Venerdì Netanyahu è salito sul podio del Palazzo di Vetro e quando molte delegazioni hanno abbandonato l’aula, sfilando sotto i suoi occhi, non si è lasciato minimamente intimidire dalla protesta. Con il suo inconfondibile stile da statista navigato (straripante di egocentrismo) ha intrattenuto i presenti pronunciando il classico “spiegone” alla Bibi. Rendendo noto quello che si sapeva già, ovvero la guerra va avanti tanto a Gaza quanto in Libano. Spoilerando, con poco preavviso, quello che sarebbe accaduto qualche minuto dopo: l’eliminazione di Nasrallah. Dal punto di vista della strategia di Netanyahu è l’amo per tirare completamente dentro il conflitto l’Iran. Che poi resta il suo obiettivo principale, non da oggi. Invece, aver rigettato la proposta di una immediata tregua di 21 giorni, in barba al lavoro diplomatico che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e quello francese Emmanuel Macron stavano tessendo, è stata, se vogliamo, la ciliegina politica sulla torta.
Nel sottotitolo dell’editoriale di David Horovitz direttore di The Times si legge: «Un anno fa, l’eccessiva vanità israeliana ha permesso l’orribile massacro compiuto da Hamas. Oggi Israele reagisce, Hezbollah paga il prezzo dell’eccessiva sicurezza e l’Iran è sulla difensiva». Horovitz certifica di fatto quello che diranno i sondaggi: il vento interno del consenso è cambiato e la situazione politica è nuovamente favorevole al falco del Likud. Il re è tornato sul trono di Gerusalemme. L’intero spettro politico israeliano si spertica lodando l’eliminazione della guida di Hezbollah. I leader dell’opposizione si uniscono ai ministri del governo per elogiare “l’importante risultato”.
Per una volta sono tutti d’accordo, chi dissente preferisce non commentare. Il presidente della Knesset Amir Ohana, dirigente del Likud, ha postato una foto di Nasrallah con una minaccia: “Chiunque segua le sue orme, seguirà i suoi passi”. L’estremista di destra Itamar Ben-Gvir, e ministro della Sicurezza, che solo pochi giorni fa aveva minacciato la crisi di governo, nel caso di un cessate il fuoco, adesso osanna il primo ministro. Stessi toni sono stati espressi dall’altro contendente del campo nazional-religioso Bezalel Smotrich: “Sì, tutti i tuoi nemici periranno, o Signore” (versetto biblico).
Il ministro della Difesa Yoav Gallant che si trovava sulla graticola, ad un passo dal licenziamento, e che ha gestito dalla war room l’operazione, è tornato in piena sintonia con Bibi, per aver preso una “decisione importante”. Il coro è unanime tra le file del Likud. Per il ministro della Cultura e dello Sport Miki Zohar l’attacco di Beirut ha ripristinato “l’onore nazionale” e “con l’aiuto di Dio continueremo a fare di tutto per sconfiggere i nostri nemici e riportare a casa gli ostaggi”. Euforia incontenibile nella destra, Shlomo Karhi ministro delle Comunicazione parla di “festa”, l’inizio di “un nuovo capitolo scritto nel libro delle cronache del popolo di Israele”.
E aggiunge: “Questo è un momento che unisce i cuori dei cittadini di Israele”. Infatti, anche l’opposizione plaude togliendosi il cappello. Lo chapeau di Yair Lapid: “Sappiano i nostri nemici che chiunque attacca Israele è un uomo morto che cammina. Questo è un risultato importante per la deterrenza e la sicurezza di Israele”. Benny Gantz lasciata la maggioranza e rientrato tra i banchi dell’opposizione invita a proseguire l’offensiva, ora che si è aperta una opportunità per Israele. Decisamente più sobria nei toni l’ex Avodà e oggi deputata del gruppo Democratici Merav Michaeli, che affonda la stoccata e invita a fare attenzione: “Questo è un governo che porterà Israele all’isolamento internazionale, ci farà perdere le nostre conquiste e così ci troveremo di fronte a pericoli ancora maggiori”. Ironia, nemmeno troppo velata, nel commento rilasciato dall’ex premier Ehud Olmert, da sempre fortemente critico su Netanyahu: “Dal momento che l’unica cosa che conta davvero per il primo ministro è il credito che riceve. Quindi sono contento che abbia preso la decisione di portare avanti questa azione”.
Infine, su Haaretz il giornalista Jack Khoury riflette sul fatto che aver ucciso Mohammed Deif e Ismail Haniyeh, e forse anche Sinwar, non ha portato alla fine del conflitto. Concludendo che “gli israeliani, prima o poi, dovranno guardarsi allo specchio”. Il rischio è che però vedano riflessa solo l’immagine di Netanyahu.
Alfredo De Girolamo Enrico Catassi
in foto Hassan Nasrallah