Un compagno di vita, con cui ha condiviso un rapporto “esclusivo, profondo e direi quasi morboso”, come lo definisce lei stessa. Lei è Lucia Biondi, restauratrice sapiente ed esperta. Lui è Guido Di Pietro, poi fra’ Giovanni da Fiesole, infine Beato Angelico, un domenicano che predicava dipingendo opere sante e sublimi, nella prima metà del 400. E’ l’artista che presentò al mondo il Rinascimento in pittura, inserendone le prime potenti pennellate nella tradizione tardo gotica, di cui era altissimo rappresentante. E allora ecco apparire luce, colore, prospettiva, nei dorati che pure resistono, non solo come traccia del passato ma come soffio e presenza divina.
Lucia Biondi e Beato Angelico hanno iniziato la loro convivenza nel 2018 quando il ‘Giudizio Universale’ fece pochi passi, dal Museo di San Marco allo studio della restauratrice, per essere rimesso in sesto. E’ servito un anno per ‘curare’ quella strana tavola dalla forma insolita. Fu la prima conoscenza approfondita con cui Biondi cominciò a coltivare la sua “passione straordinaria” per il frate pittore.
Nel 2020 arrivò la ‘Pala di Bosco ai Frati’, dipinta dall’ Angelico solo dopo il suo rientro a Firenze da Roma, nel 1450. Datazione stavolta abbastanza sicura grazie al san Bernardino raffigurato nella predella, che fu canonizzato solo in quell’anno. Lucia Biondi ha passato con questa seconda opera tutto il lockdown della pandemia e, visto che il suo studio di restauro è contiguo all’appartamento dove vive, non deve essere stato male rinchiudersi in casa con Beato Angelico. Forse anche per questo, “il mio cuore batte per la Pala di Bosco ai Frati” confessa, ma aggiunge motivazioni tecniche più importanti: “Rimasi folgorata dalla luce, come emanasse dall’interno della pittura, dopo averla penetrata in tutti gli strati. E in questo dipinto tardo, la sensibilità pittorica che fa risplendere tutta la tavolozza di colori dell’artista, raggiunge il suo apice”.
Ed eccoci all’ultimo incontro, nel 2023, con l’opera più imponente, ‘La Deposizione dalla Croce’, del 1432, più conosciuta come ‘Deposizione di Santa Trinita’ perché si tratta di un’enorme Pala d’Altare che Palla Strozzi, potente politico e colto magnate nella Firenze del 400, grande antagonista dei Medici, commissionò prima a Lorenzo Monaco, che morì nel 1425, e poi a Beato Angelico, per destinarla alla sagrestia della Chiesa di Famiglia, Santa Trinita appunto. Questa volta le dimensioni importanti dell’opera (176×185 cm) hanno reso più complessa la sua sistemazione nello studio di restauro, insufficiente per un alloggio funzionale, tanto che la Biondi stavolta ha ospitato il ‘suo’ Beato Angelico nel grande ingresso fra lo stesso studio e l’abitazione, dotandolo di tutte le attrezzatture e i sistemi di sicurezza necessari. Una convivenza ancora più vicina stavolta e più prolungata nel tempo, due anni di lavoro costante esclusivamente dedicati al frate domenicano. “Un salto più in alto” lo ha definito lei stessa che ha deciso di condurre da sola l’intervento sulla Pala, “contando sul sostegno del profondo legame già stabilito col grande pittore”. Un atto di devozione, come ogni opera del Maestro, che dipingeva solo soggetti e figure sacre ed era il suo modo diverso e sublime di pregare, col pennello al posto del rosario. Si racconta anche che lavorasse inginocchiato. E Vasari scrive che, prima di cominciare, piangesse.
Una produzione sterminata quella del frate pittore, a partire dalle 13 Annunciazioni, gli oltre 50 affreschi nel solo Museo di San Marco e le opere seminate nei musei di mezzo Mondo. Con una qualità sempre altissima. Anche Beato Angelico doveva lavorare molto da solo: “E’ inspiegabile quante cose ha fatto con una pittura così accurata. Eppure aveva una grande bottega, ma la mano degli aiuti difficilmente si vede, mai cadute di tono e di stile. Sempre ad altissimo livello”, spiega la Biondi che, negli ultimi due anni, non solo ha convissuto e dialogato con il Beato Angelico, ma ha curato e accudito i tanti attori della Deposizione messa in scena dall’artista. Aboliti gli scomparti separati, tipici delle Pale d’altare medievali, i soggetti si muovono in uno spazio libero, con una scelta rivoluzionaria che dà aria e continuità narrativa ai 28 personaggi intorno al grande Cristo, tutti protagonisti di una solenne rappresentazione teatrale. La restauratrice ha amato soprattutto il gruppo delle donne perché “manifestano il dolore- dice- anche se composto, trattenuto secondo lo stile del Frate, ma è partecipato. Mentre gli uomini, nella parte destra dove l’Angelico concede il maggior tributo a Masaccio, meditano sulla redenzione dell’anima”. Niente sentimenti , qui si pensa e basta.
