Elena Montecchi
L’esercizio concreto della democrazia (i dibattiti, i confronti anche duri, le elezioni “in carne ed ossa”…) ci libera dagli effetti pericolosi dell’ammaliante uso dei sondaggi e da quelli, tra il soporifero e lo spettacolare, della “repubblica virtuale dei dibattiti televisivi”.
La partecipazione politica, la mobilitazione convinta, il prendere sul serio il difficile gioco della democrazia fanno ancora la differenza. E che differenza. A cominciare da quello che nessuno si aspettava in questa entità e forma: la sconfitta di Berlusconi e l’arretramento massiccio del centrodestra nel paese reale dei campanili e delle piazze.
Ma c’è materia di riflessione per tutti. Il risultato elettorale è frutto di una serie di fattori tra loro diversi, anche contraddittori. Per esempio credo che il ruolo di Napolitano, i suoi richiami al valore dell’Unità del Paese, alla necessaria sobrietà dei politici, al superamento di una contrapposizione sterile tra le forze politiche, al rispetto della logica delle istituzioni, hanno ricordato a tutti che “un’altra politica è possibile”, dimostrando, tra l’altro, che la Presidenza della Repubblica come immagine della sintesi del paese, custode di principi accumulati nei decenni e a cui non si vuole rinunciare, ha un fortissimo valore simbolico.
Poi altre lezioni evidenti.
Prima riflessione, a futura memoria dei futuri candidati e di chi li candida: la leadership conta e fa la differenza. Pisapia, De Magistris, Zedda hanno attirato, per la prima volta da molto tempo, voti dell’altra parte politica, fornendo un primo contributo allo scioglimento di quelli che apparivano blocchi impenetrabili. Ciò grazie a un elemento fondamentale: la competenza. Contro l’uso strumentale delle paure occorre dimostrare di avere i problemi sulla punta delle dita, di conoscere gli interessi in campo e di saper proporre sani compromessi, costruire coalizioni e alleanze nuove.
Seconda riflessione: Berlusconi raccoglie quello che ha seminato tra le sue stesse fila. L’incapacità, di garantire un leale dibattito interno al PdL, la cacciata di Fini e la rottura con Casini, le difficoltà a costruire una vera alleanza con la Lega, il far prevalere la logica del “despota” e non quella del “federatore” del “costruttore di alleanze” si è diffusa in tutto il territorio nazionale: a Gallarate, a Varese e ha messo gli uni contro gli altri alleati e amici e ha fatto fuggire pezzi di coalizione.
Terza riflessione a uso del Pd e soprattutto di quello emiliano. Per l’Emilia basta scorrere le analisi ancora fresche dell’Istituto Cattaneo di Bologna, per vedere emergere una fortissima sofferenza: calo massiccio rispetto alle precedenti comunali e anche rispetto alle regionali; grande risultato dei Grillini a Bologna, dove voti Pd vanno alla Lega e non viceversa come a Torino e Milano. Stanchezza dei gruppi dirigenti, conformismo e difficoltà a restituire una identità a una regione che vive una profonda trasformazione: sono questi alcuni elementi di una fase assai difficile che nei prossimi anni vedrà cambi dei sindaci in molti comuni capoluogo oltrechè del vertice della Regione.
In Italia il Pd si frantuma a Napoli, dove perde in tutte le direzioni ma diventa decisivo a Milano, nel segno di Pisapia, a testimonianza di una non automatica trasformazione di questo voto in un voto “politico”.
E a Reggio Emilia? Le elezioni si sono tenute con liste di coalizione di centrosinistra, per cui non è possibile monitorare il voto Pd in quanto tale, che ne rappresenta comunque il perno. In un caso, Collagna, insofferenze e tensioni interne al Pd si sono espresse in modo negativo: dovrà essere occasione di riflessione. Gli ottimi risultati di S. Martino, Castellarano (dove, in particolare, non vi era nulla di scontato) e di Casina, dove la coalizione è riuscita ad arrivare all’UDC, testimoniano di una vitalità e capacità di interpretare situazioni anche nuove. Ma il test è troppo limitato per valutazioni generali.
Infine, il dopo. Berlusconi continua a pensarsi come un despota che però non ha più le condizioni per esserlo: non può più invocare il voto popolare che lo legittima sempre e comunque e c’è un limite anche alla sua capacità di sfruttare le risorse trasformiste del Parlamento italiano, uno degli storici vizi del nostro paese (questa volta gli costerebbe troppo, in tutti i sensi….).
Di nuovo, il Colle indica il sentiero: verifica politica a fine giugno. Staremo a vedere.