Mi trovavo, qualche giorno fa, all’aeroporto di Parma e osservavo la coda di giovani in fila per l’imbarco. Destinazione: Londra. Mai vista tanta gente, non certo vacanzieri fuori stagione. Qualcuno costretto ad alleggerire il bagaglio da stiva trasferisce cose nello zaino: qualche maglione, un libro, il computer. Un ragazzo ripone il suo sassofono in valigia e si avvicina a un gruppo di conoscenti, chiede loro cosa vadano a fare a Londra, uno risponde serenamente: “per star lì”.
Al di là della risposta che mi ha fatto sorridere, guardando questi giovani mi sono chiesta che cosa realmente il paese abbia fatto per dar loro un’opportunità . Quale accoglienza abbiamo riservato loro dopo percorsi scolastici, dalle scuole primarie alle università, dove le richieste sono sempre state altissime? Non bastava mai il titolo acquisito, sempre qualche richiesta in più: specializzazioni, corsi di lingue, master, poi concorsi o esami di stato. Sembra non si voglia che escano dalla scuola gli studenti italiani, è una lungaggine continua. E ora, vedendo quali sono i riscontri, verrebbe da chiedersi a cosa è servito tutto questo rigore. A fronte di tanta intransigenza quali vantaggi?
Comportamenti discutibili da un punto di vista morale e dell’onestà trapelano ogni giorno dalle cronache a proposito dei nostri amministratori, ma quali competenze e conoscenze abbiamo richiesto loro? Il continuo parlare di meritocrazia non tiene conto della realtà. Credo che si stia perdendo un grande patrimonio oltre che di preparazione e talento anche di creatività, visto che il nostro paese non è meta per cervelli in fuga. Chiedere ai giovani di rimanere “per dare una mano”, senza creare le condizioni affinché ciò sia possibile, è una presa in giro.
La verità è che non sta realmente a cuore il problema; la mediocrità fa comodo o perlomeno non fa emergere un certo divario . È ovvio che non si può generalizzare, ma preoccupa l’immagine che quotidianamente ci viene offerta. Oltre a una corruzione radicata è la dinamica che infastidisce. Le solite persone passano da un ruolo all’altro senza meriti reali e con un opportunismo privo di dignità. Dai Comuni alle Provincie, dalle Regioni al Senato, la cui riforma sembra studiata per garantire a sindaci e assessori o consiglieri una professione a vita, è una gara a chi adotta la strategia migliore per garantire un posto a sé o a qualcuno del proprio schieramento.
Nessuna apertura alla società civile, ai talenti che il paese possiede nei diversi settori e che all’estero ci invidiano. Tutto è deciso all’interno di una cerchia ristretta, sia a livello nazionale che locale. E ai cittadini oltre al danno, la beffa di dover sottoscrivere con il voto qualcosa che è già nell’ordine delle cose. Come garanti di una scelta che altri hanno determinato con una serie di astuzie . Alla base meno potere decisionale e l’onere di adempiere a ogni richiesta per rimpolpare le casse dello stato con tasse e bollette sempre più alte. Rassegnati a promesse che quasi mai si realizzano. Assuefatti ai periodici stalli intorno a qualche riforma che quasi mai va in porto. Disarmati nel vedere l’accanimento a proposito di un articolo che facilita i licenziamenti, in un paese dove la priorità è che si parli di occupazione. Intanto i nostri giovani, preso atto dello stato delle cose, dovuto forse più che dalla crisi da un sistema sbagliato, espatria verso un paese che non è il più bello del mondo. Ha un pessimo clima, cibo scadente, e tante cose che non piacciono, ma offre una speranza a chi ci vuole provare, o perlomeno valorizza le competenze, la creatività o semplicemente la voglia di fare.
Riconosce il percorso di studio con una retribuzione dignitosa rispetto all’elemosina che viene corrisposta in Italia. E nell’attesa che qualcosa cambi anche in patria, la tv pubblica ci intrattiene abilmente con i soliti talk show, gli opinionisti, il gossip, i matrimoni dei vip. L’andirivieni continuo: twitter, selfie, hashtag e slogan, in concreto dove ci stanno portando? C’è riscontro dell’accattivante dinamismo dei giovani al potere nella vita reale? Nessuno pretende cambiamenti epocali o rivoluzioni, ma quale concetto di società, ammesso che ci sia, alla base del quotidiano carosello?