Dalla Galassia Gutenberg alla Galassia Zuckerberg. Il medium “è” il messaggio, diceva il sociologo McLuhan, ma in “medium” non è detto che stat virtus. Da sempre, e mai come oggi, dove ogni utente è potenzialmente un produttore (o ri-produttore) oltre che un consumatore di notizie. Sennonché, il più delle volte, chi di web ferisce è facile che alla fine di web perisca pure, nel senso che la disintermediazione ha disintermediato anche il fact-checking, sicché il mondo online, se da una parte è un sistema in teoria compensativo (proprio perché può contrastare le verità più o meno ufficiali propalate dei mezzi di comunicazione tradizionali, promuovendo cioè verità alternative), dall’altra, per fortuna, è in grado di produrre gli anticorpi ossia trasformarsi in sistema autocorrettivo (dal momento che la smentita o “diversa versione” arriva in tempo reale correndo poi veloce nella prateria digitale, sanando come e dove può i pozzi avvelenati).
Dal villaggio globale al pianeta digitale, l’informazione è sempre in un certo qual modo politica, anche quando si occupa di cronaca nera (l’obiettività pura non esiste, specie in una società polarizzata come la nostra: al massimo si può aspirare a un pizzico di neutralità, terza via di difficile affermazione), così come “politico” è il privato di ognuno, quel privato che nella Rete diventa pubblico in quanto pubblicato e dunque rivolto, come fosse pubblicità, a un pubblico mirato o esteso (mi scuso per le diverse accezioni del termine). L’informazione, anche quando autoriferita, si trasforma motu proprio in “massaggio” insistito (presente le filter bubble? o il confirmation bias?: gutta cavat lapidem, repetita iuvant), ed è ovvio che ci sia chi, per deformazione professionale, o per interesse diretto o indiretto, la usi politicamente, perché tutto in fondo fa brodo e la politica è consenso numerico, quindi potere (anche quello di definire l’agenda del reale): se uno vale uno, secondo l’utopia dell’uguaglianza, di sicuro cento valgono cento, e fanno massa a-critica.
Questo cappello per spunti gettati lì (mi chiamano il Cappellaio Matto, ma non vivo nel meraviglioso mondo di Alice, bensì più prosaicamente sulla Terra) per introdurre i dati emersi dal terzo Rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale”, mica bruscolini,presentato a Roma al Senato. Una ricerca da cui emerge che, e meno male!, cresce la consapevolezza degli effetti devastanti della disinformazione, che può essere arginata da professionisti della comunicazione accreditati come fonti autorevoli e garanti dell’affidabilità e della qualità delle notizie. Di fronte alle insidie che possono venire dal web e dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, per distinguere la buona dalla cattiva informazione servono competenze solide sulle nuove tecnologie e regolazioni più stringenti. Be’, ci sembra il minimo sindacale, visto che per mille ragioni lo slogan di questa fase storica si potrebbe sintetizzare nel motto “mala tecnica currunt”, reso ancora più preoccupante dal fatto che un po’ ovunque alligni un certo analfabetismo di ritorno (la gente legge poco e quando lo fa non è detto che capisca il significato di ciò che ha letto, gli emoticon hanno soppiantato tanto i congiuntivi quanto le proposizioni articolate, le subordinate eccetera, il testo scritto è stato messo in soffitto dagli audio video e via semplificando).
Secondo detto rapporto, comunque, cresce il bisogno di informazione, soprattutto online (cos’è: masochismo? autosabotaggio? autolesionismo? suvvia, si sdrammatizza…). Oggi circa 47 milioni di italiani, il 93,3% del totale, si informa abitualmente su almeno una delle fonti disponibili, l’83,5% sul web e il 74,1% sui media tradizionali. Sul versante opposto, sono circa 3 milioni e 300mila (il 6,7% del totale) gli individui che hanno rinunciato ad avere un’informazione puntuale su ciò che accade, mentre 700.000 italiani non si informano affatto.
