Iran: per ora vince la repressione, ma il fuoco cova sotto la cenere

Narges Mohammadi, in sciopero della fame, è stata trasferita in un ospedale

Sono passati quindici mesi dalla morte della studentessa curda Mahsa Amini in una stazione della cosiddetta  polizia morale a Teheran, e dell’Iran non si parla ormai più della situazione interna, delle lotte dei suoi cittadini ma solo in riferimento al ruolo di potenza regionale, regionale, al  sostegno per Hamas,  Hezbollah o per gli Houthis yemeniti che in queste settimane minacciano le navi commerciali che attraversano il canale di Suez,  costringendole a costose deviazioni.

Le proteste di ragazze e ragazzi che manifestavano per le strade di tutte  le più importanti città iraniane per cambiare nella Repubblica islamica le norme che definiscono il posto della donna nella famiglia e nella società, erano  continuate per mesi, senza però raggiungere, forse  perché mancava un coordinamento e una leadership, quella massa critica  necessaria per proporre un’alternativa capace di spingere tutta la popolazione a partecipare e far cadere un regime. All’estero, gli  iraniani espatriati già erano convinti che si fosse davanti a una seconda rivoluzione, ma la repressione cruenta riuscì a fermare le proteste. Le organizzazioni per i diritti umani hanno contato 700 esecuzionicapitali  nei primi dieci mesi del 2023,  e 600 l’anno scorso.

All’inizio del 2023 sembrò  che  vedere  i giovani iraniani compattamente schierati contro il governo non lasciasse indifferenti gli ayatollah: in gennaio il procuratore generale dello Stato annunciò  lo scioglimento della polizia morale, ma presto tutto è rientrato, la camionette della polizia morale sono tornate in circolazione dall’estate,  il regime si è ancora più chiuso  intorno al nocciolo  più conservatore e chiunque dica una parola che richiami idee di riforma viene destituito e bandito. Si chiede che venga cacciato perfino Rouhani. un moderato che è stato presidente fino a tre anni fa e  ora si è  candidato per l’Assemblea degli esperti (un organo importante che sta in carica per otto anni e sarà rieletto nel 2024). Il leader supremo Khamenei continua a rifiutarsi di venire incontro a qualsiasi richiesta della popolazione e a ribadire che le proteste sono state frutto di un complotto ordito dall’estero. Il Parlamento  ha varato una legge ancora più dura, che punisce con il carcere fino a dieci anni e multe elevatissime le donne che non si vestono secondo l’interpretazione che il regime dà dei canoni islamici. E tuttavia si vedono ancora per strada giovani che non portano il velo rischiando  di venire arrestate ad ogni angolo. Il fuoco cova sotto la cenere. Cresce una generazione coraggiosa che vuole libertà e uguaglianza.

Il distacco degli iraniani dal regime islamico si è cementato anche per il crollo dell’economia che oramai dura da un decennio e ha riportato a una situazione di  miseria non solo quei ceti popolari che erano rimasti a lungo rimasti fedeli  alla rivoluzione che aveva dato loro pane, un tetto, un lavoro e la possibilità di andare a scuola, ma ha anche sempre più impoverito la classe media, ormai costretta per il prezzo degli affitti a traslocare dai quartieri cittadini in periferie remote e prive  di tutto. Mentre è cresciuta a una vera e propria nuova classe di superricchi,  arricchitisi anche grazie alle sanzioni. Dall’inizio dell’anno i prezzi sono aumentati del 50 per cento.Nei mercati rionali, vuoti, la gente non riesce a comprare nemmeno la frutta, mentre i grandi malls vendono prodotti di superlusso a prezzi incredibili: un café creme costa quanto la metà della pensione di mia nonna, mi ha detto un amico..

Il governo dà la colpa del disastro economico alle sanzioni, che avrebbero dovuto essere tolte con l’accordo nucleare firmato nel 2015 e validato dalle Nazioni Unite che  fu poi annullato da Trump . E certamente le sanzioni sono in gran parte responsabili. Ma l’incompetenza e la corruzione hanno avuto conseguenze altrettante disastrose. In questi giorni perfino  i giornali più sensibili alla censura riferiscono di un caso di corruzione senza precedenti, per 3,34 miliardi di dollari – pari  al 3 per cento del pil e a 90 per cento delbilancio per la sanità, Nello scandalo  sono coivolti diversi ministeri, la Banca Centrale, l Dogane e diverse imprese. Secondo Akbar Abdi, un riformatore molto conosciuto, i vertici del regime non possono non essere stati a conoscenza dell’affare. Dal 2019 al 2022 il Debsh Agriculture and Industry Group ha importata tè di infima qualità dal Kenya spacciandolo per tè di qualità superiore proveniente dall’India, con una differenza di 12 dollari al kilo.

Privi di prospettive, sempre più giovani lasciano  le università per cercare un lavoro all’estero. Nemmeno la notizia del premio Nobel a Narges Mohammadi, una nota combattente per i diritti umani, ha allentato la repressione. Gli iraniani hanno già avuto vent’anni fa una oppositrice del regime che ebbe il premio Nobel, Shirin Ebadi. E nulla cambiò. Narges, in sciopero della fame da due settimane e sofferente di una patologia cardiaca, è stata trasferita in un ospedale dopo che per tre volte era stata rimandata indietro perché rifiutava di indossare il velo.

In questi giorni si è saputo che  è stata arrestata anche la più nota avvocatessa iraniana, Nasrin Sotudeh, che da anni difende i diritti umani e ha passato già lunghi periodi nel carcere di Evin. Nasrin è stata arrestata al funerale di Armita Garavand, una donna che a fine ottobre, un mese dopo uno scontro la la polizia morale, era entrata in coma.

In foto Narges Mohammadi

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