Piombino – Quanti i cammini, quante le strade delle Donne di Alberto Inglesi? Sono tante quante, tutte quelle che una donna deve percorrere prima di poter dire sono una Donna, di poter essere chiamata Donna.
Sono le strade, i cammini verso la propria identità, e verso il riconoscimento di questa da parte della società intera. Tutto ha sede nel cammino, nel viaggio tra tempi, spazi, nazioni e animi, tra sentimenti e normative verso l’uguaglianza e la parità. Una sfida ancora aperta.
Il messaggio che Inglesi propone con forza e straordinaria efficacia è quello a fondamento del pensiero contemporaneo, divenuto coscienza sociale, che evoca sin dagli anni ’60 la canzone di Dylan How many roads, un messaggio che oggi diventa provocazione perché, dopo 60 anni circa, donne e uomini continuano a combattere per il riconoscimento della propria dignità, dei propri diritti continuamente e quotidianamente violati.
Inglesi ne fa una tematica di produzione artistica che dalla fine degli anni ’80 ad oggi diviene numerose sculture innovative in linguaggio e Nuova Figurazione, diretta, immediata con tutti i valori che arte e uomo trovano nel loro incontro. In sintesi è il viaggio, il nostos , il tema artistico di tutti i temi, quello che fin da Ulisse ha rappresentato il tema di ogni civiltà e di ogni tempo; l’evoluzione che la donna, ma per Inglesi – come ho detto in altri scritti e qui ribadisco – la donna è figura totalizzante in accezione modiglianista e quindi include l’umanità e la natura. Inglesi riscrive oggi l’Odissea il percorso, il cammino per la conquista dei diritti di dignità e uguaglianza della donna nel mondo, della donna italiana per una parità lavorativa e salariale, oltre che sociale, ma anche di tutta l’umanità, un cammino condotto dall’uomo per l’uguaglianza di genere, colore della pelle – per l’uomo centro e scopo di tutte le nostre attività, bandendo l’ingiustizia e le arroganze, sostenendo il dialogo e la democratica e illuminista fratellanza tra uomini e popoli.
La Penelope di Inglesi però non attende ritorni o eventi, è amazzone, eroina e protagonista di un cammino, fatto di venti, mostri e personaggi ostili, tessiture di strategie e non tele, fatto di più, infiniti cammini con partenze distinte, strade distinte, ma unico approdo, la spiaggia, il porto della propria affermazione, della propria, qualunque ella senta propria, Itaca. Non attende il proprio uomo per farsi giustizia è ella stessa artefice di giustizia per sé e per gli altri.
Un incontro, un miracolo che oggi si propone per le vie di Piombino e in Piazza Bovio, per lanciarlo nell’immensità dei blu dei mari e dei cieli. La Piazza entra come una prua nel tratto di costa degli etruschi che guarda l’Elba, e proietta le Donne di Inglesi da questo trampolino verso tutto il mondo.
L’Arte contemporanea trasforma l’arte in evento, in un accadimento che coinvolge il paesaggio e il territorio con istallazioni, come nella Land Art di Christo (a cui un giusto pensiero per la recente scomparsa) che con il suo wrapping , impacchettamento di palazzi noti e situazioni urbane o persino isole, usa sinergicamente territorio e forma artistica.
Donna in cammino è anch’essa un’esposizione intra-urbana, che come ciclo d’importanti mostre itineranti e diffuse, diviene inter-urbana. Un canto corale in più luoghi d’intere città. Con la forza e l’irruenza di un fiume in piena, dalle colline toscane, la prima mostra si è svolta recentemente a Siena dove le opere hanno abitato, vissuto, i più preziosi, i più cari spazi cittadini e Palazzi con 52 sculture, ora, mentre scrivo le sue acque percorrono Grosseto, e a breve (9 Agosto) Inglesi porterà il fiume a sfociare d’impeto a Piombino nel Mare Nostrum, e nel recente futuro siamo sicuri che come un fiume carsico vedremo le sue acque riaffiorare in tanti altri luoghi. Ovunque il punto essenziale e saliente è il rapporto tra arte e spettatore che si compie in modo diretto, faccia a faccia, nella vita del quotidiano. Arte e quotidiano è un binomio che possiamo ritrovare solo nelle epoche premoderne. Nessuna TV, nessun cinema, il creato artistico diventa personaggio teatrale delle scene della nostra vita e ci parla direttamente, esprime insegnamenti e pone moniti, nessun filtro della tele-era mediale.
