Intanto, mentre l’utente medio sta guardando da un’altra parte – vi ricordate la Mossa Kansas City, quella che il sinistro Bruce Willis propina alle sue vittime nel film “Slevin”? Tu guardi da un’altra parte e TAAAC, sei terra per ceci – il mondo intero si sta spostando sul virtuale, affilando le proprie armi per meglio raschiarci le tasche. Sì, lo sappiamo: non si inizia mai un articolo con “intanto”. Assolutamente. Ci mancherebbe.
Però qui non abbiamo iniziato proprio niente. E’ già tutto lì che succede, da un’altra parte: la parte che ci siamo persi pensando di essere ancora in un posto in cui le cose succedono e poi si raccontano, invece di uno in cui le cose si raccontano, e in quanto tali succedono. Già eravamo confusi riguardo a quello che ci accadeva intorno, figuriamoci adesso che, letteralmente, ci piove addosso.
Scordatevi il rapporto normale con le persone, coi soldi, con gli oggetti, con le notizie. La direzione presa attualmente è quella di mediare tutto attraverso il filtro della conoscenza; e non già quella propria, frutto di una euristica prova-sbaglia-riprova-impara, ma quella collettiva, modello sciame, dei social network, che lungi dal rappresentare una sorta di club virtuale come era in origine si avviano a diventare un vero e proprio modello di pensiero capace di orientare nelle scelte di qualsiasi genere.
Non è una sorpresa per nessuno, crediamo, ormai – ne avevamo parlato qualche articolo fa – la notizia che il mondo dell’informazione, seguendo le logiche della raccolta pubblicitaria, si stia spostando massivamente verso i lidi dello scorporato virtuale, abbandonando la carta, le edicole sempre più prive di riferimenti (difficile accorgersene, certo, di questi tempi in cui i rassicuranti tempietti laici si sono talmente riempiti di articoli che cento in più o in meno non si nota la differenza).
Ci correggiamo: la logica della raccolta pubblicitaria tradizionale, quella per la quale il ROI aveva un senso e una (falsatissima, ipotetica) misurabilità, più come “se non appari tu apparirà la tua concorrenza” che altro. Oggi, la pubblicità si divide in call to action immediatamente misurabile (raccolte punti, sconti nei supermercati) e lotta all’ultimo clic per dimostrare, dati Google alla mano, che riusciamo a veicolare un sacco, un sacco di visibilità. Ma forse la quantità concreta delle vendite sta già gridando un allarme che decreterà il canto del cigno di queste logiche obiettivamente sorpassate.
L’informazione, dite? Beh, ovviamente al momento va al traino di quella che è la fruibilità immediata, secondo la logica per la quale la notizia buona è quella che riesce a supportare meglio lo spot. Quindi, cose eclatanti, curiose, bislacche, scioccanti; gli approfondimenti, le chiavi di lettura, semmai più tardi, grazie, quando avremo tempo e spazio server a sufficienza e personale gratis. Oppure rivolgetevi ai blog, e tanti saluti ad una professione e ad un hobby.
Pochi, pochissimi quelli che stanno sul pezzo, e perlopiù sono quelli che riescono a sposare la logica della lettura del territorio in cui sorgono; ironia della sorte, oggi il g-locale impera, e si va sul mezzo globale e apolide per eccellenza per leggere cose avvenute nel raggio di cinquecento metri.
Questo, mentre riviste e tabloid che prima erano di amplissimo respiro e peso oggi ansimano, con contenuti sempre più superficiali, sempre più rarefatti. Non parliamo poi del sesso, delle relazioni, dei contatti col prossimo, che passando attraverso il web non hanno fatto altro che divenire finalmente quello che già volevano essere da tempo: via la scomodità, l’imbarazzo dell’incontro, via la conversazione oziosa davanti all’ape, oggi potete sognare, vantarvi, emozionarvi, sedurvi, limonarvi senza alzare il culo dalla sedia, fingendo di essere qualsiasi cosa – anche interessanti – senza togliervi il pigiama di flanella né i peli nelle orecchie. E quando proprio dice bene, ma sì, facciamo l’esperimento, e andiamo a incontrare l’anima gemella, sperando che le foto non mentissero spudoratamente; nel qual caso, exitus rapido e cancellazione dalle amicizie.
No; la vera rivoluzione che ci aspetta è quella col rapporto col denaro e col lavoro. I social media si stanno proponendo – e se non ti va bene non hai molte alternative – come unico ed ultimo collo di bottiglia attraverso il quale far passare tutto.
Datevi un’occhiata intorno: Google è un monopolio che decide la vita e la morte economica e commerciale di chi lo utilizza (praticamente, tutti), e se domani vi chiedesse 10 centesimi al giorno per continuare a viverci sopra rompereste senza dubbio il porcellino, volenti o nolenti. Senza contare il fatto che possiede Youtube. Dal quale molti artisti oggi vorrebbero migrare; ma allo stato attuale delle cose sono tempeste in un bicchiere, perché se fai video e non sei sul Tube semplicemente non esisti. A meno che, certo, tu non ti affacci sulla concorrenza: Facebook, che dopo avere acquistato strategicamente l’opzione di messaggistica istantanea per eccellenza –WhatsApp – e il social delle foto, Instagram, sta integrando sempre più possibilità video nel suo DNA. E non è un segreto che ormai quello che vedete qui sopra sia quello per cui qualcuno ha pagato.
Ultima frontiera in vista: quella del negozio al dettaglio, oltre la cui soglia Facebook si propone di accompagnarvi fisicamente, dicendovi chi vi può vendere cosa, a che prezzo, in quanto tempo e confrontando tempi di raggiungibilità e opinioni degli utenti (e dio solo sa cos’altro). Intanto – e torniamo a guardare ciò che succede intanto – Microsoft ha acquistato Linkedin, il social dell’incontro domanda / offerta del lavoro che sempre più stava languendo come piattaforma professionale e chissà quali cambiamenti sono all’orizzonte.
Ma il vero dilemma degli appassionati riguarda un altro big della comunicazione: Twitter, che al momento ancora non risulta nel carniere di nessuno di questi grandi cacciatori, pur mostrando enormi potenzialità, essendo sposabile da qualsiasi logica di uso e aggregabile a qualsiasi altro social e mezzo informatico.
Rassegnatevi: il mondo che ci aspetta passa prima attraverso il cervello, e poi attraverso i sensi. Letteralmente.