“Il 64,3% degli italiani – leggiamo in un comunicato di Comunicazione & Editoria srl – utilizza un mix di fonti informative, tradizionali e online, il 9,9% si affida solo ai media tradizionali e il 19,2% (circa 10 milioni di italiani in valore assoluto) alle fonti online. Social media, blog, forum, messaggistica istantanea sono espansioni del nostro io e del modo di vedere il mondo: è il fenomeno delle echo chambers, cui sono esposti tutti quelli che frequentano il web e soprattutto i più giovani, tra i quali il 69,1% utilizza la messaggistica istantanea e il 76,6% i social media per informarsi. Il 56,7% degli italiani è convinto che, di fronte al disordine informativo che caratterizza il panorama attuale dell’informazione, sia legittimo rivolgersi alle fonti informali di cui ci si fida di più”.
Aumentano invece paure e timori di non essere in grado di riconoscere disinformazione e fake news. Il 76,5% degli italiani ritiene che le fake newssiano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. Ma ci sono anche i negazionisti: Il 29,7% della popolazione nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti ufficiali che poi le fanno passare come false.
E ancora: “Il riscaldamento globale è un argomento di cui si parla tanto e in modo confuso, alimentando cattiva informazione, catastrofismo e persino negazionismo. Il 34,7% degli italiani è convinto che ci sia un allarmismo eccessivo sul cambiamento climatico e il 25,5% ritiene che l’alluvione di quest’anno sia la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione. I negazionisti, che sono convinti che il cambiamento climatico non esista, sono il 16,2% della popolazione. Gli individui più fragili, vale a dire i più anziani e i meno scolarizzati, sono quelli che appaiono più confusi e meno in grado di comprendere il problema nella sua complessità”.
Come si evince dal Rapporto, il 75,1% della popolazione ritiene che con l’upgrading tecnologico verso l’Intelligenza Artificiale sarà sempre più difficile controllare la qualità dell’informazione, mentre per il 58,9% l’AI può diventare uno strumento a supporto dei professionisti della comunicazione. Le Agenzie di comunicazione, dove lavorano oltre 9.000 professionisti, si sono adattate ai cambiamenti che la vita digitale ha imposto al mondo della comunicazione, ampliando le competenze di chi ci lavora e creando nuove figure a presidio del web. Il risultato è che nell’ultimo anno i professionisti della comunicazione sono aumentati dell’11,3%.
“Tanto opinionismo e poca informazione generano confusione e notizie false – dichiara Giuseppe De Rita, presidente Censis -: lo hanno dimostrato il Covid prima, la guerra poi e oggi il riscaldamento climatico. Gli italiani hanno bisogno di una rete di professionisti dell’informazione di cui fidarsi, che li aiutino anche ad avere maggiore consapevolezza di come riconoscere fonti e notizie di qualità”. Parole sagge, speriamo non sia un vox clamantis in deserto…
“Il terzo Rapporto Ital Communications-Censis – commenta Domenico Colotta, co-fondatore di Ital Communications – offre uno spunto di riflessione sull’Intelligenza Artificiale, che rappresenta una grande opportunità per il futuro, in tutti i campi. Occorre tuttavia che, nel contrasto alle fake news, le sue potenzialità vengano sfruttate unitamente alle abilità umane, in modo da dare un efficace supporto al lavoro dei professionisti della comunicazione. Solo in questo modo si può realizzare una comunicazione affidabile, fondata su fonti verificate e che sia capace di salvaguardare la fiducia nei media e nelle istituzioni”.
“Chi fa comunicazione con professionalità e autorevolezza – conclude Attilio Lombardi, altro co-founder Ital Communications- in un mondo complesso e profondamente mutato come quello di oggi, non deve rinunciare alla serietà e alla veridicità delle notizie da veicolare. Il terzo Rapporto Ital Communications-Censis rileva l’importanza di una comunicazione responsabile e in grado di contrastare la disinformazione, anche attraverso lo sviluppo di valide competenze che sappiano governare i cambiamenti e tutelare i cittadini e le istituzioni dai danni sociali, economici e democratici derivanti da una comunicazione non veritiera”.
Che dire: ben vengano i buoni propositi, i giusti indirizzi di massima, augurandoci che non restino lettera morta. Ebbene sì, a quanto pare c’è ancora molto da fare affinché la strada verso una “ecologia dell’informazione” sia liberata dalla tentazione delle bufale. E la fiducia, si sa, va meritata.