Sarà un caso che il giorno dell’Oscar al film italiano “La grande bellezza”, Pompei, patrimonio storico dell’umanità, continui a crollare mentre Renzi twitta “l’orgoglio italiano” e Franceschini telefoni a Sorrentino per i complimenti di rito. Sarebbe stato meglio avessero limitato l’inutile propaganda e messo mano a risorse e attività per invertire la rotta della decadenza. La progressiva perdita del nostro glorioso passato, sotto forma di cedimenti strutturali per incapacità politica e menefreghismo culturale, dà la misura dello smarrimento di un popolo immerso nel 70% circa del patrimonio artistico mondiale ma ormai privo degli strumenti critici per comprenderne importanza e significato.
Di questo parla “La grande bellezza”, film non capolavoro ma che dice la verità (ed è già merce assai rara) sulla situazione del Belpaese dandone tutto sommato un profilo di speranza. Sullo sfondo dei resti del più grande impero della storia classica dell’uomo (e forse non solo), quello romano appunto, l’odierna Roma borghese, dei volgari arricchimenti, danza scomposta la propria immoralità. Amministratori corrotti, carampane rifatte, preti miscredenti, finanzieri senza scrupoli e burocrati di ogni risma, il peggio dell’attuale antropologia italica, contrasta terribilmente coi tramonti augusti sulla Città Eterna. Mentre il gran ciambellano della dolce vita versione 2.0, un irresistibile Tony Servillo, dà voce fuori campo a ciò che resta della coscienza di gente gloriosa. E stride terribilmente anche il passaggio musicale dalla quiete di una bellezza esteriore che è anche purezza interiore, sottolineata dalle note della polifonia sacra, al ballo tribale della bruttezza fisica e della disarmonia esistenziale sulle note simil-house della Carrà.
La pellicola di Sorrentino, pur piaciona ed ammiccante, regala al mondo una visione finalmente equilibrata e condivisibile dell’Italia, ridandoci dignità laddove ne sputtana la lordura atavica; qualche snob con la puzza sotto il naso (e poco conscio della realtà del Paese) lo ha bocciato. Saranno gli stessi che hanno esultato coralmente davanti a quell’abominio paraculo de “La vita è bella” di Benigni riuscito a fare il toscanaccio tutto sogni e speranza trattando del male assoluto dell’Olocausto e dei campi di concentramento nazisti (non a caso le comunità ebraiche si erano sollevate indignate davanti alla benignata). Che serva ai nostri politici non per cinguettare frivolezze e amenità varie ma per guardarsi dentro guardandosi attorno e assumere finalmente atteggiamenti sobri e di testimonianza per il bene comune.