Intelligenza artificiale, Faggin: non avrà mai la nostra creatività

Il padre del microchip: AI utilissima ma ben distinta dall’unicità umana

Se l’Intelligenza Artificiale si fosse chiamata Salami (l’anglosassone traduzione del ghiotto italico salame) non avrebbe mai seminato il terrore, che qualcuno paventa, di un super cervello che possa schiacciare verso la nullità i semplici cervelli umani. Questa è in soldoni,  l’apparente enormità lanciata come una pietra nello stagno da Stefano Quintarelli. Salami è l’arguto acronimo di  “Systematic Approaches to Learning Algorithms and Machine Inferences” (Approcci sistematici agli algoritmi di apprendimento e alle inferenze automatiche) creato dall’informatico, imprenditore e politico, Stefano Quintarelli, una delle menti più brillanti dell’ecosistema internet,  e diffuso da un divertito Washington Post nel 2019.

Quintarelli continua a usare quella che sembra,  mentre è assai più profonda, una semplice trovata  per riferirsi a tutto ciò che attualmente definiamo come Intelligenza Artificiale, finendo per dividere il mondo in allarmisti e entusiasti. Categorie ambedue fuori le righe, secondo il gotha fattivo della medesima (quelli che l’AI  la creano e lasciano il segno ), di cui due dei più importanti esponenti  hanno vivacemente  discusso durante la recentemente quindicesima edizione  di BTO – Be Travel Onlife, un’iniziativa centrata prevalentemente sulla AI e le sue tante versioni di uso pratico, organizzata dalla Regione Toscana e dalla Camera di Commercio della città, presso la Stazione Leopolda di Firenze. 

 Alla discussione partecipava uno dei cervelli più autorevoli nel campo,  il fisico italiano naturalizzato Usa, Federico Faggin, figura chiave della rivoluzione tecnologica, il padre del microchip, l’invenzione che ci ha cambiato la vita: “Senza di cui non avreste tutti quei  giocattolini in tasca o in borsa” scherza, alludendo a cellulari  e tablet, Rodolfo Baggio , il docente di sistemi informativi e tecnologie della comunicazione alla Bocconi che si occupa di informatica da oltre trent’anni che ha fatto il moderatore del dibattito tra Foggin e Quintarelli a Bto.

“L’uomo è assolutamente superiore alla macchina, conoscenza e libero arbitrio sono fenomeni puramente quantistici, unici per ciascuno di noi, che non possono essere copiati: il rischio più grande è che non crediamo di esserlo”, esordisce Faggin con la sua aria rilassata e cordiale, dimostrando  ancora una volta di non essere solo un riconosciuto genio che di fatto ha rivoluzionato il mondo tecnologico ma anche un fine pensatore delle vicende delle donne e degli uomini.

Arrivando alla tranquillizzante e anche proficua conclusione, che può portare, secondo il fisico, a usare l’AI in maniera meno drammatica e dunque anche più diffusa, organizzata e normata, che, sì, macchine e logaritmi sono bravissimi e utilissimi ma che la definizione Intelligenza porta a attribuire alle nuove tecnologie attività e valori fantasiosi. “L’Intelligenza  Artificiale – prosegue Faggin –  può occuparsi meglio di noi di cose già pensate da noi  e riproducibili ma non avrà mai la nostra  creatività”. Il problema se le macchine potessero sostituire donne e uomini se lo era posto anche lui, racconta, e lo ha ampiamente studiato e valutato, “ma solo  per giungere alla conclusione che un computer non può avere la coscienza e coscienza vuol dire  anche libero arbitrio che ci differenzia dall’intelligenza artificiosa. L’AI non può avere il libero arbitrio, può imitarci solo nell’aspetto simbolico, non in quello semantico . Le macchine sono importanti e hanno una grande utilità perché  possono aiutarci a sfruttare meglio le  nostre capacità. Ma è  fondamentale capire la differenza tra chi siamo noi e cosa sono le macchine, le quali  possono alleviare alcune fasi del lavoro, elaborando più dati e più velocemente di noi, ma non sostituirsi a noi. Sono un ottimo strumento se lo usiamo per il bene comune, molto pericoloso se lo usiamo per manipolare le persone”.

Ecco la necessità di regole e norme, oltre che di chiarezza sulla natura dell’ algoritmo. Con una convinzione  su tutte: “Come sempre – prosegue Faggin – è l’uomo al centro ed è l’uomo che deve controllare la tecnologia”.  Il padre del microchip porta anche un esempio concreto delle duplicità della AI : utilissima ma ben distinta dall’unicità umana.  “Di fronte a un testo da tradurre – dice –  io uso molto e spesso le traduzioni fatte dall’Intelligenza Artificiale su Google, cosa assai utile perché fa risparmiare tempo,  ma lo posso fare esclusivamente perché conosco bene due lingue e posso accorgermi degli errori  e correggerli”.

 Convinto della diversità tra  cervello umano e l’algoritmo, pur utilissimo  se usato con la coscienza del predominio umano e dell’etica, anche Quintarelli, altro grande cervello dell’informatica,  imprenditore, professore di sistemi informativi, servizi di rete e sicurezza, e, come fondatore di I.NET che è il primo Internet Provider italiano, un pioniere.  Anche un grande benefattore dell’umanità,  come lo promuove un sorridente e arguto  Baggio che mette con i piedi per terra i suoi geniali interlocutori, perché, se Faggin è il padre del microchip, Quintarelli, sottolinea il moderatore, lo è dello Spid “che ci ha salvato dalle  torture delle infinite pratiche burocratiche delle nostre amministrazioni”.

Come abbiamo visto Quintarelli non la pensa diversamente  da Faggin e  attribuisce una parte della grande e contraddittoria agitazione sorta intorno all’Intelligenza Artificiale  paradossalmente al nome intelligenza dato alle nuove tecnologie nel 1956 dal matematico americano Marvin Minsky. “L’Intelligenza Artificiale – spiega Quintarelli – ora è di moda ma le tecnologie cui allude esistevano già prima e uno dei problemi che annebbiano il dibattito è il nome, una metafora di cui non sono chiari i contorni”.

In foto Federico Faggin

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