Iren: bancomat della politica e capri espiatori

Così spolpavano la multiutility per finanziare amici e consorterie tra silenzi complici e reazioni tardive. Le conseguenze della lottizzazione

Come sembrano lontani i tempi in cui Luigi Giuseppe Villani dettava legge a Parma e dintorni. Non solo nel capoluogo, ma anche in comuni importanti come Fidenza, il ras del Pdl – come lo chiamavano – e tutte le decisioni più importanti passavano da lui. Non era infrequente vederlo attovagliato di sera in compagnia del sindaco Pietro Vignali in qualche ristorante del centro di Parma: il ras dà ordini, “Vigno” obbedisce sussurravano i maligni.

“E’ iniziata la campagna elettorale” ha ringhiato Villani mentre gli uomini della guardia di finanza lo portavano via dalla caserma, in arresto. Era lui, scrivono gli inquirenti nelle carte dell’inchiesta Public Money, il centro del complesso sistema di potere che controllava istituzioni, uffici, banche e partecipate. Un sistema i cui tentacoli avrebbero attraversato il limes dell’Enza.

Nello scacchiere Iren ricopriva un posto di massima importanza. Non è un caso che ad occupare le poltrone in quota al comune di Parma con stipendi d’oro fossero Villani (vicepresidente) e l’editore e imprenditore Angelo Buzzi (presidente di Iren Mercato), anche lui finito in manette nell’ambito della stessa inchiesta. Il quadro che emerge dalle carte ha tratti grotteschi: nel 2006 circa 400mila euro dalle casse dell’allora Enìa finiscono alla società Sws per la campagna informativa sulla raccolta differenziata. In realtà il vero obiettivo non è distribuire sacchetti e depliant, ma fare campagna elettorale per Vignali, allora assessore all’Ambiente nella giunta Ubaldi e in corsa per il municipio, dopo avere “istruito” allo scopo gli operatori.  Sws era la vera cassaforte del gruppo di potere: sal 2007 al 2011 la piccola cooperativa per il lavoro studentesco ha ricevuto dalla partecipate comunali appalti diretti per complessivi 4,5 milioni e mezzo di euro. Un “tesoretto” creato attraverso il pagamento di fatture per prestazioni inesistenti o per importi gonfiati che serviva per fare funzionare la macchina della propaganda.

Quando l’onda di piena ha sfondato gli argini, da questa parte dell’Enza il sindaco Delrio e i soci reggiani si sono affrettati a chiedere la testa del ras, che peraltro stava già rotolando. Le dimissioni non hanno tardato ad arrivare e forse nella testa di qualcuno queste dovrebbero bastare a placare le acque. D’altra parte Villani si presta bene ad incarnare la parte del mariuolo isolato di craxiana memoria. In realtà ridurre la questione alle eventuali responsabilità penali di Villani e Buzzi non rende onore alla verità.

Non è azzardato fare un paragone con lo scandalo che sta facendo tremare il Monte dei Paschi di Siena o con le recenti vicende che hanno interessato la Fondazione Manodori. Scrive Stefano Lepri sul Fatto Quotidiano: “Affrontare il caso Mps significa mettere in discussione il sistema che sostiene il potere italiano da 20 anni: banche spremute per fornire dividendi a Fondazioni gestite da ex politici che usano i soldi per garantire consenso ai loro sodali di partito. Qualcuno avrà il coraggio di occuparsi del problema?”.

La stessa domanda dovrebbe essere girata al sindaco Delrio, ai soci reggiani, ai vertici di Iren. Qualcuno avrà il coraggio di occuparsi del problema, che non si limita alle presunte malefatte di un paio di mele marce?

Giuseppe Manzotti

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