“Gli insegnanti si sono sentiti umiliati. Ancora una volta il Governo per avviare l’economia chiede ulteriori sacrifici a chi è più debole e non può difendersi, a chi può dare perché a reddito fisso. La contorta e assurda vicenda dei soldi che si volevano togliere agli stipendi dei docenti, tra l’altro i più bassi in Europa, è emblematica della scarsa importanza e considerazione che la politica ha per la scuola”.
Questo il commento del dirigente scolastico Mario Bosco sulla controversa questione dei 150 euro chiesti in restituzione agli insegnanti, che avrebbero percepito, a settembre, gli scatti di anzianità, denaro dovuto e atteso da almeno tre anni per chi guadagnava tra i 1300 e i 1700 euro dopo almeno venti anni di anzianità. Insegnanti che, nel 2013, pensavano di essere finalmente usciti dal congelamento degli scatti deciso nel 2010 dal governo Berlusconi. Nei due mesi tradizionali per gli insegnanti, aprile e settembre, i docenti interessati si sono visti così accreditare gli scatti dovuti e a cui erano stati costretti a rinunciare per tre anni.
E anche se il Governo, poi, ha fatto retromarcia o, come dice Renzi, ha “cambiato verso” e ha dichiarato che la restituzione non ci sarà più, resta, però, tra i docenti un clima di disagio e di malessere perché questa volta si voleva toccare e non tener conto dei “diritti acquisiti”.
“Non credo di essere l’unico a ricordare l’impegno assunto da Enrico Letta all’inizio del suo mandato di primo ministro: piuttosto che togliere risorse alla cultura, alla ricerca e alla scuola, avrebbe rassegnato le dimissioni– dichiara un insegnante di matematica di una scuola superiore di Firenze – E invece ancora una volta lo Stato continua a favorire un’opera di ingiustizia sociale, ovvero di redistribuzione del reddito all’incontrario, dai ceti meno abbienti a quelli più danarosi. La crisi economica non deve aumentare e favorire le disuguaglianze!”.
“Il Governo- dichiara Francesco, uno studente universitario – purtroppo, nonostante le dichiarazioni dei politici, dà poca importanza al lavoro culturale, che non produce cose ma che insegna, costruisce e affina la capacità altrui di ragionare. Lavoro culturale senza il quale un Paese va a rotoli, perché vengono meno competenze, ricerca, progettazione, capacità di analisi, sintesi e previsione”.
“E che cosa dire delle borse di studio per gli specializzandi di Medicina, che sono state ancora ridotte?– ricorda Andrea, un giovane medico di Firenze – Dimezzando le borse, la conseguenza immediata è che alcuni reparti rimarranno senza giovani medici. Non solo. Per molti studenti di Medicina e Chirurgia, la conseguenza sarà l’impossibilità di completare un corso di studi lunghissimo e faticoso. Inoltre il provvedimento non è stato gradito neanche dai primari che da sempre fanno affidamento sugli specializzandi. Insomma– conclude Andrea – il danno è per tutti: soprattutto alla comunità e alla sanità pubblica”.