Firenze – Le crisi finanziarie degli ultimi quindici anni hanno riportato in primo piano il tema della creazione di valore economico e dell’etica dell’impresa che lo produce. La constatazione dei superprofitti ottenuti dagli azionisti e dai banchieri che li rappresentano ha messo a nudo il problema del divario tra chi guadagna e chi crea effettivamente il valore. Le retribuzioni dei livelli più alti all’interno di un’azienda sono oggi 300 volte maggiori rispetto a quelle dei livelli inferiori. Tutto ciò è all’origine del crollo nella fiducia dei cittadini verso le istituzioni economiche e finanziarie.
Il dibattito ha avuto un precedente importante negli anni 90 quando economisti come Michel Albert teorizzarono la differenza fra shareholder value (il valore degli azionisti), sul quale si basa il capitalismo anglosassone, e stakeholder value (il valore per tutti coloro che nell’impresa contribuiscono alla creazione di valore), al quale presta maggiore attenzione il capitalismo europeo. Amartya Senn e tanti altri studiosi contribuirono ad approfondire il concetto dell’etica di impresa e del suo ruolo come soggetto sociale.
La forza dirompente del “turbocapitalismo” e di una globalizzazione esplosa senza correttivi né regole, creando diseguaglianze crescenti nei redditi all’interno dei singoli paesi, ha messo la sordina a quei ragionamenti fino al momento in cui le bolle finanziarie (i titoli subprime americani, Enron) e la crisi dei debiti sovrani hanno drammaticamente riproposto il problema.
Nel 2018 un saggio di Mariana Mazzucato (“Il valore di tutto, chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale) nel raccontare come nell’economia globale speculatori e rentiers si presentano falsamente come creatori di valori ha sottolineato la necessità di dare risposte all’interrogativo su chi crea e chi sottrae il valore. A suo parere, l’obiettivo è quello di riformare il capitalismo per renderlo più sostenibile e più socialmente responsabile: “Il concetto di valore deve ancora una volta prendere il giusto posto al centro del pensiero economico”, ha scritto Mazzucato.
Negli ultimi mesi è uscito per Mondadori un saggio che fa un passo avanti, perché cerca di mettere a punto un paradigma “per una nuova teoria del valore in economia e della sua misurazione e distribuzione nel contesto etico della giustizia economica”.
“L’economia del valore – la nuova sfida del capitalismo moderno” di Michael Griffiths, economista e manager, già presidente della Camera di commercio britannica in Italia, e John Lucas, recentemente scomparso, già presidente della British Society per la Filosofia della Scienza, propone alcune regole precise perché creazione di valore ed etica d’impresa siano strettamente connesse. Partendo dalla domanda che gli operatori economici sono tenuti a porsi: “Qual è il valore economico che state creando non solo per azionisti, ma per tutti gli stakeholder della vostra iniziativa imprenditoriale?”.
Perché questa nuova consapevolezza diventi realtà, sostengono Griffiths e Lucas, che avevano cominciato la loro ricerca nel precedente volume “Ethical Economics”, non bastano le raccomandazioni “paternalistiche”. Occorre invece che questo concetto di valore entri nella pratica quotidiana (nel DNA dell’impresa) come criterio e standard di misurazione per valutare le performance economiche.
Un’impostazione che ha come corollario la partecipazione dei dipendenti e degli altri stakeholder al processo decisionale e alla proprietà (un aggiornamento della Mitbestimmung tedesca), e anche a una componente di elargizione filantropica che, secondo la tradizione anglosassone, restituisca alla società una parte del valore creato: Questo concetto di impresa – scrivono gli autori – porterà a ridefinire l’Uomo Economico “come un essere morale e razionale, con un ruolo sociale ben definito e riconosciuto e non come un semplici manipolatore di risorse”.
Un altro punto centrale della loro proposta è che i nuovi criteri e la nuova metrica del valore economico si applichino anche alle imprese pubbliche, perché in questo modo si possa valutarne l’efficienza sul piano sociale (che è la loro missione) ma anche su quello dell’impiego dei capitali per l’offerta di servizi pubblici. In questo modo si realizza uno scambio virtuoso fra la responsabilità sociale propria del pubblico e la gestione razionale dei capitali in funzione della creazione di prodotti e servizi propria del privato . “Il rapporto tra i settori privato e pubblico – concludono – deve essere basato sulla cooperazione, anziché sul conflitto insito nella struttura mentale privato è bello, pubblico è brutto”.
Il libro “L’economia del valore – la nuova sfida del capitalismo moderno” di Michael Griffiths e John Lucas verrà presentato giovedì 28 aprile alle ore 18 presso il BRITISH INSTITUTE OF FLORENCE, Palazzo Lanfredini, Lungarno Guicciardini 9. Insieme con l’autore Michael Griffith partecipano Simon Gammell, direttire del Bristih Institute, con l’intervento di Alessandro Grazioli