E niente, ancora una volta, pace all’anima di William Wallace (che per noi avrà le sembianze imperiture di un australiano, Mel Gibson) la Scozia deve prendere in saccoccia le aspirazioni all’indipendenza; per un soffio, 6 punti percentuali, ma comunque dopo secoli di lotte, poi grida, infine lamenti e per concludere bofonchi, che non ci sia stata una risoluzione plebiscitaria per l’indipendenza definitiva fa un po’ impressione. Forse a breve sarà la volta della Catalogna, forse ancora, quando avranno finito di svuotare arsenali fatiscenti da rinnovare, dell’Ucraina; la Macedonia, l’Uzbekistan, la Camciacca, la Sicilia e la Sardegna, poi un rigurgito dell’Isola delle Rose e infine, ma prima del 2050, del Veneto, o meglio ancora dell’intera Padania, realtà storico politica a tutto tondo alla pari col Paese di Cuccagna e l’Isola Che Non C’é.
A Salvini quindi non resta che disporsi ad una paziente attesa per non arrivare ormai fiaccato e bolso ai festeggiamenti che certamente coroneranno il lietissimo evento: lietissimo perché assieme si sottolineerà l’esistenza di qualcosa chiamato Padania (sebbene come già detto da qualche spiritoso l’esistenza del Grana Padano ne è la prova, e l’esistenza del Basilico, quella della Basilicata), e anche il sottrarsi a questo orribile giogo plurimillenario che è stata l’appartenenza ad una nazione articolata e complessa. Sogno bucolico in cui gli antichi Veneti razzolavano felici coltivando vacche e allevando verdure, o forse il contrario, fino all’arrivo dei malvagi Romani sottomettitori e tiranni, ridotti in catene e costretti a girare la ruota del mulino come Conan il Barbaro nel film di John Milius. Peccato che non sia mai andata così. I rapporti tra Roma e i Veneti furono fin da subito molto collaborativi, per non dire amichevoli, e le due culture finirono per integrarsi rapidamente con discreta armonia. I problemi cominciano semmai a sorgere in tempi più recenti, con una certa qual mal disposizione dei tanti cantinari veneti a pagare le tasse, nel momento in cui porta a porta furbissimi venditori di saponette vengono loro a raccontare che tutto il frutto del loro lavoro finisce a Roma Ladrona; prima, nel momento in cui lo Stato cercava di risollevare le sorti di una zona flagellata da analfabetismo, malaria, malattie endemiche, povertà e abbandono, prima essere parte di uno Stato unitario andava perfettamente bene. Ma non c’è niente di nuovo sotto il sole: quando si comincia a dover pagare anziché prendere – magari pagare troppo, in proporzione, o forse no, vai a capire – i duri cominciano a lagnare. Fa male chi pensa che le aspirazioni leghiste siano idiozie prive di fondamento: è in realtà l’applicazione di quel vecchio metodo che vuole la politica non offrire proprie idee per la soluzione dei problemi, ma soffiare sulle braci di quelli percepiti in modo da ottenere il più alto monte premi di voti possibili.
Con questo, non si creda che noi siamo contrari alle legittime aspirazioni all’indipendenza del Veneto o di chicchessia. Anzi. Siamo del tutto favorevoli, addirittura entusiasti. Lasciamo stare che qualsiasi forma di autonomia italiana abbia portato storicamente al degrado, all’incuria, all’aumento vertiginoso delle spese a carico della plebe; lasciamo stare che queste aspirazioni, come avviene per gente ben più motivata ad averle, vedi la Scozia, esistano poi in realtà solo nel mondo dei sogni. Quello dell’indipendenza totale è un sogno affascinante che vogliamo tenere vivo. Rilanciamolo tutti assieme, magari alziamo anche il tiro: indipendenza condominiale! Il caposcala a turno avrà sì il dovere delle pulizie, ma potrà imporre lo jus primae noctis tra le coppie sposande, essere omaggiato dei frutti della terra del verde pubblico e, di converso, dovrà però poi imporre le mani per guarire la scrofola ai malati. Poco importa dover pagare il dazio per il trasporto delle derrate da casa al Conad che sorgerà in terra altrui; di fronte alla libertà, nessun prezzo è troppo alto.