clinica psichiatrica ma secondo l’opposizione di quel Paese sarebbe già stata assassinata dai pasdaran dell’Ayatollah Khamenei), nella sonnacchiosa Reggio, avvolta da una campagna elettorale che non sembra interessare nessuno se non i candidati direttamente interessati, si contrappongono i primi sporadici commenti sulle imminenti elezioni americane. Alcuni deliranti dei quali auspicano, indipendentemente da chi sarà il nuovo Presidente degli States, che finisca comunque come nella Guerra civile degli anni ’60 dell’800. Perché vuoi mettere il pericolo per la democrazia che arriva dagli Stati uniti d’America? Mica da chi picchia a morte le giovani donne solo in quanto donne… E via di questo passo suicida. Se, cosa che noi non auspichiamo affatto, dovesse vincere Trump, sarà meglio indossare le mutande di latta, perché, checché ne pensino i nostrani campioni della gauchè caviar e del rossobrunismo putiniano, si preannunciano tempi molto duri anche per l’Europa.