La Polonia e la deriva degli Stati dell’Unione dell’Est

Pisa – In Polonia da pochi giorni è illegale e penalmente perseguibile “qualsiasi allusione di responsabilità o corresponsabilità di Varsavia nei crimini commessi dalla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale”. Dal presidente Andrzej Duda è arrivata la firma alla legge polacca sulla Shoah. Il capo dello Stato poteva, dinanzi a norme così delicate, aspettare prima il pronunciamento della Corte Costituzionale. Ha invece deciso di firmare e così rendere operativa la legge, per poi sottoporla agli alti magistrati, chiedendo di verificare se non configuri come una limitazione della libertà di espressione. Vedremo cosa deciderà la Corte, in ogni caso Duda ha respinto ogni responsabilità della Polonia e nello stesso tempo dichiarato: “non vorrei che i superstiti della Shoah dovessero dubitare di poter rilasciare la propria testimonianza”.

Sin dal loro insediamento al potere il partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS), che esprime il premier e il presidente della repubblica, aveva affermato che avrebbe promosso “una politica storica”. Esaltare così le virtù nazionali per controllare la storia dandole forti connotati politici. Con idee ultraconservatrici, nazionaliste e di chiusura verso i migranti da molto tempo sta scatenando una campagna di odio nei confronti dell’Europa, della Germania e di tutti gli oppositori in patria, definiti traditori. In questa cornice si inserisce la legge sui campi di sterminio. Un provvedimento xenofobo e antisemita. Davvero incredibile, se pensiamo che sino a 10 anni fa la Polonia veniva descritta come tra i più importanti nuovi membri della Ue, con una solida democrazia e una società dalla cultura democratica diffusa e in pieno boom economico.

Sono molti gli Stati dell’Est, non solo la Polonia, che si stanno distaccando dal resto dell’Europa con forti atti simbolici. I Paesi usciti dal blocco sovietico sono in cerca di una propria identità. Ignorati dal 1989, dopo la fine del comunismo, si è pensato che con l’adesione alla Ue, dal 2004, si potessero risolvere tutti i problemi. Oggi che stanno diventando protagoniste le generazioni che non hanno vissuto il comunismo, iniziano a fari i conti, dalla Repubblica Ceca all’Ungheria, dalla Polonia alla Slovacchia, con la propria storia e con quasi mezzo secolo di colonialismo sovietico.

Cresce la destra, aumenta l’antisemitismo e demagogia e populismo sono alla base dell’azione della politica. Non solo la Polonia ma anche l’Ungheria, dove il premier Viktor Orban alle ultime elezioni del 2014 ha ottenuto il 44,87% dei voti, è nazionalista e anti straniero. A Budapest sono state approvate leggi contro la libertà di stampa e si è imposto una politica di controllo delle istituzioni indipendenti, dalla Corte Costituzionale all’Ufficio nazionale della magistratura.

La deriva è iniziata nel 2012 con l’entrata in vigore di una nuova Costituzione, fortemente criticata dalle istituzioni comunitarie, che limita la libertà di espressione, sino al ridimensionamento dei partiti d’opposizione e dello stesso Parlamento. In Slovacchia l’Sns (il partito nazionale slovacco) è cresciuto nei consensi, alle ultime elezioni del 2016 ha ottenuto l’8,64%, e governa con il partito socialdemocratico e populista del premier Robert Fico. Si caratterizza per le ronde contro gli immigrati e la rabbia contro la comunità rom (il 10-15% della popolazione individuato come lo straniero da cacciare).

Nella Repubblica Ceca Milos Zeman, è stato confermato presidente da pochi giorni, con il sostegno della Russia. Ha vinto un ballottaggio sul filo di lana con lo sfidante filo europeo Jiri Drahos, aprendo una profonda frattura all’interno della società, in particolare sull’immigrazione e la politica estera. Ed ecco allora come dinanzi ai grandi fenomeni delle migrazioni, le frontiere nazionali diventano anche i confini politici. C’è la paura che il multiculturalismo possa portare a cancellare le radici e la storia essere ancora una volta riscritta. Ma così il razzismo e la xenofobia vinceranno e l’Europa unita resterà un miraggio.

Alfredo De Girolamo (@degirolamoa)

Foto: Andrzej Duda

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