Gianluca Grisolia
Quando uscì il romanzo di Brian Selznick La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, nel 2007, diventò subito un piccolo caso letterario. La sua narrazione così particolare, che alternava scrittura e sequenze illustrate in un unico racconto coerente, racchiudeva già in sé un dinamismo intimamente cinematografico. Alla notizia che un maestro come Martin Scorsese si sarebbe occupato della sua trasposizione filmica, i fan della storia originale avevano esultato. Il dubbio, tuttavia, rimaneva: come si potrà rendere la peculiarità del libro senza perderne la magia?
Il film di Hugo Cabret rende molto bene la atmosfere fiabesche e vagamente steampunk dell’opera da cui è tratto. Il suo protagonista Asa Butterfield, sebbene non attorialmente maturo come la bravissima e giovane collega Chloë Moretz, riesce a restituire con grande dovizia l’immagine dickensiana che i lettori del romanzo si erano costruiti del piccolo orfano. Molto divertenti anche i teatrini con la guardia integerrima e zoppicante di Sacha Baron Cohen, e assai affascinanti le sequenze oniriche presenti nella pellicola.
Inutile dire però che, al di là della maestria di Scorsese, nessuna trovata registica ha potuto realmente eguagliare la genialità grafica del libro. Qualcuno sperava che l’uso del 3D ci avrebbe provato. Tuttavia, per quanto realizzata ad un buon livello, nemmeno la stereoscopia (pratica ormai abusata e invisa ai più già da tempo) è stata capace di introdurre un effetto di transmedialità narrativa altrettanto marcato.
Nonostante questo confronto impari, Hugo Cabret rimane un film spettacolare che, sullo schermo ancor più che sulla carta, si fa dichiarazione di resa incondizionata alla magia nel cinema e del cinema. E già solo per questo andrebbe visto e rivisto in diversi momenti della propria vita da spettatori.