Le Donne d’Inglesi, come Nereidi, divintà delle acque o della terra, perché feconde di creatività, sono un monito per le nuove generazioni che sembrano distratte ai temi dei diritti, e testimonianza per le generazioni passate e presenti, delle lotte, dei cortei, delle manifestazioni.
Donne forti, fiere, creature dai volti decisi, dai tratti grossi, evocazioni di figure afro, in costante connessione con gli elementi naturali da cui traggono energie, sguardi all’orizzonte e ampi gesti, che pongono la figura in rapporto con lo spazio scenico circostante, come un attore nel teatro della città e della vita.
Alberto Inglesi ho affermato prima è Modiglianista, la sua scultura appartiene ad una scuola senese che vive dei respiri del linguaggio della Nuova Figura che dalle Avanguardie del Dopoguerra si è sviluppato per il desiderio di riappropriarsi del contatto diretto, leggibile chiaro, anche se come in poesia fatto di simboli, di analogie, per parlare uno ad uno con i propri fruitori. Porre nuovamente al centro l’uomo e il suo rapporto con la società, la tecnica, la scienza e la natura. L’artista assume il suo ruolo come guida spirituale ed etica per la libertà con cui la sua sola sensibilità, pura – non contaminata da interessi economici o politici o di potere, è in grado di captare le energie dell’uomo e delle città per sollevarle a simbolo, a segnale di denuncia nel caso che società e politica si muovano contro la democrazia, la libertà, l’uguaglianza.
Per questo l’informale, il concettuale, l’astratto per l’astratto, si allontanano dall’uomo, da una lettura semplice e diretta delle vite di ognuno di noi. La capacità dell’artista è quella d’indicare, anche se non in maniera organica quei vizi, quelle anomalie che si traducono in comportamento dispotico, non democratico, non laicamente a favore del benessere dell’uomo e respingerli, dopo averli erti a simbolo, ad esempio negativo e indurre nella sua forza di denuncia tutti noi a combatterli, a modificarli e distruggerli per ripristinare i valori morali e sociali di uguaglianza e fraternità.
Del resto il percorso formati d’inglesi avviene a Siena allo studio del suo maestro Plinio Tammaro, amato e riconosciuto tale ancora oggi, tanto che Alberto inglesi dedica a lui Arcangelo, un omaggio agli angeli e Arcangeli di Tammaro, con le ali in vetro, che Tammaro arrivò a realizzare negli anni 2000-2004 dopo intensa e continua ricerca di studio policromatico.
Anche Tammaro sviluppa la propria matrice artistica con un occhio attento al classico, alla tradizione e una forte spinta innovativa culturale verso linguaggi internazionali e rivoluzionari rimanendo nell’alveo della Nuova Figurazione. Tammaro come Inglesi dagli artisti Tardo Gotici senesi come Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti, Tino di Camaino, Taddeo di Gaddi, Jacopo della Quercia amati e apprezzati oltre ai classici anche da Modigliani, trovano riferimenti e matrici stilistiche anche nei grandi rinascimentali e del barocco da Leonardo, Donatello, Michelangelo, sia per aspetti tematici come le annunciazioni o formali per la forza dei rapporti tra vuoti e forme, scuri e piani luminosi, per arrivare al Canova che con la posizione reclinata ( del resto tema etrusco e romano dei sarcofagi ) della Paolina Borghese pone elemento caro a tanta scultura – basti citare le donne di Moore. La forza e l’impeto del gesto scaturiscono dal Giambologna e dal Bernini e modi di lavorare il bronzo e marmo appartengono a tale intento e intuizione artistica. Bisogna in questa carrellata di riferimenti ricordare il Goya e Toulouse Lautrec per la modernità della concezione del design, e Modigliani e con lui Brancusi. Vorrei poi associare il linguaggio scultoreo di Tammaro e Inglesi alla forza delle forme internazionali di Moore, Liptchiz e Zadkine.
