E adesso che facciamo? Una volta tanto che il Vangelo è entrato in chiesa, nel caso specifico si è incarnato seppur formalmente nei nuovi arredi liturgici, l’architetto Maccarini e i suoi irromperanno nottetempo nella cattedrale silenziosa e a picconate smantelleranno i simboli vivi dell’ammodernamento al grido di “Deus non vult”? L’immagine vivace è un paradosso così come della particolare figura retorica era piuttosto denso il noto libello del combattivo e nostalgico architetto reggiano. Sulla cui polemica è però caduta, pietra tombale e miliare (in senso anche questo paradossalmente positivo) il giudizio di Papa Ratzinger che ha bollato la conclusione dei restauri con un “accresciuto decoro”.
Sì perché ricordiamolo, come ha fatto ripetutamente il vescovo Adriano Caprioli, quando arrivò a Reggio la Cattedrale sembrava l’anticamera della selva oscura più che una splendente Chiesa Madre. Buia, decadente e, diciamolo pure, un po’ deprimente. Come nel gusto ottocentesco, quando la verità rivelata e sedicentemente intangibile della religione stava subendo duri scossoni dialettici sotto i colpi della logica positivistica e illuministica. E come tale si ritraeva in se stessa, arroccandosi su forme retoriche e in posizioni storicamente datate. Allontanandosi dai fedeli che anelavano spiritualità sì ma anche libertà di ricerca. Ecco, il Duomo di Reggio era fermo più o meno lì. Quando varcavi le soglie del Tempio, temevi il giudizio più che sperare nella salvezza. La parabola di Caprioli col motto iniziale “Uscire dal Tempio”, cioè portate la Parola tra la gente, ha tracciato un’ellisse facendo rientrare la semina sotto forma dei simboli del rito.
Piaccia o non piaccia infatti le scelte seguono le strade dell’umiltà estetica e del concetto di una comunità dei credenti orizzontale non più verticale, circolare non più piramidale; basti per tutti il nuovo altare, due blocchi di marmo “scartati”, semplici e senza fronzoli, resi belli dalla fede di chi è alla ricerca e non decorati dalla certezza di chi impone. Perché, in ultima analisi, tutto lo scontro di questi giorni si risolve in una opposta visione teologica delle parti; coloro che vorrebbero “cattolici adulti” il cui anelito all’assoluto e alla verità accetti le sfide della modernità, indipendentemente dai segni esibiti e chi invece ne ha evidentemente paura. E preferisce circondarsi, tra le quattro mura di una socchiusa chiesa orante, di volti di santi estasiati e ghigni di demoni ammonenti. Ma anche la tradizione va avanti. E poi, sia detto senza offesa, cari presunti “lefebvriani” per usare un cortese invito ecclesiastico, andate a farvi benedire