Rilancio Kme, Pinassi: “Comunità locale per l’energia e centro di ricerca”

Fornaci di Barga – Un impianto competitivo dotato di una autonoma centrale di energia elettrica, una produzione di alta qualità riconosciuta sui mercati internazionali e un centro di ricerca che sviluppa innovazione in collaborazione con la Scuola Sant’Anna di Pisa.

Quello che fino a due anni fa veniva considerato un pachiderma della vecchia metallurgia destinato alla chiusura, il principale sito produttivo italiano della Kme (Intek Group) colosso internazionale nel comparto delle leghe di rame,  si sta trasformando in uno dei più moderni insediamenti industriali d’Italia.

In fase di approvazione da parte della Regione Toscana c’è un piano da 70 milioni di euro che prevede la realizzazione di una centrale per l’autoproduzione di energia utilizzando gli scarti di cartiera, il pulper, che ridurrà i costi di uno dei settori industriali più energivori e nello stesso tempo chiuderà la filiera della carta di un distretto che conta 12 comuni, 120 stabilimenti e l’80% della produzione nazionale di carta tissue.

Sarà dunque un esempio virtuoso di economia circolare. Sul piano dell’occupazione, il piano prevede l’assunzione di 135 persone, parte delle quali per l’Academy, polo accademico di livello europeo sull’economia circolare con il Sant’Anna.

A guidare il risanamento e il rilancio è Claudio Pinassi, 57 anni, ingegnere nucleare di origini toscane formatosi a Pisa, chiamato a ricoprire il ruolo di Amministratore Delegato di KME Italy SpA nel 2016 dopo aver ricoperto il ruolo di CEO della Eredi Gnutti Metalli SpA, società produttrice di barre in ottone e laminati in rame. Per Pinassi si è trattato di un ritorno: in KME ha cominciato la sua carriera come capo reparto e, in seguito, come project manager e responsabile della pianificazione e controllo della produzione.

In attesa della conclusione del processo autorizzativo da parte della Regione, fra i suoi compiti più difficili c’è anche quello di convincere le comunità locali dell’impatto in termini di emissioni del nuovo impianto di gassificazione generatore di energia elettrica che incontra l’opposizione di comitati e formazioni politiche locali.

Ingegner Pinassi, com’è andato il 2018 in termini di fatturato, utile e occupazione, collocazione di mercato estero e interno? 

Siamo molto soddisfatti perché nel 2018 abbiamo rispettato rigorosamente il piano di rilancio industriale progettato e messo in atto dal 2016. Questo stabilimento era destinato alla chiusura o alla riconversione per mantenere l’occupazione. In una decina d’anni l’azionista ha investito quasi 200 milioni di euro per non perdere occupazione. E’ stato fatto un piano industriale di salvataggio, recupero e rilancio con un accordo sindacale innovativo, indispensabile perché quando si ha a che fare con 278 esuberi su 600 dipendenti in genere l’unica strada sono licenziamenti forzosi.

Che tipo di accordo? 

Abbiamo ideato una modalità molto innovativa di solidarietà difensiva. Anziché lavorare a rotazione, abbiamo messo i dipendenti a disposizione di tutte le attività non profit del territorio, laddove si poteva dare mano d’opera, dopo aver concluso precisi accordi. Nella produzione  abbiamo dismesso i grandi forni fusori a gas per passare a quelli elettrici; siamo passati da un flusso di cassa negativo per oltre otto milioni di euro nel 2016, ad uno positivo di quasi 7 milioni in soli due anni.  L’azienda è ritornata in equilibrio come progettato. Quest’anno arriva a regime e probabilmente azzererà gli esuberi, che alla fine 2018 erano già ridotti da 278 a 58.

Quali sono le attese per il 2019 anche alla luce del piano di rilancio da 70 milioni?

Abbiamo sfruttato un mercato favorevole  e  il 2019 al momento si prospetta buono. Ci siamo riposizionati su prodotti a maggiore valore aggiunto e di maggiore complessità, dunque esposti a  minore concorrenza da parte dei paesi a basso costo di manodopera. L’altissima qualità ci ha premiato.

Con quali mosse strategiche?

Abbiamo diversificato molto nei vari settori del mercato di riferimento, con una presenza di assoluta leadership. Certo ho una certa perplessità sull’automotive, che è molto promettente grazie al boom delle automobili ibride e elettriche che utilizzano la nostra produzione di contatterie, trasformatori, stazioni di ricarica; la mia preoccupazione nasce  tuttavia nel breve termine, perché il 2019 è  l’anno in  cui le industrie cercheranno di smaltire le vetture diesel e quindi ci sarà una sovrapproduzione di auto che verranno poi probabilmente svendute. La conseguenza saranno vendite impulsive perché i grandi produttori stanno producendo a più non posso macchine diesel per vuotare i magazzini dei relativi componenti. Confidiamo comunque che la diversificazione di mercato ci  abbia messo almeno parzialmente al riparo da questa tendenza. 