E nel gruppo delle Donne, fra cui la Vergine inginocchiata con le mani giunte, le tre Marie e la Maddalena, “mi fa impazzire quella di spalle, all’estremità sinistra, vestita di un azzurro freddo, violaceo: con la mano trattiene un lembo del mantello per non farlo andare a terra, proprio come faremmo noi. Non si sa chi sia, emana mistero, e con la pulitura si è evidenziato quel piccolo scialle chiaro drappeggiato sulle spalle”. Un altro velo leggerissimo, ancora più impercettibile, è quello della Maddalena che, in ginocchio, sostiene i piedi di Gesù accennandone un bacio. Quel velo non si vedeva, era rimasto ‘ferito’ dalla “lunga fenditura che ha colpito la Pala in diagonale, dall’alto verso il basso, per un difetto del legno che ha fatto aprire il colore, coinvolgendo le dita dei piedi di Cristo, il viso e le mani della stessa Maddalena e nascondendo quel piccolo scialle che pare fatto di aria.
E’ stata la parte più difficile del restauro, come tutta la pulitura, spiega Lucia Biondi: “Mi sono scoraggiata quando sulla superficie del dipinto ho constatato che non c’era una semplice vernice ingiallita e appesantita ma uno strato di colle alterate dovute alla manomissione dei due precedenti interventi, in particolare quello del 1888. Ma la pulitura ha dato un grande risultato, restituendo luminosità e omogeneità alle campiture pittoriche”. Non solo, ha rivelato “la preziosità del pigmento, a base di lapis, in particolare in tutti gli azzurri. E l’azzurro ha usato il pittore anche per accennare i lividi sull’incarnato del Cristo”, che senza una pulitura accurata non avremmo mai potuto apprezzare. E poi lo sfondo, quel paesaggio che si apre con la Gerusalemme turrita che tanto assomiglia alle città toscane care all’artista. E ancora, tutte le infinite sfumature riemerse nel verde del prato, con le margheritine bianche che brillano dopo la pulitura, le stuccature e i mirabili ritocchi.
Sono state restaurate anche le cuspidi della Pala, dipinte da Lorenzo Monaco, con cui Beato Angelico ha dialogato sempre, tenendole presenti nel suo lavoro perché tutta l’opera potesse vivere in armonia pittorica. Solo la predella, sempre di Lorenzo Monaco, non è entrata nello studio perché già restaurata nel 2006 . Dai pilastri laterali, pur ben conservati, Biondi ha eliminato stucchi e dorature messe nell’800, esaltando le 12 figure di Santi a figura intera: “Una vera rivelazione, una galleria di bellissime fisionomie con una intensità emotiva e spirituale tipica dell’Angelico”, ha commentato Angelo Tartuferi, ex direttore del Museo di San Marco e fra i curatori della straordinaria mostra ‘Angelico’, che si aprirà a settembre prossimo a Palazzo Strozzi. Una preziosa e ricchissima esposizione dei lavori dell’artista, che arriveranno a Firenze da tutto il mondo. Ovviamente sarà coinvolto anche il Museo di San Marco, che ospiterà le sezioni dedicate agli inizi e alle miniature, oltre ad offrire il percorso tra i celebri affreschi. Un grande evento dopo oltre settant’anni dalla prima monografica che offrì sempre Firenze nel 1955.
Intanto eccola la ‘Deposizione di Santa Trinita’: dopo due anni di amorevoli cure e accudimenti è tornata a risplendere al Museo San Marco nella Sala dedicata al Beato Angelico: “Mi ha lasciato un grande vuoto – confida Lucia Biondi, quasi commossa – Spero che i visitatori possano provare le mie stesse emozioni, le sensazioni che ho provato in questi due anni volati via”.
Non solo la restauratrice, del Beato Angelico si sono innamorati anche i ‘Friends of Florence’ che hanno sostenuto gli interventi su molte delle sue opere, compresa la Deposizione, e il nuovo allestimento della Sala che le contiene al Museo di San Marco. E’ la benemerita Simonetta Brandolini d’Adda a dialogare da molti anni fra le sponde dell’Atlantico per ‘conquistare’ alla causa del frate pittore, e non solo, generosi ed illuminati mecenati: gli ultimi sono stati Peter Fogliano e Hal Ester. Ma non ha faticato molto a ‘conquistarli’, basta guardarlo Beato Angelico, per restarne abbagliati: “Così appassionati di Firenze che vengono tutti gli anni e ci chiedono di cosa c’è bisogno per sostenere tanta bellezza”, racconta la Brandolini d’Adda.
La pittura di questo grande artista che annuncia il Rinascimento restituisce “un concentrato di meraviglie”, scrisse Giorgio Bonsanti alla fine degli anni 90. E lo stesso Vasari definisce la Deposizione un’opera in cui il pittore “mise tanta diligenza che si può annoverare fra le migliori cose che mai facesse”.
La Pala di Santa Trinita resterà al Museo San Marco solo qualche mese, per poi ‘illuminare’ la mostra di Palazzo Strozzi, fra le tavole di maggior pregio. E sì’, Beato Angelico ‘illumina’ i suoi capolavori e chi li guarda. Non a caso lo storico dell’arte Luciano Bellosi inserisce il frate domenicano fra i precursori di quella ‘Pittura di luce’ che avrà in Piero della Francesca il suo apice e ne dà la più suggestiva delle spiegazioni: “I colori si imperlano di luce e la prospettiva diventa uno spettacolo per gli occhi. La pittura si fa chiara, come il cielo quando è sereno, come l’aria quando è Primavera; e perfino le ombre diventano nitide e trasparenti”.