La gente, i mestieri, le tradizioni dei villaggi di Ayas

Un docuweb realizzato da 200 bobine di film Super8 girati fra il 1970 e il 1975

Ayas non esiste. Non esiste un villaggio con questo nome. Da tempo immemorabile, certamente almeno dal basso Medioevo, Ayas è il nome di una federazione di trentacinque villaggi, posti ai piedi del Monte Rosa, nell’alta valle dell’Evançon.

Ayas nacque da un ibridazione di genti: dal fondo della Valle d’Aosta salirono quelli che oggi chiamiamo franco-provenzali, formati da ondate successive di popoli: prima i Salassi (una popolazione celtica), poi i Romani, indi i Goti. Verso il 1200, dal Montservin (oggi noto come Colle del Teodulo, o più propriamente Colle di San Teodulo, è un passo che unisce Ayas a Zermatt tramite il Colle delle Cime Bianche) scesero i Walser: una popolazione germanica, che si insediò nella parte più alta di Ayas, ancor oggi detta Canton des Allemands. Quando la peste del 1630, quella di cui narra il Manzoni, produsse una grande moria nella bassa Valle e ad Ayas, i Walser scesero più in basso e si mischiarono ai franco-provenzali. Ne nacque una cultura meticcia e complessa, che è ben rappresentata dal rascard di Ayas: una casa polifunzionale, ottenuta sovrapponendo la Blockhaus walser, propria dei paesi tedeschi (un magazzino per gli attrezzi e/o un granaio-fienile), sopra la casa in pietra a due piani, tipica dei franco-provenzale. Si ha così sotto la stalla/residenza invernale, sopra la residenza estiva (il peyo): una ibridazione culturale molto interessante.

Ad Ayas, negli anni trenta, nacque una bimba, che, come tutti i bimbi dei quei villaggi imparò a camminare coi sabots (gli zoccoli di legno) e a lavorare sin da piccola, osservando gli adulti. Frequentò le scuole elementari ad Antagnod, il capoluogo di Ayas, e lì la sua viva intelligenza fu notata da Rosa Rivetti, la moglie di un ricco industriale tessile di Biella. Rosa la invitò a studiare a casa sua, a Biella, e Rita, questo il suo nome, conseguì l’abilitazione magistrale. Realizzò così il suo sogno: tornare ad Ayas per insegnare ai ragazzi e alle ragazze delle sue montagne. Grazie a lei Ayas aprì la scuola media.

Il destino volle che Rita incontrasse (ad Ayas) un ingegnere milanese, che si innamorasse di lui e lo sposasse. Lui, Francesco, si innamorò, non solo di Rita, ma anche della vita e della cultura di Ayas. Appassionato cineasta, la registrò in centinaia di bobine. Le sederiè, i lavori dei campi, la desarpa, la vita all’alpeggio in estate e al villaggio in inverno furono accuratamente documentate in più di tredici ore di filmato. Erano quelle le ultime manifestazioni della vita di un mondo autarchico, duro ma umano, che aveva retto le genti di montagna per secoli; un mondo che da lì a poco sarebbe svanito; inghiottito dal turismo. In quel mondo la vita scorreva, anno dopo anno, secolo dopo secolo, con un ritmo scandito dalle stagioni, dalla raccolta dei frutti della terra, dai pascoli e dai rituali. Sempre gli stessi.

Più di duecento bobine di film Super8, il formato amatoriale più comune all’epoca, per una durata complessiva di circa 13 ore; l’equivalente di sei-sette lungometraggi. Sessantacinque ore di registrazioni audio-ambientali. Questo è il complesso del materiale raccolto da Francesco e Rita in cinque anni di lavoro: tra il 1970 e il 1975. Mentre filmavano e registravano, penso non si siano mai soffermati a riflettere su come avrebbero potuto mostrare a qualcuno quell’oceano di immagini. E fu una fortuna, perché, se si fossero posti la domanda, avrebbero probabilmente desistito. Hanno invece continuato, per amore, come dice Rita, buttando il cuore oltre l’ostacolo e lasciando il problema dell’uso ai posteri. Sentivano e sapevano che il loro compito era quello di documentare: erano i testimoni, consapevoli e innamorati, di un mondo che stava lentamente svanendo. E che oggi non c’è più.

Quelle bobine non furono però mai montate in video organici, furono solo incollate in sequenza, così come erano state raccolte. Salvo alcune sporadiche proiezioni il materiale non fu utilizzato per decenni. Quando Francesco e Rita si accorsero del valore storico e antropologico che le loro bobine stavano acquisendo si posero il problema di cosa farne e come salvarle dal logorio del tempo, che iniziava a corrompere la fragile gelatina delle pellicole. Nel 1998, poco dopo l’uscita del video Ayas e la Scomparsa della Kraemerthal (https://www.youtube.com/watch?v=mCV2D_GQAqM) che Guido ed io avevamo realizzato, Francesco e Rita mi contattarono chiedendomi un consiglio per come pubblicare il loro lavoro. Proposi loro di realizzare una serie di DVD, a quell’epoca Internet era ancora in fasce. Ci pensarono su e poi mi dissero che non volevano che i loro video assumessero un aspetto commerciale, per rispetto alle persone che erano state riprese. E la cosa finì lì.