Il Mito: Dafne, Leda Thalassa sono alcuni dei titoli in esposizione o le annunciazioni e gli Arcangeli che ci rivelano il desiderio di sviluppato un linguaggio più eterno e universale – originale, che nasce e si sviluppa in Inglesi, da componenti fondamentali e paritetiche: l’amore per i classici e la natura mediterranea del suo sguardo, l’amore per la poesia che determina sospensione e metafisica riflessione, l’amore per l’africanismo e il giapponismo che infonde sguardi innovativi su l’uomo. Tutti elementi universali ed eterni che si mescolano nel concepire un superamento dell’Accademia per forgiare con totale dedizione e inquietudine sperimentale un’arte nuova.
Ѐ ora di questo linguaggio innovativo e sperimentale che voglio parlare perché porta Inglesi a lavorare da vero dominatore della materia e maestro di trasformazione della materia per arrivare a lavorare metalli come alluminio quasi fosse tela o cuoio, vetro resine come legni o marmi dipinti, il bronzo come se fosse acciaio forgiandolo, unico nel mondo tra gli scultori viventi da lastre che gli consentono una innovazione di linguaggio fatta di volumi dei capelli con forature e finestrature che lo rendono leggero o con squarci vuoti o sottosquadri mai realizzabili con la tradizionale fusione a cera persa.
Non solo la ricchezza di materiali e lavorazioni che sono un tutt’uno con la freschezza e l’innovazione del linguaggio artistico, vorrei ricordare le grandi doti di questo scultore toscano di vivere la dimensione luce-forma, e il suo dialettico opposto, vuoto-scuro come il grande l’insegnamento della scultura. Alberto Inglesi è uno dei rari esempi di scultore demiurgo, un Efesto, un Vulcano come è visibile dalla fotografia in copertina dove Inglesi salda batte l’acciaio è scultore che, fin da giovane nella bottega di suo padre, abile ebanista, domina la materia. Nel coraggio ogni giorno ingaggia la sfida della creazione. Non la teme, fa parte della sua esigenza di esprimersi, e più è difficile più lo esalta. Il Segno, il Simbolo, il Gesto, il rapporto scenico tra personaggio e ambientazione. Policromaticità, polimatericità, larghi piani, sensuali carnali e luminosi, talvolta in marmo, compressi, racchiusi in rigide forme, volumi, geometrie, quasi sempre più scuri e in bronzo: Mater Matuta, Dafne. Ampie figure lignee o bronzee dipinte o colorate con distinte morsure.
Mai perdere di vista il coraggio della pulizia, dell’eleganza, dell’essenzialità poetica della grande scultura, come del segno largo, del gesto largo aperto che dialetticamente pone in contatto diretto energia interna delle figure e spazio architettonico esterno.
Un artista, l’artista demiurgo ispirato dalle stesse muse che animano lo spirito olistico dello Scultore Tardo-Gotico o Rinascimentale e al tempo stesso dall’animo dell’artista maledetto, severo con se stesso e col mondo. Scultura, spazio architettonico, elementi urbanistici o scenici hanno analogie e sono per lui senza mistero. Scultura e Architettura comunicano tra di loro ed ecco che le sue opere si collocano bene in ogni dimensione architettonica, in ogni angolo della città, via o piazza. Dote importante e oggi rara quella di concepire la forma nello spazio.
La scultura di Inglesi ha gli stessi elementi, in Ermafrodita (1989), in Mutazione (2001), in Oracolo (1999), i temi della fluidità dell’essere nella classicità come nella modernità, nella continuità ontologica, vuoi che Inglesi la sviluppi verticalmente o in movimento orizzontale o ancora in vortice ascensionale. Le sue sculture narrano di un mondo in continuo divenire carico di segni, simboli, forme classiche come i temi, eppure straordinariamente contemporanei e innovativi, in cui la creazione artistica sviluppa linee e volumi sinestetici, e sinergici con la storia, il messaggio, il simbolo dell’opera.
