La Cina non è più così vicina: fuga dell’imprenditoria europea dall’estremo Oriente

Impietoso report della Camera di commercio Ue: le imprese europee scappano a gambe levate dal regno di Xi Jinping (attenzione non si tratta di scelte etiche, sappiamo che in Cina i diritti lavorativi sono inesistenti ma proprio non si fanno affari!). Negli ultimi mesi quasi il 20% ha fatto questa scelta: fuga dall’estremo Oriente, dall’Oriente estremo
Cin cin: specchio delle loro brame, dicci, chi è il più tirannico del reame?

La tendenza a diversificare, a trovare altri lidi oltre la Cina c’era, anche a causa della pandemìa, ma adesso è la chiave del prossimo futuro. Non lascia scampo l’indagine annuale della Camera di commercio dell’Unione europea in Cina, realizzata in collaborazione con Roland Berger: l’European Business in China Business Confidence Survey 2023 (BCS) mostra che c’è stato un significativo deterioramento del sentiment delle imprese.

A partire dalla tendenza dei manager delle società straniere a ricollocarsi altrove, in Asia o nel mondo, seguendo le decisioni aziendali sempre più orientate a creare nuovi quartier generali, in altre aree europee, con Singapore in testa, nonostante i limiti ei costi della città- Stato. Di fronte a rischi crescenti ea un ambiente operativo più volatile, le aziende europee hanno iniziato a rivedere le loro strategie operative e di investimento e a garantire che le loro catene di approvvigionamento siano quelle giuste per le condizioni più incerte.

Con questa premessa il report della Camera rivela che il 64% degli intervistati ha ammesso che fare affari in Cina è diventato più difficile nell’ultimo anno (il dato più alto mai registrato), mentre il 30% degli intervistati ha riportato diminuzioni dei ricavi anno su anno, un aumento di 20 punti percentuali, anche questo il più alto mai registrato.

L’11% ha spostato gli investimenti esistenti fuori dalla Cina e l’8% ha preso la decisione di spostare altrove gli investimenti futuri precedentemente pianificati per la Cina. Uno su dieci si riferisce di aver già spostato, o prevede di spostare, la propria sede centrale in Asia o la sede centrale delle unità aziendali fuori dalla Cina continentale. C’è stata una riduzione di 13 punti percentuali su base annua nel numero di intervistati che potrebbero la Cina una delle prime tre destinazioni per investimenti futuri.

Il 75% ha rivisto le proprie strategie di catena di approvvigionamento negli ultimi due anni, con il 24% che ha intenzione di spostare la supply chain e il 12% che ne ha già spostato parti fuori dal Paese. Il disaccoppiamento delle operazioni della sede centrale e della Cina è aumentato soprattutto per gestire il rischio, con quasi tre quarti degli intervistati che dispone di un’infrastruttura IT e di archiviazione dei dati localizzata. […]

La riduzione dei cittadini stranieri sta comportando un ridotto trasferimento di know-how e buone prassi, difficoltà di comunicazione, piani di investimento diversi e persino la chiusura delle operazioni in Cina. […]

Estratto dell’articolo di Rita Fatiguso per il “Sole 24 Ore”

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