La logica di deterrenza del programma ReArm Europe

L’Unione in cerca di un nuovo e difficile equilibrio di potenza

Nei primi decenni del secolo scorso si è affermata l’idea che fossero necessarie nuove istituzioni internazionali capaci di superare l’anarchia del sistema vestfaliano degli Stati sovrani. Bisognava archiviare le strategie vetero-europee dell’equilibrio di potenza, con il loro corollario di formalità diplomatiche, e superare lo jus publicum europaeum con il suo particolarismo. Solo un ordinamento giuridico globale avrebbe potuto garantire una pace stabile e “universale”. Com’è andata a finire lo sappiamo bene: la Seconda guerra mondiale.

Il concetto stesso di guerra si è evoluto, grazie alle nuove tecnologie e alla dimensione globale dell’economia. Sono nate le guerre commerciali, le InfoWars e le grandi battaglie digitali della cyber war. Se fossimo ancora nell’epoca della Società delle Nazioni, gli scontri diplomatici avvenuti recentemente tra il Cremlino e le presidenze francese e italiana potrebbero essere interpretati come vere e proprie dichiarazioni formali di guerra. Oggi, però, il quadro giuridico è cambiato – per fortuna, anche se non di molto.

La domanda cui rispondere ora è: i Paesi europei sono in guerra con la Russia? Beh, non dovrebbero esserci dubbi. La risposta è . È affermativa ai sensi dello jus in bello attualmente in vigore, perché gli Stati europei, in questi tre anni, hanno aiutato l’Ucraina fornendole armi e denaro. E l’Ucraina è un Paese in guerra. In caso contrario, avrebbero dovuto firmare una dichiarazione congiunta di neutralità. A questi aiuti si sono poi aggiunti numerosi pacchetti di sanzioni economiche contro Mosca. La risposta europea, per smussare gli angoli, è sempre stata la stessa: Abbiamo consegnato aiuti all’Ucraina per difendersi da un’aggressione.

Vero. Ma, sempre ai sensi del diritto internazionale pubblico, dopo una prima reazione militare giuridicamente accettata da parte di Kyiv, il compito di intervenire spettava esclusivamente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, unico titolare legittimo della forza a livello internazionale. Di fronte all’impasse del Consiglio di Sicurezza, la responsabilità è tornata agli Stati sovrani attraverso lo jus in bello tradizionale. In altre parole, gli Stati o si dichiarano neutrali (Stati “terzi” con compiti di mediazione) oppure sono co-belligeranti. E quasi tutti gli Stati europei, di fatto, rientrano in questa seconda categoria.

La logica del progetto ReArm Europe (il riarmo degli Stati nazionali, non a caso sotto l’ombrello europeo) dovrebbe essere vista, secondo me, proprio in questa prospettiva. Non per muovere guerra alla Russia – siamo già in guerra, non classica, non di posizione, ma pur sempre un conflitto – bensì per cercare un nuovo e difficile equilibrio di potenza, senza USA e NATO, e applicare, in assenza di una mediazione credibile, l’unica logica possibile in questo contesto: la deterrenza armata, almeno nella logica attuale, meglio se nucleare.

Cosa accadrà? Chi può dirlo? Le guerre assumono forme inaspettate. Non c’è solo la guerra di campo, con le truppe schierate, le trincee e i bombardamenti. A volte basta attendere i risultati elettorali di una democrazia traballante o in crisi. L’urna, infatti, è una potente arma tattica e strategica.

Postilla. Non sono un “riarmista”, per carità. Sono stato obiettore di coscienza e non ho rinnegato il mio lontano passato. L’altro giorno, leggendo una Piccola Posta di Adriano Sofri dedicata a Gorizia, ho ritrovato il nome di Renato Fiorelli, antimilitarista e radicale goriziano. Un mio caro amico. Quando Marco Pannella, insieme ad altri, indossò la divisa croata nella trincea di Osijek nel 1992, Fiorelli, che faceva parte del gruppo, si rifiutò di fare lo stesso, preferendo quella dei barellieri. Ecco, dovesse mai essere necessario, seguirei il suo esempio. Ma non ho più l’età!

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