Prendi la neve fino a che occhio possa vedere. Prendi certi brutti ceffi tatuati dal profilo caucasico e prendi dei manifesti così socialisti che Stalin ti sembrerà un moderato. Prendi insomma tutti i luoghi comuni sulla Russia comunista e mettili insieme in una mostra, a Roma, alla Galleria del Cembalo, e vedrai qualcosa di nuovo e diverso, perché l’occhio dell’artista trasforma il già visto, il conosciuto, in qualcosa di inedito. Le immagini in mostra di Danila Tkachenko sono questo.
Danila – fotografo ventisettenne che rivedremo di certo – riprende icone post-moderne dell’epoca URSS, basi segrete, antiche città mai esistite sulla carta, centri di ricerca biologica e spaziale, relitti della più avanzata tecnologia affondati nella più onirica delle nevicate, nella più metaforica della nebbia, nel dimenticatoio dell’abbandono, nella damnatio memoriae di ciò che non ha funzionato.
L’immagine è quella della ex URSS delle spie e delle città segrete, la foto è quella concreta e al tempo stesso surreale e letteraria di un destino di grandezza abbandonato, con tutto quel che c’è di toccante nei sogni infranti.
La letteratura e il cinema ci hanno fatto conoscere la tradizione russa del tatuaggio, simbolo nella malavita, di carcerati, di gerarchie sociali, esperienze di vita, graduatorie. Un bestiario fantastico del malfattore che Sergej Vasilev ha decodificato in fotografia, dal 1947, in una raccolta di immagini tanto iconiche quanto struggenti. Un’iconografia degnamente bilanciata in mostra dalle immagini, fatate e sensuali, raccolte nel 1970 in un sauna russa. Immagini di sirene, di corpi morbidi, di pelle candida, giovane e bella. Un inno di sensualità, bellezza e sensibilità così vero e inusuale, che proprio nel confronto con questi “avanzi di galera” (sempre parlando di luoghi comuni…) rappresenta molto bene la doppiezza dell’animo umano, la perdita di tutto, in riscatto da tutto.
Solo questo varrebbe il viaggio.
Eppure anche l’opera grafica di Rozalija Rabinovic, designer dal basso profilo esposta con diverse tavole celebrative, ci consegna una chiave di lettura ulteriore di un popolo, di una nazione, di un particolare periodo storico, dal cui sguardo è necessario passare per leggere anche la produzione artistica odierna. Guardando oltre alla “rossa primavera” infatti si scorgono forme, prospettive, ambizioni di grandezza del tutto simili, negli anni Trenta come negli anni Duemila, immagini che tornano, come appartenessero ad una forma ancestrale ed originaria, la cifra, forse, del popolo russo.
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Roma, Gallleria del Cembalo
Palazzo Borghese
Largo della Fontanella di Borghese, 19
Fino al 13 febbraio 2016
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Valutazione:☺☺☺☺
Consiglio di visione: Anche solo per visitare luoghi inediti di Roma. Per gli appassionati di fotografia o per gli appassionati di “spirito” russo.