Nonostante gli sforzi con cui si cerca di rendere la vita più sicura la nostra epoca sembra contrassegnata da molte paure: delle malattie (e quindi della morte), di cadere in povertà, della violenza urbana, e molte altre. Alcune, come la paura delle catastrofi naturali ci provengono dalla notte dei tempi, altre sono tipiche della nostra era. Alcune sono reali, altre immaginarie, prodotto di pregiudizi sociali.
Un’analisi approfondita di questo stato emotivo la troviamo nel recente saggio di Roberto Escobar I volti della paura (Il Mulino 2023) che ha un incipit particolarmente incisivo : “La paura ci fa paura. La fuggiamo. Ci rifiutiamo di indagarne i segreti”.
Roberto Escobar, che ha insegnato Filosofia politica nell’Università di Milano e collabora con Il Sole 24 Ore sottolinea che “di i fronte agli altri, e spesso di fronte a noi stessi neghiamo di patirne i brividi”. Perché se ammettessimo di avere paura avremmo paura di ridurci a bambini che tremano nel buio.
L’autore si chiede perché questo accada e porta come esempio la paura del buio che non è quella più forte ma ha in sé qualcosa che può illuminare le altre. Infatti, al buio non riconosciamo più il nostro mondo che ci dà sicurezza ed emergono timori ancestrali.
Peraltro, rileva che la paura è un’emozione a cui conviene dare ascolto, per trarne vantaggio. Quindi va pensata come un segnale, come uno stimolo a reagire a una situazione avversa ,quindi a darci fa fare per venirne a capo approntando strumenti di difesa oppure fuggendo dal pericolo.
Ecco perché Roberto Escobar spiega che panico, terrore, angoscia non sono sinonimi della paura ma anzi talora sono suoi opposti o quantomeno sue deformazioni che la stravolgono.
Il terrore ci impedisce di agire, l’angoscia di pensare. A differenza della paura non indicano un pericolo da evitare e quindi non ci aiutano a superarlo ma creano smarrimento che ci blocca. E il panico spinge a comportamenti avventati e inconsulti, a una fuga dal pericolo così incauta e avventata che ci può portare verso un pericolo maggiore (p. 8).
Insomma, la paura è l’emozione più forte, ma anche la più fraintesa. La temiamo come una nemica, ma non possiamo farne a meno. Infatti, è un campanello d’allarme: segnala un pericolo e spinge a fuggirlo, ma talvolta suggerisce di conoscere quello che temiamo per trasformare il pericolo in un rischio consapevole, da affrontare e superare.
E tra i volti della paura descritti in questo libro, uno difende quanto già abbiamo e siamo, come quando teniamo chiuse le porte di casa. Un altro induce ad aprire quelle porte e a varcarne la soglia, alla scoperta di ciò che potremo essere e avere. Ma c’è anche una paura che diventa terrore o ango1scia, che ci lascia in balìa del pericolo, incapaci di arricchire le nostre vite con la curiosità. Da qui provengono molte sofferenze e miserie morali, e l’odio per chi non è di casa.
Roberto Escobar, nelle sue ricerche filosofiche, ha indagato i fondamenti antropologici delle dinamiche dei meccanismi di potere e su categorie quali libertà, ordine, esclusione, paura, persecuzione, sorveglianza. E in questo libro transita dalla psicologia alla filosofia, dalle scienze sociali a metafore letterarie affrontando numerosi scenari.
Troveremo, ad esempio, l’ Elias Canetti di Massa e potere, troveremo il gioco del gatto (metafora del potere che ha a che fare con la paura), il paradosso rilevabile in una pièce di Marlon Brando di cui parla Arthur Miller e un capitolo, La fine del futuro, che prende le mosse dalla crisi economica del 2008.
Significativo anche il riferimento a effetti di paure collegate allo sviluppo tecnologico degli strumenti di comunicazione. Si parla appunto di leggende metropolitane, voci che corrono, stereotipi annidati da secoli nella memoria collettiva (lo straniero come untore, orco) che collegati a episodi di cronaca nera alimentano paure profonde. E, a tale proposito, si fa riferimento a citazioni di Alessandro Del Lago (Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale Feltrinelli 1999) e Maurizio Bettini (Hai sbagliato foresta .Il furore dell’identità, Il Mulino 2020).
In questo “canovaccio narrativo” che cresce su se stesso e ha come protagonisti migranti, “stranieri”, non occorre nemmeno pensare a una strategia premeditata per un fine politico in quanto gli ascolti, i lettori, i like sui social sono la molla del suo funzionamento. E questo – si sottolinea- accade in un universo narrativo generale sempre più declinato, almeno in Italia, nella direzione del gia0llo, del crime, della spy story (cfr. Bettini cit. p.127).
Rilevante, poi, la citazione dalle Supplici di Eschilo “ Sull’emigrante è svelta a scattare la lingua cattiva”. In questo capitolo, si parla altresì di Robin Hood e del paradosso di Batman.
Infine, a proposito della principale delle paure, quella della morte, si analizzano anche la fiaba cinquecentesca di Giovanni Francesco Straparola con protagonista Flamminio “che si parte da Ostia e va cercando la morte” e le varie significative versioni di Giovannin senza paura il bambino che, appunto, non aveva paura di niente e parte alla ricerca di qualcosa che lo spaventi.