Italia fragile, anche la Toscana fra le aree più a rischio

Firenze – Frane, alluvioni, smottamenti e piene. E parliamo “solo” del rischio idrogeologico. Se l’Italia ha il triste primato in Europa di Paese a maggior rischio, un pericolo che riguarda 6.633 comuni, ovvero l’82% del totale, e quasi il 20% delle imprese, c’è un gruppo di regioni in cui si toccano punte da vera emergenza, come la Valle D’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata, Calabria.

A lanciare ancora una volta l’allarme è la Cia, che in questi giorni a Roma sta facendo il punto della situazione. Al rischio idrogeologico si collegano i danni da maltempo, calamità naturali come i terremoti, e i danni prodotti dalla fauna selvatica. Facendo qualche conto, si scopre che la mancanza di prevenzione è già costata all’Italia oltre 20 miliardi di euro negli ultimi 10 anni. I rischi ambientali riguardano almeno 7mila comuni e 15mila imprese agricole. Senza parlare dell’incuria e della cementificazione sregolata che continuano a bruciare 14 ettari di terreno coltivabile al giorno. Inoltre, più di 6 milioni di cittadini risiedono in aree soggette a frane e alluvioni. Questi i dati allarmanti che hanno spinto Cia-Agricoltori Italiani a lanciare un progetto di manutenzione infrastrutturale del territorio nazionale. Un vero e proprio Ordine del giorno in cinque mosse presentato in occasione dell’Assemblea nazionale, oggi a Roma all’Auditorium Conciliazione.

Il focus che mette in luce la situazione rende ancora più paradossale un punto chiave, nel porsi una seria domanda sul futuro del territorio italiano, vale a dire perché non si sia ancora riconosciuto pienamente il ruolo dell’agricoltore come “manutentore” dl Paese. Sono infatti i terreni coltivati, insieme a quelli boschivi, a giocare un ruolo essenziale per stabilizzare e consolidare i versanti e per trattenere le sponde dei fiumi, grazie anche alla capacità di assorbimento e di riduzione dei tempi di corrivazione, aiutando così a scongiurare frane e cedimenti del terreno. Insomma, un vero e proprio “salvavita” per quanta riguarda in particolare il rischio idrogeologico. come ricorda la Cia, “ogni forma di coltivazione obbliga a un corretto regime delle acque e questo comporta una sensibile diminuzione dell’esposizione dei versanti al rischio di smottamenti e dei fondovalle al pericolo di allagamenti. Senza l’opera di presidio e cura del territorio da parte degli agricoltori, si lascia spazio al degrado e all’abbandono, soprattutto nelle aree interne e marginali, e questo aumenta il rischio di danni all’ambiente e alle persone”

Il presidente nazionale di Cia, Dino Scanavino, riferendosi il progetto di manutenzione nazionale illustrato oggi, lo ha definito un “atto storico”. “Si tratta – si legge nella nota della Cia – di un intervento straordinario di tutela, manutenzione e gestione sostenibile del Paese, recuperando gli enormi ritardi infrastrutturali e puntando sulla centralità dell’agricoltura. Obiettivo finale è la costruzione di un grande piano agro-industriale che potrebbe creare fino a 100 mila nuovi posti di lavoro generando Pil e ricchezza”.

La parola d’ordine deve essere prevenzione, non più emergenza -ha spiegato Scanavino- basta azioni spot nate a seguito dell’ultima tragedia. Nel nostro progetto, che vogliamo sottoporre da oggi a Istituzioni nazionali e locali, ci sono le linee guida per un reale cambio di marcia”. Si parte dall’immediata messa in sicurezza dei territori più a rischio e da un’attenta programmazione per il futuro, che deve partire dalle aree interne. Urgenti, poi, reali politiche di governance del territorio: dallo sviluppo di verde urbano e bioedilizia alla valorizzazione del presidio degli agricoltori, lavorando per contrastare il consumo di suolo, l’abbandono e lo spopolamento delle aree rurali e marginali, e salvaguardando il patrimonio boschivo. Occorre, quindi, favorire reti d’impresa territoriali, mettendo in sinergia agricoltura, commercio, logistica, turismo, enti locali e cittadini, in un’ottica di sistema integrato su misura. Inoltre, non è più rinviabile un nuovo e più efficace piano di intervento sulla questione fauna selvatica, che superi la normativa vigente, tanto più che danni e pericoli hanno assunto una dimensione insostenibile anche in termini di sicurezza nazionale. Infine, se ben orientate, le risorse della nuova Pac potrebbero concorrere al rilancio delle comunità e delle economie locali, mettendo assieme Fondi strutturali Ue, misure di sostegno, incentivi e programmi di infrastrutturazione del territorio”.

Se il rischio idrogeologico è forse uno dei più alti che abbiamo in Italia, per quanto riguarda il territorio, non da meno è il consumo di suolo. 

“La cementificazione costante e non sempre regolamentata ha già cancellato negli ultimi vent’anni oltre 2 milioni di ettari di terreno agricolo; un processo spesso neppure accompagnato da un adeguamento della rete di scolo delle acque – dice la Cia –  Solo nel 2017, secondo gli ultimi dati, il consumo di suolo agricolo ha interessato altri 5.400 ettari di territorio nazionale, con un potenziale valore commerciale perso di circa 216 milioni di euro. Si è alimentata l’incuria e, senza un “monitoraggio” agricolo, la manutenzione spesso è saltata”. Perciò, sottolinea la Cia, è necessario approvare finalmente la legge contro il consumo di suolo, in ballo dal 2012.

Infine, la Cia punta il dito anche sul problema degli animali selvatici e dei danni da loro provocati. “Il problema in Italia è ancora fuori controllo e crea danni milionari all’agricoltura, oltre a minacciare la sicurezza dei cittadini – dicono dall’associazione degli agricoltori – solo per citare alcuni esempi, la media annua delle domande di indennizzi per i danni da fauna selvatica supera i 2 milioni di euro in Toscana ed Emilia-Romagna e arriva a oltre 1 milione nelle Marche e in Umbria. E ancora, ogni anno, solo nelle regioni dell’arco appenninico, dalla Calabria alla Liguria, gli animali selvatici uccidono dalle 2.000 alle 2.500 pecore”. Ecco perché, secondo Cia, è urgente che le Istituzioni intervengano, modificando la legge quadro datata 1992 che regola la materia, riformando gli ambiti territoriali venatori e superando il regime del de minimis nel rimborso dei danni che, di fatto, paralizza il sistema dei rimborsi per gli agricoltori. Soprattutto, insistono gli agricoltori, “oggi occorre introdurre il concetto di “corretta gestione” accanto a quello di protezione, parlando di carichi sostenibili di specie animali nei diversi territori e ambienti, tenendo conto degli aspetti naturali, ma anche produttivi e turistici”.

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