Israele dopo il voto: i dilemmi di Netanyahu

Firenze – Benjamin Netanyahu ha vinto le elezioni  anticipate del 17 marzo scorso contro tutti i sondaggi d’opinione che lo volevano  in difficoltà di fronte alla coalizione di centrosinistra di Isaac Herzog. La destra guidata dal Likud ha dunque confermato una tendenza politica che in Israele la vede ininterrottamente al governo dal 2001, una stabilità di potere nella più totale instabilità della politica.

La continuità apparente nasconde, tuttavia, dei cambiamenti profondi nella società e nell’opinione pubblica israeliana, non solo in quella della maggioranza ebraica, ma anche nella minoranza araba che per la prima volta ha scelto una rappresentanza unitaria che è diventata la terza forza politica della Knesset.

Netanyahu si trova ora di fronte a scelte cruciali, come cruciale è sempre il voto in Israele che non è solo un esercizio democratico, ma “la prospettiva di una pace o di una nuova guerra”.  Dove volerà il falco di Gerusalemme che si è sempre dichiarato indisponibile alla soluzione “due popoli, due Stati”?

Un interrogativo al quale cercano di dare una risposta Alfredo De Girolamo ed Enrico Catassi nell’e book dell’Espresso “Voci di Israele. Quale futuro per lo stato ebraico”, prodotto editoriale di attualità  scaricabile sul sito http://espresso.repubblica.it/ , con la prefazione di Gigi Riva.

Obiettivo del libro è andare oltre i  numeri delle urne e osservare le pulsioni politiche all’interno del Paese chiave per la ricerca di un assetto pacifico nella regione, attraverso testimonianze “a caldo” di protagonisti della vita politica, economica, intellettuale, militare di quello che – scrive Riva – “è un avamposto di Occidente nel cuore dello spicchio di pianeta più turbolento e così vicino a noi che ci chiama direttamente un causa”.

Intanto la vittoria di Netanyahu, spiegano gli autori, ha  preso alla sprovvista gli analisti  che avevano fatto “molto affidamento ai sondaggi e poco alla mole di comunicazione scatenata dall’ex premier per tutta la campagna elettorale ed in particolare nelle ultime ore che hanno preceduto il voto”.

Attraverso il commento di personalità e protagonisti della società israeliana – lo scrittore Etgar Keret, il rabbino Yuval Cherlow, il politologo Avraham Diskin, lo storico Zeev Sternhell, la vedova di guerra Michal Kesten Keibar, la sociologa Khawla Abu Baker, il politico Yossi Beilin, l’economista Joseph Shevel, il militare Shabtay Levy –  De Girolamo e Catassi  cercano di capire come si legge il nuovo Israele, di cogliere il  cuore pulsante di un Paese nel quale il problema della sicurezza fa da schermo anche ad aspirazioni di giustizia, pace, uguaglianza fra i diversi popoli che lo compongono.

Dalle testimonianze emerge chiaramente che le cose non sono così nette fra i due campi politici nei quali è divisa la società israeliana. La divisione non è esattamente fra religiosi e laici o fra destra e sinistra e il modello è l’attuale presidente dello Stato, Reuven Rivlin : non è religioso ma è fortemente legato ideologicamente alla Terra di Israele; è di destra, ma ha sempre dimostrato grande rispetto per i valori liberali della democrazia.  All’interno dei due campi si muove ugualmente la convinzione che solo nel riconoscimento di “due popoli, due Stati” sta la soluzione del problema.

Le posizioni dei testimoni sono più o meno pessimiste, più o meno ottimiste ma la conclusione  che se ne tra e è che “la grande maggioranza dell’opinione pubblica israeliana, nel momento in cui vi saranno le condizioni sufficienti, sarà disposta a questo compromesso” , come dice il politologo Avraham Diskin. 

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