Israele e Palestina: la doppia lealtà dei pacifisti è sentire il dolore di entrambi

Il dramma interiore di chi crede nella possibilità di una convivenza pacifica

La “doppia lealtà” per la pacifista israeliana, e attivista contro l’occupazione, Sahar Vardi è condividere il dolore e la speranza di un amico che non ha notizie dei propri parenti rapiti, che piange la morte dei familiari, che si sente impotente difronte agli eventi, che ha paura. La doppia lealtà è un attimo dopo parlare al telefono o in chat con un amico di Gaza, che ti dice che ogni notte è la più spaventosa della sua vita, che calcola le probabilità che hanno le sue figlie di sopravvivere, di svegliarsi ancora vive la mattina seguente.

La “doppia lealtà” dei pacifisti è sentire il dolore di entrambi. «Qui è talmente difficile avere umanità. È estenuante, e sembra che di volta in volta il mondo ti stia solo chiedendo di lasciarti andare. Molto più semplice “scegliere da che lato stare” – quasi non importa quale parte sia, basta decidere e attenersi, in modo da ridurre il peso del dolore che si trattiene dentro. Così da sentirsi insieme un gruppo e meno soli difronte a tutto questo. Come se fosse davvero un’opzione. Come se non capissimo che i nostri dolori sono intrecciati. Che non c’è soluzione solo per il dolore di Ofakim senza capire quello di Khan Yunis».

La Vardi esprime, con semplicità e sincerità, il dramma interiore vissuto in queste ore da coloro che credono fermamente nella possibilità di convivere pacificamente tra israeliani e palestinesi, di poter avere una vita normale. Quanti realmente siano, da ambo le parti, non lo sappiamo. Ma ci sono. Sono ebrei, cristiani, musulmani, laici e atei, palestinesi o israeliani. «La pace è qualcosa di disordinato, è fragile e ancora più difficile da mantenere, specialmente in questa parte del mondo dove le parti sono profondamente ferite, fisicamente e mentalmente», Eliza Mayo è vicedirettrice del dipartimento ambiente dell’Istituto Arava, che ha sede nel kibbutz Ketura, nel Negev. Dove lavora anche Tareq Abu Hamed, palestinese: «La stragrande maggioranza delle persone in questa regione vuole solo la pace», ma «viviamo in un’epoca in cui nessuno può permettersi il lusso di arrendersi».

In quel lembo di terra essere per la pace non è un lusso o un costrutto artificiale, è una scelta morale e umana. Talvolta, anzi troppo spesso, tragica. Come scrive Yuval Abraham per il magazine +972 (il prefisso telefonico di Israele), far “Piovere missili su Gaza non può mai essere una soluzione”: «Ho lo stomaco in subbuglio da quattro giorni. Negli ultimi anni ho criticato duramente le politiche di Israele a Gaza, scritto ampiamente sul blocco che strangola Gaza e stretto amicizie con i palestinesi di Gaza. Proprio per questo, è importante per me scrivere che non c’è alcuna giustificazione per l’inimmaginabile, brutale massacro di Hamas, lo sterminio di intere famiglie, centinaia di giovani e bambini piccoli. È un crimine di guerra… Enon riesco a scrollarmi di dosso il profondo orrore di tutto questo».

La dualità di Abraham è affermare che «L’esercito israeliano sta conducendo bombardamenti di rappresaglia a edifici e strutture civili a Gaza su una scala senza precedenti. I ministri del governo (israeliano ndr) stanno dichiarando apertamente la loro intenzione di vendicarsi, mettendo a rischio civili innocenti e lasciandosi dietro la rovina di interi quartieri. Questo approccio non raggiungerà l’obiettivo desiderato di “ripristinare la nostra deterrenza” o minare Hamas; invece, è probabile che abbia l’effetto opposto. Come è accaduto nei precedenti attacchi israeliani a Gaza, la popolazione civile sopporterà il peso di queste azioni, mentre Hamas potrebbe alla fine guadagnare forza e sostegno tra la popolazione colpita».

Così lo scrittore David Grossman: «Guardo le facce delle persone. Sconvolte. Spente. Il cuore è oppresso da un’angoscia costante. Continuano a ripeterci a vicenda: un incubo, un incubo inaudito. Non ci sono parole per descriverlo. Le parole non riescono a contenerlo. E una sensazione profonda di tradimento. Tradimento dei cittadini da parte della politica». La politica non ha aiutato a dipanare l’inganno del pretesto, non ha svelato strumentalizzazioni e contraddizioni. Al contrario si è riempita la bocca di slogan, propaganda, incitando la violenza. 

La verità, come disse Alain Gresh, storica firma di Le Monde diplomatique, è che se non mettiamo fine al conflitto: «L’unica altra opzione ha a che fare con l’incubo, con l’apocalisse tanto spesso annunciata su questa terra tre volte santa, un’apocalisse che non farebbe alcuna differenza tra gli uni e gli altri, tra vincitori e vinti. La Bibbia racconta la storia di Sansone, uno degli eroi della lotta del suo popolo contro gli occupanti Filistei. Viene fatto prigioniero dai suoi nemici che gli cavano gli occhi e lo conducono a Gaza». Il finale lo conoscete. Per una volta cambiamolo, facciamo in modo che non muoia Sansone e nemmeno i palestinesi innocenti.

In foto donne vestite a lutto esprimono il dolore per le vittime israeliane e palestinesi della guerra voluta da Hamas

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