Quanto influirà sui risultati il piano di rilancio da 70 milioni? 

Sul 2019 il piano da 70 milioni non  influisce. Nel piano di rilancio del 2016 era previsto il cambiamento delle tecnologie fusorie, ma non il resto. Anche il recupero occupazionale fa ancora parte dell’evoluzione ordinaria del rilancio dell’azienda, perché nel 2019 non avremo ancora l’autorizzazione al nuovo impianto che è prevista entro 180 giorni dal 15 gennaio  e, con le possibili sospensioni e integrazioni,  le procedure finiranno a fine 2019. Dunque se tutto andrà bene il piano entrerà in azione nel 2020. Esso prevede l’incremento di occupazione e il forte aumento di competitività dell’azienda:  135 nuovi posti di lavoro, con la produzione metallurgica portata a circa 85mila tonnellate l’anno e l’avvio della centrale di autoproduzione:  90 persone per la produzione metallurgica, 35 per la centrale di autoproduzione energetica  e 10 per l’Academy. Abbiamo concluso un accordo con il Sant’Anna, per fare dell’ex centro di ricerca un polo accademico sull’economia circolare. Vogliamo riportarlo cioè a quello che era negli anni 90. Qui sono stati sviluppati superconduttori per il Cern di Ginevra, le  cavità risonanti e molti altri prodotti estremamente innovativi. Era un luogo di grande cultura scientifica e tecnologica e tornerà ad esserlo. 

Quali le ricadute del piano sul territorio? Come convincere i cittadini della bontà della realizzazione dell’impianto di gassificazione? 

Siamo stati finora silenziosi sugli aspetti ambientali effettivi di questo piano per rispetto dell’istituzione che ci deve dare l’autorizzazione.  Quando presenteremo dati sulle emissioni sarà chiaro che queste risulteranno sensibilmente inferiori a quelle del passato. Però bisogna affrontare questi temi in modo intellettualmente onesto. Faccio un esempio. Inquina più una automobile euro 0 o euro 6?  Inquina di più, ovviamente, l’euro 0 ma se l’auto euro zero sta sempre ferma in garage inquina sicuramente di meno. Voglio dire che bisogna stare attenti quando si fanno paragoni: dobbiamo riferirci ai dati di emissioni a parità della produzione metallurgica realizzata e non alla situazione di quando la fabbrica stava per chiudere.

Chi certificherà questi dati ?

Nel marzo prossimo provvederemo ad aggiornare lo scenario con la stessa società con cui abbiamo realizzato il report sulla sostenibilità dell’azienda (Greening Marketing It, ndr).

La società analizzerà il progetto depositato e le eventuali modifiche e poi esporrà pubblicamente i risultati in termini comparativi dell’autorizzato pregresso e futuro e delle emissioni effettive pregresse e future a parità di produzione metallurgica.  Il nostro core business resta la produzione metallurgica. Per raggiungere gli obiettivi della produzione  si ha bisogno di 100mila megawattora all’anno. Così abbiamo sviluppato un sistema che sia meno impattante rispetto alla produzione precedente, perché spegniamo forni di fusione a gas e usiamo forni elettrici, producendo la corrente elettrica in casa, forni che avranno un impatto inferiore a quelli a gas. Questo sarà l’argomento per convincere la comunità locale. Il problema è complesso e dobbiamo ricondurlo a dati oggettivi e riferiti a norme Arpat e Asl. Ciò che soprattutto lascia amarezza è come la politica in maniera alternata cavalchi questi temi unicamente per cercare consenso a breve. E’ questo ciò che danneggia una comunicazione corretta.  Faremo di tutto per convincere con dati affidabili elaborati da un ente terzo e dimostreremo  che, a parità di produzione, il nostro impatto futuro sarà decisamente inferiore a quello precedente per quanto riguarda tutte le sostanze misurabili: diossine, ossidi di azoto,  pm 10 ecc. 

Come valuta le reazioni negative che il progetto ha finora incontrato? 

Siamo convinti del progetto e l’abbiamo visto funzionare in molti paesi nordeuropei, come Norvegia e Danimarca, in comunità avanzate, anche all’interno di parchi naturali. In posti dove la regola è che i rifiuti non possono viaggiare. Si recupera prima la materia, poi l’energia  e con quello che avanza si fa, per esempio, la pavimentazione delle strade.  Purtroppo il business del traffico e stoccaggio dei rifiuti in Italia è ampio e diffuso. Ci sono grandi interessi in campo. Con questo progetto spostiamo valori economici importanti e questo può provocare vari tipi di reazione. Sono temi sensibili. Siamo convinti che aziende energivore come questa se vogliono svilupparsi devono diventare  anche produttori di energia e costituire, insieme alle comunità locali, sistemi di bilanciamento fra consumi, produzioni e stoccaggio. Il mio sogno sarebbe che a qualche politico venisse questa idea: tu ti produci la corrente elettrica e quella che non usi la distribuisci intorno, alle case. Così metà delle caldaie, magari adesso alimentate a legna e pellet, vengono spente  e così si riduce ulteriormente l’inquinamento. Ma finora non c’è stato nessuno che abbia fatto questo tipo di proposta.