Passarono quasi altri vent’anni, e nel 2016 Rita, Francesco nel frattempo era mancato, mi propose nuovamente di farmi carico del loro lavoro. Mi ritrovai così nel ruolo di quei posteri e il problema di come presentare tutto quel materiale divenne il mio problema.
Coinvolsi Guido e, dopo aver visto e rivisto assieme tutto il filmato, ed esserne rimasti affascinati, abbiamo capito che l’unica possibilità era di scomporlo in piccole unità, della durata di cinque-sei minuti, organizzate in una rete semantica e in un sito web che permettessero allo spettatore di esplorarlo, seguendo il filo dei suoi interessi e della sua curiosità. Costruire, cioè, un insieme di video, interconnessi tra loro da una rete di relazioni: un documentario-rete. Qualcosa, per capirci, che sta a un documentario come una serie televisiva sta a un film, ma con la differenza che la sequenza dei video non è prefissata, ma scelta, interattivamente, dallo spettatore.

Dopo averla ideata, e in parte realizzata, scoprimmo che una tale struttura era già stata ideata e realizzata, sin da 2009, e che era chiamata docu-web. Oggi è insegnata nelle università e nelle scuole di cinematografia. Ma quando Francesco e Rita hanno iniziato a riprendere, nel 1970, cinquant’anni fa, essa non poteva certo essere neppure immaginata.
Per trasformare i filmati di Francesco in un docu-web occorreva innanzitutto scannerizzare, in Alta Definizione (HD), tredici ore di filmato e il costo era per noi proibitivo. Di nuovo fu il caso a far svanire la difficoltà: Carlo Bazan, titolare della Tele-Cinema di Volpago del Montello, incontrato cercando su Internet una soluzione, si offerse generosamente di scannerizzare tutto a puro prezzo di costo, con la sola condizione di lasciarglielo fare quando le sue macchine non avevano lavoro. In altre parole: senza impegno di data di consegna. E il Comune di Ayas si dichiarò disposto a pagare quanto richiesto. Un anno dopo circa 1300 Gbyte di video erano pronti.

Iniziò allora il lavoro di restauro digitale e scomposizione di tutti quei Giga in 125 brevi video. Pensammo di organizzarli in due grandi capitoli: le Stagioni, cioè i lavori e gli eventi che si svolgono nel corso dell’anno seguendo l’avvicendarsi delle stagioni, e le Lavorazioni, cioè le filiere produttive, come quella della segale che diviene pane, del legno che si trasforma in sabots, del latte che diviene burro, fontina, ricotta … I video erano però muti. Occorreva associarvi un commento che li spiegasse. E solo Rita poteva fare quel commento. Iniziammo a mostrarle, uno alla volta, i singoli video, chiedendole di commentarli. Scoprimmo presto che Rita era un’ottima affabulatrice. È una sua arte innata, probabilmente affinata nelle lunghe sederiè invernali.

A volte, seguendo il suo pensiero, Rita narrava cose che i video non mostravano: parlava del ruolo della donna, dei vestiti e dei giochi dei bambini, della scuola, di personaggi …
Quei ricordi erano affascinanti e capimmo che andavano conservati, erano un documento, tanto quanto i video. Sospendemmo allora le semplici registrazioni audio e ripartimmo dall’inizio, filmandola mentre commentava e lasciandola libera di divagare, quando le capitava.

Quelle divagazioni, per lo più ricordi e narrazioni, vennero così a costituire altro materiale video, che si aggiunse a quello di Francesco. Vi compariva però, sempre e solo, il volto di Rita. Ci accorgemmo presto che alcune, tra le tante sequenze di Francesco si associavano bene al racconto, e potevano essere ri-utilizzate fuori dal loro contesto originario, senza generare tedio nello spettatore, perché i ricordi di Rita davano di esse una nuova lettura.
Ma volevamo di più, volevamo associare il più possibile immagini alle parole, immagini che Francesco non aveva. Abbiamo allora pensato di ricorrere a foto. Innanzitutto chiedemmo a Rita di cercare tra le foto di famiglia..

Poi ci ricordammo delle foto di Gianfranco Bini, un fotografo che ha profondamente amato e documentato Ayas negli anni sessanta-settanta. Ci informammo e Giuseppe Simonetti, suo erede, ci mise subito, generosamente, a disposizione tutto l’ archivio.
Al nostro gusto attuale le immagini di Bini possono sembrare un po’ costruite, ma sono quanto di meglio sia possibile trovare sulla vita ayassina di un tempo, e, se pur realizzate quando già una parte di quanto fotografato non era più attuale, la ricostruzione fu fatta sulla base di testimoni più che attendibili, perché per loro era passato prossimo, un passato che avevano vissuto di persona.

Grazie ad una mostra ad Ayas, scoprimmo poi le foto di Jean lo Maitre, recuperate dalla nipote Martina Domaine. Si è andato così formando un terzo capitolo del docu-web, che abbiamo chiamato Pagine di Vita. Dare nome alle cose è, come racconta la Bibbia, una prerogativa specificatamente umana. E le cose della montagna prendono nome in patois, non in italiano. Per questo Rita ha posto molta attenzione a ricordare i nomi in patois. Salvare i nomi è l’unico modo di salvare la memoria dal logorio del tempo.

Dopo quattro anni di lavoro i primi due capitoli (Le Stagioni e Le Lavorazioni) sono pronti e disponibili in rete per tutti coloro che amano la montagna. Il terzo e ultimo capitolo (Pagine di Vita), che raccoglie i ricordi di Rita, seguirà entro la primavera del 2023. Se volete esplorare anche voi il mondo di Rita, la vita di Ayas in un tempo che fu, basta digitalizzare untempo-inAyas.it (filmati di Francesco Biàsia, ricordi di Rita Visendaz, ideazione di Rodolfo Soncini Sessa, editing di Guido Sagramoso). E la magia del web vi ci porterà in una frazione di secondo.

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