Titoloni a 44 colonne; si sa, l’evasione tira sempre. Specie di noi pezzenti, spacciata alla stregua delle vicissitudini del piduista Licio Gelli al sicuro nella sua Villa Wanda. Lo confesso (piange il cuore ma in questo caso stilistico, per il genere outing, si deve usare la prima persona): anch’io sono uno di quei tremila “furbetti“, in realtà gabbati ma vedremo poi, che hanno dichiarato il falso a proposito del loro reddito davanti a mamma sanità. Che, amorevole e premurosa come solo la salute dovrebbe essere, me l’ha fatta pagare. Cara.
Ricapitoliamo: l’Ausl di Reggio ha sbandierato davanti al plotone d’esecuzione giornalistica una ipotetica black list di presunti benestanti che, per lucrare su visite, medicine e prestazioni ambulatoriali varie, hanno mentito sulla loro fascia di reddito. Godendo di esenzioni non dovute. Benestanti senza scrupoli che lucrano sulle aspirine in barba a chi indigente lo è per davvero.
Gli è però che il sottoscritto risulta tra questi spregiudicati ed ha deciso allora di innestare il traduttore automatico dei reportage della stampa locale, sempre così altisonante e giustizialista quando si tratta del fondoschiena altrui. Qualche giorno fa è arrivata una multa da una ventina di euro dal sistema sanitario regionale: nel 2012 infatti, nonostante la mia autocertificazione da prima fascia di reddito, per qualche strana alchimia in busta paga, mi sono trovato, per un centinaio d’euro, in seconda fascia. Naturalmente senza saperlo; non è che la banca contatti il commercialista in tempo reale sui movimenti da alcune decine di euro. Apriti cielo. Dopo aver comprato un paio di scatole di Moment in una farmacia di Cavriago (soffro di cefalee fin da bambino e la vicenda sta acuendo la mia patologia), sono scattati i controlli incrociati. In sintesi: al momento dell’acquisto mi trovavo, a mia insaputa è bene sottolinearlo, in una fascia diversa da quella dichiarata. Ed i Moment avrei dovuto pagarli un po’ di più (una volta detratte le spese sanitarie in sede di dichiarazione dei redditi). Galeotti furono quei dieci centesimi. Mi sono costati venti euro!
Da qui una via Crucis di settimane per sapere come “tornare nella legalità” dopo aver pagato il fio del mio misfatto: telefonate a vuoto in uffici deserti, viaggi ai confini della burocrazia, file bibliche al Saub e via discorrendo. Fino a sapere di essere rientrato nella prima fascia, sempre per qualche decina di euro e che dunque dovevo starmene buono ed immobile. Aduso a pagar tacendo.
La situazione kafkiana si presta a una pluralità di considerazioni che qui saranno ridotte all’osso per motivi personali e per non abusare della pazienza del lettore: la prima. Possibile che si riesca a scovare in poche ore (con tanto di fotocopia del “misfatto”, ovvero la ricevuta della farmacia) uno sgarro inconsapevole di pochi centesimi, peraltro certificato da fasce di reddito non sempre controllabili dall’utente e in continuo divenire e per di più volute dal legislatore in chiara chiave di “recupero crediti”, e ci vogliano decenni (torniamo al caso Gelli) a certificare evasioni da centinaia di milioni di euro? La seconda: perché i condoni e gli sconti si fanno specie in caso di grandi evasioni (e dunque in presenza di ricchezze importanti) e mai quando queste (peraltro, ribadiamo intuibilmente senza colpe) riguardano noi poveri cristi? La terza ed ultima: dall’Ausl fanno sapere che per stanare noi furbetti hanno impiegato un sofisticatissimo software che sputtana chi ha pagato meno del dovuto. Non era però previsto l’aggiornamento per chi ha pagato di più. Quisquilie.
Ora il sottoscritto corre in farmacia per il Moment, senza sapere a che fascia di reddito appartiene all’atto dell’acquisto. E rischia grosso. Una cronicizzazione del mal di testa che potrebbe portare alla follia.