Intervista di Stamp all’On. Elisa Simoni componente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, ex-assessore al Lavoro della Provincia di Firenze.
Il Jobs act è legge. Lei ha contribuito alla Camera ad apportare alcune modifiche significative. Quali in particolare?
“La commissione lavoro si è impegnata per migliorare il testo che usciva dal Senato e che, in tutta franchezza, conteneva delle criticità. Abbiamo reso più chiaro cosa dovrà fare il governo con i suoi decreti attuativi: ridurre le forme di precariato e istituire il contratto a tutele crescenti; abbiamo eliminato l’aberrazione della telesorveglianza per i lavoratori e aggiustato la possibilità di demansionamento: funzionale, ma non economico. Insomma, io sono convinta che la riforma del lavoro sia adesso più vicina a quella che avremmo voluto”.
Ma in che misura riuscirà ad essere un volano per la ripresa ?
“Da sola, non può bastare. È un piccolo tassello dei tanti necessari a far ripartire l’Italia. Non esistono soluzioni facili e immediate, ma abbiamo piuttosto bisogno di una revisione completa del sistema: dobbiamo rendere più snella la burocrazia, più semplici, ma non meno stringenti, le regole, dobbiamo avere dei tempi per la giustizia in linea con quelli europei, rafforzare il sistema di ricerca e sviluppo. Dobbiamo, in altre parole, fare dell’Italia un paese più moderno. Ecco cosa serve per la ripresa”.
Il problema dell’occupazione giovanile è anche una questione di formazione professionale… perché i corsi di studi universitari non sempre corrispondono all’offerta di lavoro.
“È vero e non solo: anche la formazione secondaria spesso è scollegata dalle reali necessità dei territori. Per questo credo sia importante trovare una via italiana al sistema tedesco di alternanza scuola lavoro. I nostri ragazzi possono arrivare al diploma o alla laurea senza mai aver messo piede in un posto di lavoro. Questo è inaccettabile. Essere esposti alla realtà del lavoro aiuta i nostri giovani a capire meglio quali siano le loro aspirazioni e la realtà che li aspetta. Li rende più consapevoli e può far scattare la passione per un mestiere.
Nella “Buona Scuola” del governo c’è la volontà di muoversi in questa direzione: dagli 11 milioni di Euro stanziati nel 2014 si vuole arrivare a 100 per finanziare i quattro strumenti previsti: l’Alternanza obbligatoria, l’Impresa didattica, la Bottega Scuola, e l’Apprendistato sperimentale.
L’offerta formativa, inoltre, non deve nascere soltanto da dalle decisioni di marketing. Dovremmo dotarci di un sistema di analisi del mercato del lavoro che ci aiuti a prevedere quali tipi di lavoro sono più richiesti e rafforzare la collaborazione fra scuola, università, stato e imprese per creare un circolo virtuoso di studio utile, occupazione e crescita”.
La crisi sta creando un disagio sociale ma rischia anche di creare nuove disparità se non si creano ammortizzatori sociali eguali per tutti…
“Non ci sono dubbi: quando ero assessore al lavoro, nei tavoli di crisi che ho seguito – quasi 200 – non sono mai riuscita ad incontrare un lavoratore precario, un co.co.co o co.co.pro. Erano stati tutti licenziati prima, senza nessuna rete di protezione o ammortizzatore. Le disparità esistono già, non è la crisi che rischia di crearle. Ed è proprio per combattere queste disparità che nel jobs act è inserita anche la riforma degli ammortizzatori: mi chiedo perché, per esempio, se un azienda ha meno di 15 dipendenti non debba prevedere la cassa integrazione in caso di crisi. La direzione è quella giusta, ora è necessario trovare le risorse per tutti: chi aveva già diritto agli ammortizzatori e chi ne potrà usufruire grazie ai cambiamenti introdotti”.
E certe misure di sostegno dovrebbero comprendere il lavoro autonomo perché molti giovani vi si rifugiano non trovando possibilità di assunzione
“Per alcune tutele, certamente: la maternità, per esempio, deve essere garantita a chi ha una partita iva o a un contratto da dipendente, o si fa passare il messaggio che alcuni figli sono meno ‘figli’ di altri. Purtroppo il vero nodo non è la volontà politica, ma le risorse necessarie a coprire questo cambiamento epocale. Sta al governo riuscire a mettere in campo quelle necessarie a trasformare un principio in nuovo welfare per i lavoratori”.
Ma il problema dell’occupazione non richiederebbe anche un maggiore intervento pubblico? ( Penso, ad esempio, ai problemi legati al dissesto idrogeologico, alla tutela dell’ambiente etc. )
“Non credo che possiamo immaginare interventi fortemente keynesiani, con i tempi che corrono. Mi accontenterei di vedere spese tutte le risorse già stanziate e che giacciono inutilizzate in attesa di un ricorso al TAR per l’esito di un bando di appalto o ferme per qualche altro intoppo burocratico. Dobbiamo imparare ad utilizzare meglio i fondi europei che fanno certamente parte dell’intervento pubblico, ma che regolarmente risultano sotto utilizzati. Già così avremmo un’iniezione importante nell’economia italiana”.