La mossa di Renzi, gli errori di Conte, le scelte del Pd

Firenze – “Abbiamo fatto un piacere al Pd”. Le parole di Ettore Rosato a Stamp si possono anche leggere come l’estremo tentativo di giustificare quella che viene comunemente definita “l’irresponsabile decisione” di Matteo Renzi di aprire la crisi di governo in piena pandemia. Lo show down nei palazzi romani è una manna per chi ama dilungarsi su conflitti personali, incompatibilità di carattere, ambizioni smodate, atti disperati per sopravvivere: maramaldi e cavalieri, avventurieri e saggi governanti.

Esiste però una cosa che è stata messa forzatamente in secondo piano a causa del flagello che ci ha colpito, costringendoci a cambiare abitudini e vecchie certezze. Qualcosa che era inevitabile si riprendesse il primato che ha sempre rivendicato, la politica.

Perché la sciagura del coronavirus, pur continuando a imporre lo stato di emergenza, ha aperto la strada a un evento storico di primaria grandezza, quale l’arrivo di 222 miliardi di euro, tre punti percentuali sul Pil (1.647 miliardi), del piano di rilancio europeo: una cifra in grado di cambiare le sorti economiche del paese, modernizzandolo e rendendolo in grado di mettere a posto gran parte delle sue arretratezze strutturali.

Pur avendo gestito l’emergenza della pandemia con saggezza e giudizio, il premier Giuseppe Conte pensava di essere in grado, grazie alla sua meritata popolarità e all’indubbia capacità di mediatore, di poter gestire questa valanga di denaro con la stessa metodologia e la stessa autoreferenzialità dei Dpcm sulla pandemia: scelte necessarie e ineludibili.

E’ stato a questo punto che è emerso il suo limite. Non basta aver domato Salvini e aver realizzato un’operazione di grande equilibrismo nel costituire una maggioranza uguale e contraria a quella con la quale era partito, per capire che cos’è fare politica in una democrazia complessa, ricca di portatori di interesse di varie forza e natura, ma tutti legittimamente impegnati a ottenere reddito e benessere.

La politica per l’appunto è saper andare oltre al contingente, che in questo momento concede più di quanto avvenga in tempi ordinari, e guardare al dopo dando risposte alla domanda: come gestire il rilancio in modo condiviso non solo con le forze che fanno parte della maggioranza, ma anche con il sostegno più o meno convinto di quelle dell’opposizione. Riportare la politica al primo posto – anche prendendo atto che con Trump è finita la stagione dei populisti – è stato l’obiettivo di Renzi. Aggiungete pure anche il resto, personalizzazione, carattere, ambizione, protagonismo, ma è secondario.

La risposta di Conte è stata da impolitico nel momento in cui ha cercato tutte le strade possibili per mantenere il controllo, senza cogliere il tempo giusto per preparare la nuova gestione condivisa di una stagione che, dietro l’emergenza sanitaria, ha mutato carattere.

Così Renzi si è progressivamente convinto che le sue iniziali riserve sul Movimento 5 Stelle e sul suo leader erano fondate e, dopo essere stato il kingmaker della coalizione giallo-rossa, ha deciso di tornare ad esserlo staccandone la spina. Discutiamo pure sui tempi e i modi, in particolare sull’opportunità di aprire la crisi in questo momento, dopo aver ottenuto gran parte delle modifiche che aveva proposto per il piani di rilancio. Conseguenze negative della sua decisione si potranno constatare nei prossimi giorni. Ma la crisi prima o poi sarebbe stata inevitabile.

In questo senso vanno lette le parole di Rosato. La mossa di Renzi lascia al Pd lo spazio centrale nella dinamica politica. Il cerino è in mano a Conte che deve decidere cosa fare, ma che, anche nel caso in cui convinca tutti a sedersi attorno a un tavolo per concordare un patto di legislatura, avrà comunque perso la sua partita. Il Movimento 5 Stelle non può lasciare l’alleanza con i democratici perché un governo istituzionale lo metterebbe fuori gioco, circostanza che offre a Nicola Zingaretti anche la carta di una presidenza del Consiglio di Dario Franceschini. Ma il Pd potrà sfruttare questa centralità se dirà chiaramente ai propri elettori e al Paese dove sta, senza andare a rimorchio di Conte.

A meno di un imprevedibile avvitarsi della crisi fuori controllo, Renzi potrà forse conquistare ministeri più importanti e più direttamente coinvolti nei progetti del piano di rilancio. Ha fatto tutto questo per ottenere il ministero delle infrastrutture? Può darsi, ma non dimentichiamo che prima di tutto conta l’equilibrio politico democratico. Vince chi per primo coglie i segni del cambiamento e sa indirizzarli verso i suoi obiettivi.

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