Si guarda con l’udito generato dalle forme in movimento, si ascolta con il profumo dell’atmosfera disperso negli spazi che relazionano le figure, la loro narrazione e gli elementi scenico-architettonici o paesaggistici (Ritorno dai campi – 1989) alcuni anche se solo accennati sul basamento Largo gesto II, Attesa .
L’osservatore cerca, indaga, segue indizi, scova volti (Mutazione) solo accennati o si lascia attrarre dai tratti forti di volti femminili che mostrano forza e mascolinità: labbra carnose nasi possenti, come i colli a ricordare afro nei tratti e nelle masse sferiche gonfie e ricce.
Ecco una caratteristica importante della Nuova Figura Modiglianista, la semplificazione delle forme umane con geometrismi ricercati, Il collo vicino al cilinro le spalle vicine al triangolo o al rombo le vesti lunghe che nascondono le gambe di molte figure come piramidi.
La scultura vive della relazione tra sé e lo spazio esterno o tra sé e gli spazi interni, che il fruitore ricompone e reinventa per le duplicità e molteplicità dei possibili percorsi interpretativi.
Mai totale chiarezza ma fascinoso mistero, mai singolarità, ma totale molteplicità fatta di un linguaggio naturalistico, il gusto del mistero che è sempre stato il tratto caratteristico del Gotico e del Rinascimento. Le porzioni di figura o dei particolari sui totali che hanno il sapore della sezione aurea, dei punti di vista prospettici, dei canoni armonici architettonici ad ispirare soggetti e insiemi. Inglesi imposta le strutture scultoree secondo linee portanti, nuclei espressivi nella dicotomia dialettica tra particolare e totale, senza mai perdere di vista l’occhio del fruitore, dello spettatore di un complesso scultoreo-teatrale.
Inglesi conserva tutti i tratti di cui parliamo, presenti anche in Tammaro e uno fra tutti l’architettura metafisica del gesto – Largo gesto il titolo che è più presente nelle sue opere, attesa, presagio – senza privarlo della dinamica e del movimento, anzi esaltandolo come sforzo assoluto della tensione umana alla verità. Esplicitato, vuoi come braccio teso che esce dall’arco delle spalle verso lo spazio libero o verso una parete o una finestra o una porta o nella flessione delle ginocchia, una specie di raccoglimento afro in cui la persona assorbe energia dalla madre terra per poi forse esploderla nell’attimo successivo in un salto. Oppure come una tensione implicita perché interna ad una forma, in essa trattenuta come evidente denuncia di privazione della libertà, della libertà del gesto equiparato all’espressività, alla vita. In questo caso il gesto si coglie solo come deformazione della superficie che rappresenta il confine del volume di prigionia, ed è implicito scoppio dinamico trattenuto e violato.
Alberto Inglesi parla con le sue sculture, altrimenti è schivo, laconico e chi vuole il suo vero volto lo deve ricercare nelle sue opere, sapendo ricercare nei tratti delle sue Donne si può trovare l’uomo con le sue squisite sensibilità, la sua passione per la verità, la sua purezza, la sua fierezza.
Inglesi da vero artista maledetto non conosce compromessi, non indugia, agisce a piena carica e forza, non ama il politically correct.
Non sarà mai troppo il ringraziamento che a lui è dovuto, per il suo coraggio di mettere a nudo quanto siamo, quanto non siamo e i nostri disagi, le nostre paure, per darci modo di riflettere.
Prendiamo coscienza perché, di fronte a noi, l’opera d’Inglesi ci spinge a godere di un linguaggio artistico che evoca nelle tematiche e nelle nobiltà dei gesti il classico ma conduce forma e luci verso un linguaggio innovativo. Nella sua globalità una Nuova Figura, ma nei particolari capace di spingersi all’Informale, con lo spirito della Innovazione Culturale.
Inglesi ci porta al senso primo della vita, alla sua Arché, al perché ontologico, senza nascondersi dietro a maschere di apparenza.
Il suo è un richiamarci alla profondità dei valori primi, privi di demagogia.