E’ passato un anno dall’inizio di quella che è stata definita la Primavera araba. Sono stati dodici mesi densi di eventi che hanno portato profondi cambiamenti, ma che con migliaia di morti e scontri sanguinosi ancora in corso in Siria e di minor portata in altre aree del Medio Oriente, più che di una Primavera bisognerebbe parlare di un lungo e duro inverno.
Con ciò non si vuole per nulla diminuire la portata dei risultati ottenuti da quei popoli che hanno lottato per avere una possibilità di decidere del proprio futuro.
Le prime elezioni democratiche svoltesi in Tunisia lo scorso ottobre hanno portato il partito islamista moderato di Ennahda. Nei prossimi mesi la costitutente Tunisina lavorerà rapidamente per sottoporre a voto popolare una nuova costituzione e subito dopo un nuovo parlamento. Considerando che questo voto è stato programmato per il prossimo ottobre, ci si rende conto di quanto ambizioso sia questo piano che infatti riflette il desiderio di un rapido cambiamento.
Ispirati dagli eventi in Tunisia, gli egiziani sono scesi in quella che è diventata l’emblema di un’intera stagione di rivolte, piazza Tahrir, per spingere Hosni Mubarak verso le dimissioni e il paese verso un nuovo futuro. Tuttavia l’Egitto non è la Tunisia e, come gli egiziani hanno ben chiaro, il taglio col passato non è stato così netto. I militari, i veri arbitri della politica egiziana dal 1952, non hanno per nulla ceduto questo ruolo. Il consiglio dei militari guidato dal Generale Tantawi è stato ed è tuttora al centro di dure proteste a causa della lentezza nel promuovere le necessarie riforme. Di fatto i militari non sembrano disposti a rinunciare ai privilegi economici e il ruolo sociale finora goduto. La rivoluzione egiziana al momento si può sintetizzare con uno slogan: “Lavori in corso”.
Parlare di Libia è complicato e il Consiglio di Transizione guidato da Mustafa Abdul Jalil si trova di fronte ad una serie di sfide formidabili se non impossibili. Solo il tempo e certamente l’interazione fra forze esterne e tradizioni locali dirà quale direzione prenderà la Libia . Ciò che invece dovrebbe far riflettere più che dei risultati elettorali in Tunisia ed Egitto è la tragedia siriana che non accenna a vedere un termine. Il mondo occidentale e la Lega Araba non lesinano l’uso di un vocabolario durissimo, ma di fatto non si stanno muovendo con la forza necessaria per fermare un inutile massacro. L’esito della rivoluzione in corso è incerto e gli scenari possibili sono molteplici – in questo caso non bisogna dimenticare che Israele non vedrebbe di buon occhio la creazione di una Siria democratica.
Nonostante i media non riportino altro, ci sono altre rivolte in corso. In Yemen da ormai un anno a questa parte si sta consumando una rivoluzione che non è mai decollata nonostante i dimostranti siano riusciti a far dimettere Ali Abdullah Saleh, presidente e dittatore alla maniera di Mubarak. Tuttavia continui scontri fra fazioni e tribù rivali hanno portato ancor più confusione ed instabilità delle quali Al-Qaida sembra avvantaggiarsi. Altrove, in Oman, Marocco e Giordania, una serie di proteste pacifiche hanno portato a riforme tese a garantire poteri più ampi ai parlamentari di quei paesi.
Gurdando indietro si può quindi dire con certezza che il 2011 verrà ricordato per l’anno delle rivoluzioni arabe che ha portato a due risultati. Il primo è che le popolazioni locali vogliono chiaramente affidarsi a partiti religiosi moderati dopo decenni di dittature secolari/militari, il secondo è l’incertezza del futuro. Le sfide di queste giovani democrazie sono immense: povertà, mancanza di opportunità economiche e influenze esterne. Ciò che dobbiamo ricordare è che la democrazia, come meccanismo, da sola non e’ in grado di risolvere tutte queste sfide.