La nuova generazione: a ognuno il suo gusto e la sua personalità

Parla Michel Comte uno dei più grandi fotografi degli ultimi cinquant’anni

L’identità. Un termine sempre tirato fuori dall’uno e l’altro cassetto. Ma mai risolto. Un labirinto in cui anche la moda ha assai a che vedere: il come ti vesti è tra le prime cose che usi per farti vedere agli altri come sei o come vorresti essere, o come sei o vorresti essere un giorno e l’altro diversamente, oppure anche come usi un abito per nascondertici dentro e celare all’altro ciò che non vuoi mostrare di te stesso. Sembra una frivolezza. E invece è complicato.

Segna abitudini, comunicazione, stili di vita, generazioni. “Negli ultimi anni le persone hanno perso la loro identità coprendosi di loghi dalla testa i piedi, adesso stiamo riprendendo la nostra identità. La speranza in questo senso ce la stanno dando i più giovani, una nuova generazione che rifiuta la massificazione dunque la sicurezza impersonale del logo e usa, invece, ognuno il proprio gusto, la propria personalità, la fantasia. Una giovane generazione che rispetta l’ambiente e la circolarità scegliendo spesso l’upcycling”.

Chi parla è uno dei più grandi fotografi degli ultimi cinquant’anni, lo svizzero Michel Comte che, in occasione del Pitti Uomo, la rassegna punto di riferimento mondiale del vestiario maschile a livello mondiale, la cui 106* edizione si è tenuta a Firenze questo giugno, ha assunto la curatela del progetto “Identity”. Un’installazione in dieci diversi spazi che oltre la moda usa disegni, foto e video che Comte paragona a sculture e opere d’arte, realizzata da 12 studenti venuti da tutte le sedi del gruppo Ied (l’Istituto Europeo di Design) in Italia, Spagna e Brasile. I giovani designer hanno dato vita, sotto l’ispirazione, la guida e la discussione con Comte, a dieci diverse installazioni negli spazi originariamente settecenteschi dell’ ex Teatro dell’Oriuolo riportato dal Comune di Firenze a nuova vita proprio a due passi dal Duomo e la Cupola del Brunelleschi, e diventato il centro di eccellenza delle Arti digitali e visive della scuola europea di moda e design di cui Riccardo Balbo è direttore.

“ È stato molto bello incontrare questi giovani designer, parlare a lungo con loro, confrontarsi. Li ho invitati a riflettere sul tema urgente e decisivo dell’identità”, dice
Comte chiamato ad aiutare e spingere i giovani designer a riflettere sul tema per
capire, pone la domanda il direttore dello IED di Firenze, Danilo Venturi, come, in
tempi in cui i dispositivi elettronici hanno superato la moda in termini di desiderabilità, possiamo rappresentare chi siamo attraverso ciò che indossiamo e come possiamo comunicare all’esterno i messaggi che la nostra identità racchiude. E Comte risponde: “La moda resta uno dei mezzi principali per rappresentare chi siamo, la nostra identità ma anche come affrontiamo i temi della contemporaneità. In un mondo consumato dal fast fashion, scelgo il denim giapponese come simbolo di uno stile sostenibile. È la filosofia che guida la mia curatela dell’installazione Ied a Firenze, dove dieci spazi di uguali dimensioni fungono da piattaforme per un’opera d’arte collettiva, fondendo personalità diverse in pura magia”.

Non solo moda come identità individuale, è convinto il famoso fotografo, “ma anche la convergenza verso un’idea di bene comune in cui riconoscersi e si cui poter costruire una collettività che guarda al futuro con ottimismo”. E per cui la sostenibilità ambientale e sociale sia al primo posto: “I prodotti che noi indossiamo possono rappresentare il bene come il male. Sono stato anni fa, e me lo ricorderò per sempre, in Cambogia, dove degli sfortunati lavoratori producevano jeans tramite un procedimento ad alto tasso di inquinamento per cui tante persone sotto i quarant’anni morivano. Tutto ciò mentre nei compriamo a caro prezzo il frutto del loro sacrificio.

Basta. Un prezzo di vite umane è troppo costoso per l’umanità, anche su questo ho proposto agli studenti IED una riflessione”. “La moda è una creazione, la creazione e arte e l’arte può esprimersi liberamente diventando oggi il miglior mezzo di comunicazione” spiega ancora Comte che ha fotografato tutti i grandi della moda, da Armani a Versace, Ferrè, Dolce&Gabbana, Fendi, Prada, solo per citare pochi dei tanti nomi, come la guerra – “mi interesso a tutto ciò che è umano, è naturale, essendo io un fotografo” – passando, racconta, “dalla Somalia all’Afganistan, lo Zaire, il Ruanda, l’Eritrea, la Bosnia, il Kossovo, l’Irak” solo per citare alcuni punti della mappa delle atrocità umane. Non si è fermato mai, neppure, se non per poco, quando un gravissimo incidente a Los Angeles ha rischiato di portargli via la vista. Lasciando subentrare a quel punto l’interesse per il cinema, l’arte contemporanea, il raccontare il mondo attraverso dipinti, sculture, installazioni.

Convinto, dice ora Comte, dietro i suoi immancabili occhiali scuri attraverso i quali scruta appassionatamente il mondo, che “la creazione artistica, moda o fotografia comprese, sia il filo conduttore, la sintesi e la scintilla di tutto e di tutti i processi di trasformazione, senza distinzioni tra artisti, designer di moda, fotografi. Lo dimostra Leonardo Da Vinci che quando dipingeva, alla corte degli Sforza a Milano, l’Ultima Cena creò anche le fognature che mancavano sotto la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Non ci sono confini segnati”.

Non li traccia mai, Comte, i confini tra le varie manifestazioni delle attività e dell’ingegno umani, e neppure alza steccati: per esempio tra lui, settantenne di lunga esperienza, e i giovani ma talentuosi designer dello IED, ne’ tra la vecchia macchina fotografica e il digitale oppure con l’Intelligenza artificiale su cui, attraverso l’università di Basilea, il fotografo sta lavorando all’interno della commissione voluta dal Papa sulla medesima, cui partecipano 50 scienziati e 50 religiosi da tutto il mondo e “su cui non posso ancora rivelare niente”, dice Comte che, a testimonianza di in questo ponderoso impegno, presenterà, il 30 agosto 2024, a Milano una sua installazione artistica.

La logica rimane sempre quella di accostarsi in ogni caso al nuovo, di non dire di no in anticipo, ma neanche pronunciare un sì senza riflette. “ Il digitale? Si deve prendere il buono di tutto, dunque anche il buono che sicuramente c’è nel digitale”, dice nel cortile del Teatro dell’Oriuolo, accanto alle creazioni degli studenti IED. “Bisogna sempre stare attenti a prendere a quello che è giusto – continua – Lo stesso vale per l’AI. Noi sappiamo che l’Intelligenza artificiale sta costruendo una moltiplicazione della nostra identità, il rischio è solo quello di perdere il punto di partenza ma dobbiamo assolutamente confrontarci con l’AI e riflettere su come estende la nostra vita, come l’Intelligenza artificiale possa essere un’estensione positiva della nostra vita, un mezzo importante per comunicare con il mondo.
Bisogna solo capire dove l’uomo può arrivare. Allo stesso modo, AI, digitale, arte, hanno a che vedere con l’etica. La questione alla fine è solo etica”.

In foto Michel Comte

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