Firenze – Risorge il Ronchì Pichi, un protagonista nelle case toscane almeno fino a tutti gli anni 60, ingiustamente dimenticato per la progressiva dismissione della sua produzione ed ora pronto a compiere il gran balzo che lo riporterà sui mercati, come rampollo di una grande tradizione toscana che riguarda i vini liquorosi, grazie al coraggio dell’imprenditore Alessandro Cicali. La storia di questo straordinario vino aromatico parte nei primi del Novecento a Livorno, attore protagonista il vinaio Armando Pichi, proprietario di una piccola distilleria. Fu lui infatti a produrre un vino particolare, aromatico, che messo in commercio incontrò subito i favori del pubblico.
Negli anni Trenta, tra anisette e vermut, il Ronchì Pichi fu un “must” nelle case dei toscani. Ma dopo la seconda guerra mondiale, nell’Italia del boom economico, la ditta Pichi cedette marchio e brevetto alla Diversi di Piombino, che lo portò al successo negli anni Sessanta, facendolo diventare “molto più che un vinsanto”, come recitava una reclame. Finché alla metà degli anni Novanta, gradualmente, la ditta Diversi ne cessò la produzione. Poi, agli inizi degli anni Duemila, la svolta. La Sparla e Gerardi di Lastra a Signa ha acquisito le royalties provando a rimetterlo in commercio. Ma solo adesso il grande passo è stato davvero compiuto. E ieri mattina a Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio regionale, “il vino aromatizzato della tradizione toscana”, come viene definito, è stato presentato alla stampa.
“E’ il ritorno di una tradizione ed è significativo che ciò avvenga mentre l’Italia si distingue a livello mondiale per l’enogastronomia”, ha detto il presidente dell’Assemblea regionale, Eugenio Giani. Che ha aggiunto: “E’ un vino aromatizzato che può essere concorrente del vermut o del vinsanto. Ma soprattutto è un prodotto che appartiene alla tradizione culturale ed enogastronomica della Toscana. Il ritorno sulle scene di questo vino liquoroso, dunque, va salutato come un fatto importante, che ricollega un qualcosa di particolare alla più ampia tradizione vinicola della nostra terra”.
“In un momento in cui si parla di una Toscana a due velocità, con quella costiera in ritardo, è importante che si riprenda la produzione di un vino che riesce a coniugare la tradizione enogastronomica della costa con quella dell’interno della Toscana” ha detto Monia Monni, consigliera regionale della Piana fiorentina. Ed Antonio Mazzeo, consigliere eletto a Pisa e presidente della commissione per lo sviluppo della Toscana costiera, ha sottolineato che “era il vino che gli studenti dell’università di Pisa utilizzavano per il brindisi dopo la laurea” ed è “un prodotto che si rifà alla tradizione della costa, anche se oggi viene prodotto nella Toscana centrale”.
Significativo inoltre l’intervento della sindaco di Lastra a Signa, Angela Bagni, la quale ha sottolineato che “oggi quel vino liquoroso viene fatto nella Piana e in particolare a Lastra” e questo è “un motivo di orgoglio”. Ma ha al tempo evidenziato anche come “a trarre vantaggio dal ritorno di questo prodotto è tuttavia l’intero comparto regionale di riferimento”. Un concetto, questo, espresso anche da Alessandro Cicali, l’imprenditore che ha avuto il coraggio di rilanciare il Ronchì Pichi, che ha chiuso l’incontro con i giornalisti: “E’ un vino che appartiene alla tradizione toscana nel senso più completo del termine, anche se viene prodotto in virtù dell’antica ricetta livornese. Noi crediamo in questo prodotto e siamo felici di rendere alla tradizione toscana un suo vino che da tempo mancava dai mercati”.