La concretezza di Berlusconi contro l’astrattezza della sinistra

Firenze – In tanti si cimenteranno a commentare la vita privata e politica di Silvio Berlusconi. La morte richiede sempre, da parte di chi resta in vita, un bilancio generale.

Nel caso di Berlusconi questo bilancio appare oltremodo difficile. Era, ed è stato con diverse sfumature e accentuazioni sempre cangianti, un uomo non comune. Un grande imprenditore, un uomo di grande carisma e un politico di successo. Ma è stato anche un uomo che ha dato colpi duri alla morale pubblica andando spesso oltre i confini delle regole ordinarie. Delineando una sua propria morale privata, fondata su valori di relazione fra le persone del suo gruppo più che di rispetto della comunità, in cui molti italiani tuttavia si sono riconosciuti. Questa è stata la sua forza di uomo e di politico: mettere la concretezza dei rapporti reali con l’altro, fisicamente presente nella  vita, al posto dell’astrattezza delle relazioni genericamente umane. Berlusconi non ha mai speso parole per gli immigrati, ma ha dimostrato vicinanza ad alcuni immigrati. Non ha lottato per i lavoratori ma ha difeso i suoi dipendenti.

Questa concretezza è stata apprezzata da tanta parte del popolo italiano. Che è riuscito ad accettare anche alcune sue frequenti sbandate di tipo morale, che vanno dalla evasione fiscale allo sfruttamento delle donne, in quanto vissute e rielaborate all’interno di un quadro generale di comportamento considerato da molti da “buon uomo”.

In politica Berlusconi ha utilizzato questa concretezza per combattere l’astrattismo e il moralismo filosofico di una sinistra che appariva oramai vincente, e senza avversari credibili, dopo le terribili vicende giudiziarie di Tangentopoli.Questa sinistra si presentava allora al paese in questo modo: noi che ci siamo salvati dalle nefandezze della prima repubblica vi offriamo una nuova Italia fondata sulla morale e sull’onestà che finalmente faccia pulito, dopo aver tagliato i rami alti, del “marcio” che si era accumulato negli anni.

Una parte degli italiani si è sentita rafforzata da questo messaggio. Ovviamente tutti i sedicenti onesti e quanti, per collocazione sociale, non si erano mai potuti cimentare con le tentazioni della moderna società del business. Ma tanti altri italiani non si ritrovavano in un messaggio moralistico. Non perché dediti alla illegalità e al comportamento immorale, ma perché chi più e chi meno, sentivano di avere un rapporto col mondo degli affari e con il mondo della morale privata un po’ meno assolutistico. C’era chi evadeva un po’ di tasse, c’era chi intrallazzava un po’ negli affari, c’era chi faceva il lavoro nero, c’era chi si assentava un po’ dal lavoro, c’era chi praticava l’adulterio, chi andava con le prostitute e c’era chi poi, pur non vivendo nel momento alcuna di queste condizioni, non si sentiva lontano da questi comportamenti ed aveva parenti, amici e conoscenti che li avevano. E non si sentiva minimamente di colpevolizzarli.  Insomma, c’era e c’è una Italia che non amava, e non ama tutt’oggi, il messaggio moralistico in maniera assoluta e che pensa che l’onestà sia un concetto e una realtà che non è fatta di bianchi e neri ma di tanti e diversi grigi.

Berlusconi ha interpretato questa Italia. Gli ha dato rassicurazione e dignità e ha costruito su questi presupposti di concretezza la sua fortuna politica. La sinistra è astratta, vi parla di uomini e donne che non esistono. O che partecipano a salotti chic. Io parlo di voi. Vi rappresento e vi amo così come siete.Poi oltre al Berlusconi “sociologo” c’è il Berlusconi politico. La sua “rivoluzione liberale” è sempre stata un’araba fenice. Un qualcosa di giustapposto a cui anche lui personalmente non ha mai creduto.

Il liberalismo di Berlusconi è stato, quando c’è stato, un anarchismo del sociale. Il tentativo di rottura di lacci e lacciuoli burocratici, un rafforzamento culturale del mondo antitasse e un assecondamento populistico della vitalità sociale contro la burocrazia dello Stato. Questo suo approccio ha portato qualche piccola ventata di liberalismo, specialmente allorquando ha coinciso con l’interesse ad operare delle sue aziende, ma non ha proposto alcuna base di riforma liberale del sistema economico italiano.

Nell’ultima parte della sua avventura politica, quando oramai le micce si erano un po’ bagnate, Berlusconi e Forza Italia hanno cominciato a rappresentare nell’alleanza di centrodestra un punto di riferimento più liberale e più europeo. Di fronte al populismo della Lega e di Fratelli d’Italia, Forza Italia ha trovato spazio in un atteggiamento più moderato e liberale. E questo ha reso Berlusconi più statista e più attento agli equilibri democratici del paese nel contesto istituzionale ed economico europeo.

Di fronte ad una sinistra che si è “persa” nella ricerca di una nuova identità forte e ad una destra che ha fatto della propria identità forte la base per andare al Governo del paese, Berlusconi ha cercato di giocare un ruolo nuovo. Ma , ahinoi, non aveva più né la forza per sostenere lo scontro a sinistra e a destra né forse la statura politica e culturale per fare nuovi, avanzati, rilanci. Eppure Forza Italia, la sua creatura, proprio nel momento in cui perde il capo carismatico emerge politicamente come un “contenitore” importante, anche se non esclusivo, di una cultura riformista, liberale e fondamentalmente europeista. Chissà se riuscirà ad andare oltre al suo “creatore”, al suo “padre padrone”. E’ difficile dirlo in questi momenti. Ma è certo che questo sarebbe il lascito più importante di Berlusconi al paese. Un lascito in parte voluto, in parte non intenzionale.  Come accade spesso per i lasciti dei grandi uomini. E Berlusconi lo è stato.

In foto Silvio Berlusconi

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