Come  intende KME affrontare le sfide della cosiddetta industria 4.0, cioè l’applicazione integrata delle tecnologie ICT e robotiche?

Ci stiamo investendo molto. Per esempio lo abbiamo fatto recentemente in automazione per uno dei due forni fusori in modo orientato alla sicurezza, cioè in modo da  far stare gli operatori molto più distanti dalla parte calda e lavorare maggiormente in remoto. Ovviamente c’è anche l’obiettivo  di risparmiare costi operativi. E’ un tema generale che si lega a molti temi sociali, ad esempio anche alla questione del reddito di cittadinanza, o meglio, secondo me, della lotta alla povertà e alla disoccupazione, che andrebbero affrontato affrontati  in termini pragmatici e non con azioni demagogiche. L’industria 4.0, con la robotica e intelligenza artificiale, avrà un impatto forte sull’occupazione, anche in quei lavori che finora erano ritenuti indenni dalla possibilità di automazione.  Le aziende inizieranno ad automatizzarsi come naturale conseguenza del 4.0. E’ un concetto generico, che significa che se dentro consideriamo l’effetto combinato dell’”Internet of things”, dell’intelligenza artificiale e della robotica, tutto ciò avrà un impatto in termini di sostituzione del  lavoro umano sia in industrie heavy che in altre attività molto diversificate. Rischiamo di avere un importante tema occupazionale da dover gestire.  E’ un tema che anche noi stiamo affrontando in maniera decisa. Se si pensa ad esempio che questa fabbrica in passato ha avuto fino a 6.500 dipendenti per una produzione di  48mila tonnellate. Ora ne produciamo 60mila con 600 addetti di cui 58 esuberi. Ma negli anni passati la perdita di posti di lavoro era abbastanza diluita. Ora rischia di essere più concentrata e quindi dobbiamo affrontare questo tema con grande attenzione agli aspetti occupazionali e sociali.

A suo parere al livello nazionale sono efficaci e sufficienti gli incentivi previsti dal progetto governativo?

L’efficacia e sufficienza degli incentivi mi sembra in continuità quanto messo in atto dal governo precedente. Vorrei però enfatizzare un concetto: alle aziende interessa l’incentivo per comprare un robot ma ancor di più interessa il fatto che, se questo va a creare degli esuberi, ci possano essere dei supporti concreti a livello di salvaguardia dell’impatto sociale e occupazionale. E’ su questo tema  che il Governo, il Parlamento, ma in generale tutte le classi dirigenti del Paese devono fare una riflessione. Giustissimo incentivare il 4.0, ma gli impatti sulla gestione occupazionale devono essere studiati  in maniera preventiva.

Che impatto ci sarà sull’occupazione prescindendo dalla sua azienda e quali cambiamenti nel sistema industriali regionale e nazionale

Questa struttura, il polo accademico, si muove in quest’ottica. Sappiamo che con l’automazione industriale l’incremento volumi non sarà seguita da un proporzionale incremento dell’occupazione. Stiamo cercando di studiare come diversificare in una sorta di terziario avanzato per potere creare occupazione per mitigare ciò che  potrebbe verificarsi.

Come evolve la figura del manager e quali sono a suo parere gli aspetti essenziali della sua formazione.

La figura del manager è fondamentale perché deve essere complementare a quella dell’imprenditore, che deve avere la volontà di mettere a rischio un capitale per poter generare l’impresa. Il manager deve avere la flessibilità di cambiare  molto rapidamente per poter indirizzare le energie economiche e psicologiche dell’imprenditore in un canale di attuabilità futura  misurabile. E la capacità di aggiornarsi rapidamente e prevenire i segnali che indicano dall’evoluzione del futuro. Il suo compito principale non più soltanto quello di gestore, di colui che sa come si fanno le cose (la parola management è di origine italiana e, prima ancora, latina: il suo significato in origine era quello di “controllare un cavallo” ed è quindi molto vicino a quello dell’odierno “maneggio” che tutti conosciamo, in seguito è stata utilizzata per il “maneggio del telaio” e poi è diventata in inglese management). L’importante è ora che riesca prevedere come si evolverà lo scenario futuro per aiutare l’imprenditore a indirizzare le sue risorse  in una direzione che sia efficace.

 Foto in alto: Claudio Pinassi

 

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